Le ore inutili/Il gioiello dell'ava

Il gioiello dell'ava

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L'uomo tinto

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IL GIOIELLO DELL’AVA.

Allorchè Giorgio Sanminiato entrò nel salotto di donna Lucilla De-Renzi sentì nell’aria qualcosa di diverso e d’insolito. Non languiva più nelle alte coppe di cristallo la bellezza morente delle rose d’autunno, erano scomparsi dalle cornici d’argento i ritratti degli amici e delle amiche, e dalla finestra aperta sul giardino entrava la luce scialba d’una giornata novembrina, non più attenuata nè ammorbidita dalle cortine di merletto.

Un dubbio lo morse al cuore. Perchè questo senso di freddo e d’abbandono? Lucilla forse....

Ma non ebbe il tempo di formulare il proprio dubbio che la sua amica gli fu alle spalle col suo passo leggero, ancora attutito dalla morbidezza dei tappeti, e lo baciò d’improvviso sulla tempia, mentre Giorgio si volgeva, [p. 168 modifica]l’afferrava alla vita con violenza e le parlava con impeto.

— Dimmi, Lucilla, che cosa accade? perchè questo vuoto e questo gelo?

— Parto, — ella disse ponendogli le mani sulle spalle e costringendolo a piegare verso di lei la sua faccia rabbuiata.

— Per pochi giorni — egli mormorò fissandola in fondo agli occhi, attendendo ansioso.

Ella lo lasciò d’un tratto, andò a sedere sul divano d’angolo, suonò perchè portassero il tè, accese una sigaretta, aspirò alcune boccate di fumo e finalmente disse:

— Non so. Forse per sempre.

Donna Lucilla De-Renzi era una vedova non più giovanissima la quale, trascorsi in provincia con sua madre i primi anni della vedovanza, s’era stabilita da qualche tempo a Roma, dove l’antica posizione abbastanza eminente del marito le aveva creato vaste relazioni e numerose amicizie.

Ella vi aveva però prodigato eccessivamente la propria fortuna che non era cospicua, e sua madre, che vegliava sui suoi interessi, la chiamava urgentemente a casa rifiutandole le risorse che le occorrevano per continuare la sua vita brillante alla capitale.

— Parto, — ella ripetè; — ho affari urgenti [p. 169 modifica]e gravi da sbrigare a casa mia e non so se potrò ancora ritornare. Ciò dipende da circostanze che mi è impossibile di prevedere per ora.

Giorgio Sanminiato ascoltava, chiuso in un silenzio cupo, battendo nervosamente il piede a terra e lasciando raffreddare la sua tazza di tè. Egli conosceva da cinque mesi quella donna, l’amava da quattro e da due settimane ne era l’amante. Soltanto da quindici giorni gli parea di essere realmente entrato nella vita con la conquista intera di quella creatura bella ed esperta, la quale concedeva finalmente all’ardore timido dei suoi vent’anni la gioia d’espandersi senza umilianti volgarità in una passione vera, in un amore fervido, ma insieme nobile ed alto per una signora, degna in tutto di questo nome.

Egli l’aveva collocata sopra l’altare della sua esaltata devozione e quando ella scendeva benigna da questo altare per passargli nei capelli le sue dita fini, chiamandolo con piccoli nomi teneri e dolcemente idioti, egli se ne meravigliava come d’un prodigio che si compisse per virtù d’amore.

Non era ancora uscito da quello stato di inebbriante e perfino dolorosa felicità che è tutto proprio delle passioni giovanili all’inizio, [p. 170 modifica]non conosceva ancora nè profondamente nè compiutamente la squisita persona e l’anima complicata della sua amica, che già un’avversa sorte gliela contendeva, che già le odiose esigenze della vita gliela rapivano.

— Tu sei mia. Tu m’appartieni. Devi tornare. Tornerai, — egli ripeteva da mezz’ora con un’ostinazione imbronciata e caparbia di fanciullo che la faceva sorridere. E subito dopo egli volle inginocchiarsi ai suoi piedi, supplicandola con parole d’umiltà, sollevando verso di lei il suo volto così regolare di linee e ancora un poco femmineo, dove gli occhi chiari splendevano d’appassionata speranza. — Lo sai ch’io non vivo più che per te, ch’io non ho vissuto prima di conoscerti. Perchè vuoi scacciarmi dalla tua vita, perchè vuoi dividermi da te? Se non ti è possibile di ritornare a Roma, concedimi di vederti altrove, dove tu vorrai, nella città che sceglierai tu stessa, dove ti sia più facile e meno pericoloso recarti.

Ella taceva assorta e inquieta, non sapendo se consentire alle implorazioni del giovine, incerta ella stessa se gli avesse ceduto per amore, per capriccio o per noia; per le persuasioni del suo orgoglio lusingato da quell’adorazione, o per quelle del suo egoismo di donna frivola e oziosa. [p. 171 modifica]

Tuttavia la possibilità d’interrompere di quando in quando la tediosa monotonia della sua vita provinciale con una giornata di segreto amore, le balenava al pensiero come una promessa non spregevole, come un’avventura abbastanza attirante per non escluderla dal suo prossimo avvenire.

— Ciò che tu mi chiedi sarà tutt’altro che facile e sempre molto arrischiato — ella rispose. — Nei piccoli centri tutto si vede e tutto si sa ed io godo laggiù una fama di donna incorrotta e incorruttibile che tengo molto a conservare intatta. Basterebbe un sospetto di questo genere per farmi chiudere in faccia tutte le porte stemmate o dorate della provincia.

— Queste sciocchezze t’importano assai più del mio amore — mormorò fosco Giorgio alzandosi e mettendosi a tamburellare con le dita sui vetri della finestra. — Tu temi più di perdere le buone grazie di qualche stupida sottoprefettessa che di perdere un’anima che t’ha dato tutta se stessa, una passione che ti ha esaltata come cosa divina.

— Non si vive d’anima, di passione e di cose divine, mio piccolo caro, — ammonì Lucilla con una voce dolcissima, e finì le sue parole in un sospiro così profondo che Giorgio tornò presso di lei, sedette sul bracciuolo del [p. 172 modifica]divano e le baciò una spalla. Ma ella in quel momento si alzò e gli offerse le mani in un gesto di saluto e di congedo.

— Adesso lasciami, — disse — ho tante incombenze da sbrigare, tante disposizioni da prendere per questa partenza.

— Quando andrai via?

— Posdomani, col treno del pomeriggio.

— Permettimi di vederti un momento domani sera.

— Sì, ma un momento solo, dopo le dieci.

Ella lo accomiatò, concedendo a un lungo bacio avido le sue palme tepide e morbide; e rientrò nelle sue stanze, dove il disordine di quell’affrettata partenza ammucchiava alla rinfusa le cose più diverse e sovrapponeva i più stridenti colori, con una vivace brutalità zingaresca.


— Questa sera accompagnami alla prima della Carmen, — gli disse il domani sua madre, la marchesa di Sanminiato, che era una donna molto mondana e ancora assai piacente nonostante i quarantacinque anni abilmente nascosti e la pinguedine vigorosamente imbustata.

— Potrò rimanere con te durante il primo atto soltanto, — rispose seccato Giorgio che [p. 173 modifica]aveva passata la giornata a torturarsi nel rammarico di quell’abbandono e ad apparecchiarsi all’addio della sera.

Indossò irosamente la marsina, infilò all’occhiello la gardenia che sua madre gli aveva disposto sul cassettone e per la prima volta, ritto dinanzi allo specchio, gettò a se stesso uno sguardo distratto, senza ammirare la bellissima perla dai rari riflessi azzurri e violacei, perfetta nelle sue trasparenti rotondità che dolcemente brillava sul candore del suo sparato.

Quand’ebbe collocata sua madre nel palco fra due vecchi amici che le facevano la corte con una discreta galanteria d’altri tempi, Giorgio le baciò la mano e le chiese il permesso d’assentarsi. E poichè suonavano in quel punto le dieci, si precipitò in automobile e suonò alla porta di Lucilla De-Renzi pochi minuti dopo.

Ella salutava in quel momento una coppia di giovani amici suoi, marito e moglie, che s’indugiavano da mezz’ora in complimenti e in lamentele senza fine e fu tutta lieta dell’arrivo di Giorgio che le permise di liberarsi dei tediosi visitatori.

— Come sei bello! — ella esclamò mentre lo introduceva nel salotto; ed ammirò il taglio elegante della sua marsina, la trasparenza delle sue calze di seta, la fresca gardenia del suo [p. 174 modifica]occhiello e più di tutto la meravigliosa perla che gli brillava sul petto.

Ma Giorgio non sorrideva e continuava a stringerla a sè con un fervore quasi selvaggio che stonava con l’impeccabile mondanità del suo abito.

— Ci rivedremo, non è vero? Giurami che ci rivedremo presto laggiù.

La sua voce tremava di tale intensità che la donna guardandolo ne fu scossa, tanto più che quella sera egli era bellissimo, così snello elegante pallido, vero tipo di razza, chiuso nel nero e nel bianco di quella cornice severa.

— Forse, — ella promise a mezzo, sorridendo ambigua e guardandolo di sotto in su, con quel suo sguardo sfuggente che le dava talvolta un’espressione subdola e falsa.

— Non dirmi forse. Dimmi di sì. Giurami che verrai.

— Forse! — ella ripetè con voce lunga, indolente, quasi distratta.

Egli la guardò. Vide la direzione dei suoi occhi, seguì il gesto della sua mano e le sollevò il volto afferrandola alle tempia.

— Ti piace? — le domandò quasi torvo.

— Molto, — ella mormorò fissandolo senza batter ciglio.

Allora Giorgio Sanminiato dimenticò che [p. 175 modifica]quella perla era più una reliquia che un gioiello, dimenticò che per tutta la vita la sua ava l’aveva portata all’anulare e con uno strappo nervoso la tolse dal suo sparato e l’offerse all’amica.

— Ecco: fattene un anello e portalo al dito, — le impose quasi duramente. E dopo un momento soggiunse: — Ma voglio in cambio una promessa.

— Quale?

— Che ci rivedremo.

— Ci rivedremo, te lo giuro, — ella rispose con impeto, lungamente baciandolo sulle labbra, tutta rosea di gioia. E subito dopo lo lasciò per ammirare la perla alla luce vivida delle lampade, volgendola e rivolgendola fra le dita per trarne i riflessi così soavemente leggiadri che un momento prima s’irradiavano dal petto di Giorgio.

— È un dono da regina, — susurrò quasi a se stessa, senza guardare l’amico. — Un dono troppo bello per me.

Egli sentì che Lucilla mentiva, ma gli piacque in quella ostentazione d’umiltà che accresceva valore alla sua offerta.

— Nulla è troppo bello per te, nulla è troppo prezioso per ripagare l’amore d’una donna come te, — le mormorò all’orecchio con fervore, tra[p. 176 modifica]scinandola nella camera attigua, quella che li rifugiava nelle loro ore d’intimità più appassionata.

Era passata la mezzanotte quand’egli lasciò l’amica con un ultimo bacio e un’ultima promessa: — Ti verrò a salutare domani alla stazione.

Per via riflettè che doveva ancora passare al teatro per riprendere sua madre e vi si diresse, ma fatti pochi passi rammentò che dal suo sparato mancava la perla e, per evitarsi spiegazioni che lo tediavano, ripigliò la sua strada e dopo mezz’ora si spogliava lentamente e si poneva a letto con l’anima e i sensi rivolti alla sua dolce lontana.

— Come mi ama, — meditava nel dormiveglia, — come si è mostrata felice del mio dono che le ricorderà continuamente l’amico assente, che sarà fra di noi come un legame occulto, quasi come l’anello d’una fede nuziale nota a noi soli!

Si addormentò in questi pensieri ed essi lo riafferrarono il domani a tarda mattina quando si destò e si ricordò ch’ella doveva partire quel giorno.

— Saprò certo oggi stesso dove e quando ci rivedremo, — egli si ripeteva, e immaginava luoghi ignoti e incantevoli, meravigliose cor[p. 177 modifica]nici al loro amore circondato di mistero e di pericolo. E nella sua impazienza giunse alla stazione mezz’ora innanzi tempo.

Ma attese con rassegnazione e quando finalmente la vide giungere, scendere da una carrozza fra valige e cappelliere, le mosse incontro pallido e le tese la mano.

Ella sembrò non vedere quel gesto confidenziale, lo salutò appena con un freddo cenno del capo e passò oltre, come una persona enormemente affaccendata e preoccupata. Giorgio la seguì, osando appena rivolgerle alcune parole insignificanti, mentre Lucilla prendeva il biglietto e s’avviava verso il suo treno. Congedò il facchino, l’aiutò a disporre con cura le sue valigette in uno scompartimento ancora vuoto e rimase solo con lei.

Ella si guardò nello specchio della parete, s’adagiò in un angolo e continuò a tacere, chiusa in se stessa, fredda e ostile, gettandogli di bieco qualche occhiata torva, come una nemica.

— Ma che hai? Dimmi, che hai? Sei triste perchè devi partire o un altro pensiero ti preoccupa? Io non comprendo.

Giorgio non comprendeva quell’ostinato mutismo, quell’atteggiamento iroso e scontroso e se ne disperava con parole piene di rammarico, con domande trepide d’ansietà. [p. 178 modifica]

Ed ella taceva sempre, con gli occhi fissi lontano e la faccia torbida. Ma quando il treno si mosse, balzò in piedi e lo spinse verso lo sportello imponendogli seccamente:

— Vattene. Ora si parte.

— Ci rivedremo, non è vero? Dimmi che ci rivedremo.

Ella torse la bocca a un sogghigno e rispose:

— Mai!

— Ma, Lucilla, che hai? Che cosa ti ho fatto di male?

Sentì stridere una lunga risata beffarda, vide ch’ella gli tendeva la mano dall’alto, che gli porgeva un piccolo involto.

— Ecco che ho. Ti restituisco la tua perla. Conservala. Starà assai meglio sulla tua marsina che sulla mia mano.

— Perchè?

— Perchè è falsa.

Il treno partì e Giorgio Sanminiato rimase inchiodato dallo stupore sul marciapiede bituminoso.


La sera stessa, chiuso nella sua camera, egli meditava cupamente sulla miserabile fine della sua passione, senza tuttavia riuscire a spiegarsi le parole taglienti di Lucilla, quando sua madre bussò alla porta chiamandolo con la sua [p. 179 modifica]consueta gaiezza rimasta giovanilmente stordita a dispetto dell’età matura.

— Giorgio, vieni fuori del tuo antro. Ti propongo una passeggiata in automobile prima di pranzo.

Egli aperse il battente e le apparve d’un tratto così sconvolto ch’ella non potè trattenere un piccolo grido.

— Ma, bimbo mio, tu stai male. Come sei pallido! Mi spaventi.

— Non spaventarti, mamma, — egli disse freddamente, — e spiegami piuttosto una cosa che non comprendo.

— Che cosa?

— Ecco, — egli continuò mettendole sott’occhio la perla. — Ho creduto finora d’aver ereditato dalla mia nonna un gioiello di qualche valore e invece oggi ho delle ragioni per sospettare che questa perla non è vera. Sai tu dirmi la verità?

Ella prese il gioiello fra le dita e lo esaminò in silenzio. Ma Giorgio s’accorse che le mani di sua madre tremavano e che il suo seno ansava di mal dissimulata emozione.

— Tu sai qualche cosa, mamma. Dimmi la verità: questa perla è falsa.

La marchesa Sanminiato s’accasciò in una poltrona presso la scrivania e incominciò a [p. 180 modifica]piangere con sussulti e gemiti, coprendosi gli occhi come se temesse gli sguardi di suo figlio.

— Dimmi qualche cosa invece di piangere.

— Non ne ho forza. Giorgio, sento che tu non potrai mai perdonarmi.

— Perdonarti, mamma? Che significano queste parole?

Egli s’era curvato su di lei e con le mani aggrappate ai bracciuoli della poltrona la stringeva in un cerchio di interrogazioni così insistenti e impazienti, che la marchesa Sanminiato cessò all’improvviso di piangere e si risolse a confessare la verità.

— Un giorno, due anni e mezzo or sono, avevo bisogno urgente di danaro. Non sapevo dove rivolgermi e vendetti la tua perla. Ne avevo acquistata prima un’altra falsa ma somigliantissima e nessuno s’accorse del cambio. La verità è questa. Ed ora disprezza pure tua madre: hai ragione.

Il giovane si sollevò senza guardarla, coi denti chiusi sotto le mascelle contratte, e uscì. Si sentiva soffocare, si sentiva profanare da tutte quelle volgarità, da tutta quella falsità e, più atroce d’ogni altro male, sentiva morire dentro di sè il suo luminoso amore, schiacciato da troppe cose impure e vili.

Ecco: sua madre gli rubava un’antica perla [p. 181 modifica]che gli era cara per pagare un fornitore prepotente, e la sua amante ch’egli adorava più d’ogni cosa al mondo, gli sfuggiva insultandolo, perchè si accorgeva d’aver fatto un cattivo affare.

La nausea gli saliva alla gola dal cuore stretto d’indignazione per gli altri e di pietà per se stesso.

Egli vagò tutta la notte solo, alla ventura, assorto nelle sue amare meditazioni, e quando all’alba rincasò, la prima ruga sottile, la prima cicatrice della vita, solcava la sua fronte ventenne.