Le ore inutili/Il soprappiù

“Il soprappiù„

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Per un bacio La via ritrovata
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“IL SOPRAPPIÙ.„

Il gobbetto posò la tazza vuota sul tavolino del caffè, s’accomodò sul divano e aperse un giornale.

Il Comunicato, i saluti dei combattenti, l’albero di Natale pei feriti, la guerra, sempre la guerra, dovunque la guerra! Egli solo non poteva parlare della guerra, perchè quando ne discorreva con amici, conoscenti od ignoti, tutti quanti lo guardavano con un’aria di compassionevole canzonatura e se vi pensava si rodeva dentro di sè.

Eppure egli sentiva gli altri ed anche se stesso supremamente ingiusti verso la sua sorte. La quale finalmente non era che la sorte di moltissimi giovani venticinquenni come lui che per varie ragioni non potevano vestire la divisa militare e recarsi a combattere. Mario Ponti non era malato di petto e sempre tossicoloso? [p. 88 modifica] Piero Giannoni non trascinava la gamba destra per un disastro automobilistico? Carluccio Lanzi non era mezzo cieco e del tutto ridicolo con la sua miopia che gli faceva commettere le peggiori scempiaggini?

Eppure tutti costoro potevano parlare della guerra e dichiararsi senza vergogna riformati per malattia o per difetto fisico senza che a nessuno saltasse in mente di sogghignare e di sternutare comicamente come accadeva quasi ogni giorno per lui.

— Caro mio, la tua non è un’insufficienza fisica — gli aveva detto una sera Mario Ponti, il mezzo tisico che aveva uno spirito maligno specialmente velenoso verso coloro che stavano benissimo. — Il tuo difetto si può invece chiamare un soprappiù.

Tutti avevano riso di questa trovata e da quel giorno la sua gobba era stata battezzata “il soprappiù„. Gli amici che lo incontravano per via e al caffè gli battevano sul dorso allegramente chiedendogli notizie del “soprappiù„, consigliando a sottoporre il suo caso all’ufficio di leva perchè non era giusto che un uomo sano, giovane e provvisto per soprappiù di simile magnifica esuberanza restasse a casa mentre poteva rendersi utile al paese più di qualsiasi altro soldato diritto e mingherlino. [p. 89 modifica]

Ferdinando Ducas, il gobbetto, ascoltava, sorrideva, talvolta rimbeccava, ma dentro di sè soffriva tutte le torture. Quante volte avrebbe voluto drizzarsi sulla sua piccola persona così robusta e forte non ostante il “soprappiù„ e pigliare sonoramente a schiaffi il suo sorridente insultatore! Ma anche questo onesto sfogo era riserbato ai galantuomini e ai gentiluomini almeno di media statura e di schiena a linea retta ed egli non ne poteva usufruire senza rendere sè e la sua gobba ancora più grotteschi di quanto già non fossero.

Tra gli amici che più mordacemente si burlavano di lui ve n’era uno partito da un paio di settimane per la guerra il quale, sino al momento di salire in treno accompagnato da tutta la comitiva, non aveva cessato di colpirlo coi suoi frizzi e coi suoi motteggi a cui egli non s’era stancato di rispondere col più amabile sorriso e col più benevolo spirito.

Questi si chiamava Giovanni Bonvicini ed era fidanzato a una cugina del gobbetto, la signorina Lauretta Ducas, graziosissima ragazza ventenne ricca e superba, corteggiata da molti ammiratori. Anche Ferdinando si sarebbe schierato con gioia da molto tempo nel numero degli adoratori più assidui e appassionati di sua cugina Lauretta, se non ci fosse stato di mezzo [p. 90 modifica] ciò che anch’egli ormai chiamava come gli altri “il soprappiù„ e appena si arrischiava a darle timidamente del tu come lo autorizzava la sua parentela ed a farle due o tre visite all’anno, accolto da lei e da sua madre con una tediata indifferenza.

Pareva ch’esse si vergognassero d’avere un gobbo nella loro famiglia, come se questo potesse nuocere ai futuri destini di Lauretta e gli lasciavano chiaramente comprendere che desideravano di vederlo il meno possibile. Ma quando ella si fidanzò a Gianni Bonvicini, il quale era un ottimo partito e un bellissimo ragazzo, gli si mostrarono alquanto più indulgenti e si degnarono di ammetterlo con qualche maggiore frequenza in casa loro, forse perchè Gianni si divertiva a confrontarlo così piccolo e mal costrutto con la sua magnifica aitanza di bell’ufficiale in divisa.

Senonchè, partito Bonvicini per la zona di guerra fra le lagrime della fidanzata, Ferdinando non osò più mostrarsi alla cugina, come se ella dovesse ora maggiormente disprezzarlo perchè egli se ne rimaneva a godersi il suo agiato ozio e la sua sconfinata libertà, mentre Gianni passava le notti nell’umidità gelida della trincea e si esponeva ogni giorno alla morte.

Il gobbetto sfogliò lentamente il giornale so[p. 91 modifica]stenuto dal bastoncino di legno trovato sul tavolo del caffè e gli venne sott’occhio nell’ultima pagina, fra gli annunzi mortuari, un nome che lo fece sobbalzare.

“Gianni Bonvicini, ufficiale nel.... cadeva eroicamente sul Carso il giorno.... Costernati ma orgogliosi ne dànno l’annunzio i genitori, la sorella e il cognato, la fidanzata....„

— Ah! povera Lauretta, — esclamò Ferdinando balzando in piedi e si vide nello specchio di contro così pallido e sconvolto che si meravigliò del proprio dolore.

— Povero Gianni! Così allegro e spiritoso, così bel giovane e così fortunato, — si diceva il gobbo uscendo dalla saletta fumosa e camminando senza avvedersene sotto la pioggia che cadeva a dirotto.

— Morto, morto dopo quindici giorni di vita di campo. Scomparso così con un sorriso ed un frizzo dietro lo sportello di un treno per non più ritornare. Morto, lasciando tutti a piangere e a desiderarlo vivo, a ricordarlo così bello, ad amarlo così forte. Ah! che fortuna andarsene a quel modo con un addio pieno di baldanza e sparire nell’ombra con un ultimo baleno degli occhi neri, con un ultimo riso dei denti bianchi! Perchè povero Gianni? Chi più avventurato di lui? Perchè compiangerlo? Chi sa? [p. 92 modifica]

S’era avviato in questi pensieri sotto una fila di portici dove la gente si pigiava per ripararsi dalla pioggia e d’un tratto s’accorse d’essere giunto davanti alla casa di sua cugina Lauretta. Allora si fermò e pensò che poteva salire da lei con la speranza di trovarla, per dirle il suo doloroso stupore ed alcune parole di sincero compianto.

Nel salotto semibuio per l’oscurità del cielo e dei cortinaggi egli trovò sua zia tutta in lagrime intenta a narrare con molti sospiri ad un’amica matura la tragica fine del suo futuro genero. Ella salutò appena Ferdinando e non lo presentò alla signora ma egli sedette sull’orlo d’una poltrona, nell’ombra, e stette ad ascoltare i particolari di quella morte con una avidità vibrante di commozione.

Quindi la visitatrice si alzò e fu chiamata Lauretta perchè venisse a salutarla. Ella si presentò sulla soglia tutta vestita a lutto come una vedova, più bella e più superba nel suo pallore senza lacrime e si lasciò baciare silenziosamente dalla matura signora che s’accomiatava. Soltanto quando questa fu uscita ella s’accorse della presenza di Ferdinando e lo guardò con due occhi foschi, senza rivolgergli la parola.

— Lauretta, — egli balbettò timido e impacciato dinanzi a quel dolore così rigidamente [p. 93 modifica] chiuso in se stesso, — ho letto poco fa la crudele notizia e non so dirti, non so esprimerti davvero quale profonda angoscia ne abbia provato.

Ella lo ascoltava senza guardarlo, col gomito sul bracciuolo della poltrona e la guancia sulla palma, corrugando di tanto in tanto la fronte come se quella voce la infastidisse.

— Tu non puoi immaginare, Lauretta, — continuava il gobbo — come mi abbia commosso la fine eroica del povero Gianni, e quanto lo ricordi come lo vidi l’ultima volta mentre partiva, così gioviale, così pieno di salute e di vivacità. Rammento persino, vedi, che le sue ultime parole furono per me. Addio, Nando, tanti saluti al “soprappiù„ mi gridò, mentre il treno si metteva in moto e tutti gli altri risero di cuore perchè aveva tanto spirito e non era cattivo neppure con me, povero Gianni!

Egli ebbe un piccolo sorriso accorato sul viso pallido e ossuto e guardò sua cugina aspettando ch’ella gli rispondesse con una parola, con un cenno, con uno sguardo, con un sospiro. Ma ella rimaneva immobile col viso rivolto verso la finestra da cui scendeva fra i cortinaggi una luce grigia di giornata piovosa. [p. 94 modifica]

— Eppure — riprese il gobbetto incoraggiato da quel silenzio che gli permetteva di aprire tutto il suo cuore — eppure, vedi, Lauretta, la sua morte è stata così bella che io non posso trattenermi dall’invidiarlo. Perdonami questa confessione che ti parrà quasi un sacrilegio, ma io sento che quando si lascia la vita in quel modo, giovani, belli, forti, amati, non c’è compianto che per il dolore di chi resta. Quello che se ne va, così di colpo, senza sapere forse di morire, è un fortunato degno d’invidia e non di pietà.

A queste parole seguì una brevissima pausa durante la quale Lauretta si alzò e gli venne vicino mostrandogli all’improvviso tutta la durezza orgogliosa e beffarda del suo viso.

— Che puoi sapere tu di queste cose? — gli disse con una voce aspra che lo colpì in pieno petto. — Puoi cantare e sospirare le belle frasi, tu che te ne rimani beatamente a casa mentre gli altri si battono e cadono. È facile parlare d’invidia per uno che muore quando si ha la fortuna di possedere una gobba che salva da tutti i rischi e da tutti i pericoli. Va là, che sei ben felice di avere, come diceva Gianni, il tuo bel “soprappiù„ che ti impedisce di esporre la pelle con gli altri. Di’ la verità almeno, e non raccontare la patetica storia della tua in[p. 95 modifica]vidia per chi se ne va. Tanto, nessuno ti crederebbe.

Ella scomparve dietro una portiera e il gobbetto rimase solo, così instupidito da quelle parole che non riuscì per un poco a trovare la porta e ad andarsene.

Ma quando fu nella strada, sotto la pioggia che cadeva sempre, se le ripetè ad una ad una e gli parve a un tratto che nessun destino al mondo fosse più triste del suo. Non poteva nemmeno compiangere chi rimaneva, non poteva nemmeno invidiare chi se ne andava. “Tanto, nessuno ti crederebbe„.

Camminò un paio d’ore sotto la pioggia ruminando fino all’esasperazione questi pensieri e quando fu notte si fermò su un ponte di strada ferrata sotto il quale passavano continuamente treni in partenza e in arrivo. Veniva dalla stazione vicina un urlìo allegro di soldati che partivano per la zona di guerra, salutati dagli amici e dai parenti e di quando in quando lo scoppio d’una fanfara militare echeggiava più forte coprendo le grida.

Ferdinando ascoltava quella musica e quelle voci con un palpito sordo nel cuore e non osava neppure più formulare un pensiero di invidia per quei giovani pieni di baldanza che potevano andare a combattere e a morire fra [p. 96 modifica]urli di gioia. Egli possedeva per unico scopo, per unica meta, per unica gioia della vita il suo bel “soprappiù„ che lo sottraeva a tutti i pericoli: alla coscienza di sentirsi un uomo come gli altri, alla speranza di amare e d’essere amato come gli altri, alla possibilità di morire di una bella morte come gli altri.

Che cosa gli rimaneva?

Il treno militare si mosse fra un tumulto di grida irrefrenabili e s’avanzò fumando verso di lui, sotto l’arco del ponte sul quale egli sostava. Era salito sul parapetto a muro perchè la sua piccola statura gli impediva di vedere e si sentiva pigiato intorno dalla folla curiosa che si sporgeva per guardare in basso.

Un omone sgarbato lo spinse con tale violenza ch’egli si sentì scivolare verso il vuoto ed allora pensò ch’era cosa facile lasciarsi cadere laggiù proprio nel momento in cui il treno militare passasse.

I due occhi di fuoco s’avanzavano lentamente fra le grida frenetiche dei soldati affacciati agli sportelli e quando la colonna di fumo nero e denso sollevandosi fu quasi per investirlo, il gobbetto si diede un piccolo slancio e cadde sui binari un momento prima che il treno vi giungesse. [p. 97 modifica]

La gente che si pigiava intorno al parapetto urlò atterrita:

— Un ragazzo è caduto. Ferma! Una disgrazia! Per carità, ferma!

Ma il macchinista non udì nulla, perchè la musica e le grida facevano un rumore assordante. E le ruote passarono sul piccolo corpo già svenuto, sul povero “soprappiù„ che aveva impedito ad un uomo di vivere e di morire come tutti gli altri.