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94 | le ore inutili |
— Eppure — riprese il gobbetto incoraggiato da quel silenzio che gli permetteva di aprire tutto il suo cuore — eppure, vedi, Lauretta, la sua morte è stata così bella che io non posso trattenermi dall’invidiarlo. Perdonami questa confessione che ti parrà quasi un sacrilegio, ma io sento che quando si lascia la vita in quel modo, giovani, belli, forti, amati, non c’è compianto che per il dolore di chi resta. Quello che se ne va, così di colpo, senza sapere forse di morire, è un fortunato degno d’invidia e non di pietà.
A queste parole seguì una brevissima pausa durante la quale Lauretta si alzò e gli venne vicino mostrandogli all’improvviso tutta la durezza orgogliosa e beffarda del suo viso.
— Che puoi sapere tu di queste cose? — gli disse con una voce aspra che lo colpì in pieno petto. — Puoi cantare e sospirare le belle frasi, tu che te ne rimani beatamente a casa mentre gli altri si battono e cadono. È facile parlare d’invidia per uno che muore quando si ha la fortuna di possedere una gobba che salva da tutti i rischi e da tutti i pericoli. Va là, che sei ben felice di avere, come diceva Gianni, il tuo bel “soprappiù„ che ti impedisce di esporre la pelle con gli altri. Di’ la verità almeno, e non raccontare la patetica storia della tua in-