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Il gioiello dell'ava | 169 |
e gravi da sbrigare a casa mia e non so se potrò ancora ritornare. Ciò dipende da circostanze che mi è impossibile di prevedere per ora.
Giorgio Sanminiato ascoltava, chiuso in un silenzio cupo, battendo nervosamente il piede a terra e lasciando raffreddare la sua tazza di tè. Egli conosceva da cinque mesi quella donna, l’amava da quattro e da due settimane ne era l’amante. Soltanto da quindici giorni gli parea di essere realmente entrato nella vita con la conquista intera di quella creatura bella ed esperta, la quale concedeva finalmente all’ardore timido dei suoi vent’anni la gioia d’espandersi senza umilianti volgarità in una passione vera, in un amore fervido, ma insieme nobile ed alto per una signora, degna in tutto di questo nome.
Egli l’aveva collocata sopra l’altare della sua esaltata devozione e quando ella scendeva benigna da questo altare per passargli nei capelli le sue dita fini, chiamandolo con piccoli nomi teneri e dolcemente idioti, egli se ne meravigliava come d’un prodigio che si compisse per virtù d’amore.
Non era ancora uscito da quello stato di inebbriante e perfino dolorosa felicità che è tutto proprio delle passioni giovanili all’inizio,