Le ore inutili/I mughetti del professore

I mughetti del professore

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I MUGHETTI

DEL PROFESSORE.

Il professore Biagio Valenzi, dottore in lettere e filosofia, vide un giorno nella vetrina d’una fioraia un leggiadro cestello di mughetti di serra e si fermò ad osservarli con raccolta ammirazione pensando alla sua giovane allieva, la signorina Diana Vallebella.

Egli non sapeva con esattezza perchè quei fiori dalla tinta così delicatamente pallida, dalla forma così gentile, raggruppati con grazia armoniosa nel leggiero cestello dorato, richiamassero alla sua memoria la snellezza elegante, la biondezza rosea, l’arditezza ingenua della fanciulla alla quale egli commentava tre volte per settimana i grandi maestri della letteratura e i memorabili avvenimenti della storia.

Nondimeno, poichè egli era un poeta [p. 16 modifica] sentimentale, non ostante gli occhiali a stanga e la corpulenza un po’ goffa dei suoi quarantaquattro anni, risolvette d’offrire alla piccola Diana l’omaggio di quei fiori che tanto le rassomigliavano ed entrò nel negozio elegante della fioraia.

I mughetti di serra avevano un prezzo piuttosto esorbitante per le sue magre finanze di insegnante governativo, ma il professore non s’indugiò dinanzi a considerazioni d’ordine così prosaico e, acquistati i fiori, diede l’indirizzo di Diana Vallebella e li mandò a destinazione senza un biglietto e senza una parola.

— Ella comprenderà prontamente che il dono non può venirle che da me, — rifletteva il professore dirigendosi a lento passo verso il Liceo, dove i suoi cinquanta tumultuosi alunni lo attendevano per discendere con lui negli infernali gironi danteschi.

E quando terminata la lezione egli s’avviò finalmente verso il lontano villino Vallebella, dall’altro lato della città, già sorrideva con la larga faccia troppo florida, pregustando i vivaci ringraziamenti e le meravigliate esclamazioni di Diana, ferma in estatica ammirazione dinanzi al cestello dei suoi mughetti deposto sulla tavola delle riviste nello studio.

La vedeva venirgli incontro col suo elastico [p. 17 modifica] passo sportivo e stringergli tutte e due le mani con quella nervosa energia che nessuno avrebbe sospettato in una personcina così smilza e flessibile, rimproverandolo amabilmente con la sua grazia un po’ monellesca di farle la corte nel modo più riprovevole per la sua serietà di professore.

Ma allorchè il domestico lo introdusse nella chiara stanza arredata all’inglese, dove Diana ascoltava tre volte per settimana le sue conversazioni letterarie, non vi scorse traccia di fiori nè sulla tavola delle riviste, nè sulla scrivania.

La sua allieva si fece anzi aspettare dieci minuti e quando apparve lo salutò quasi freddamente e si dispose con gesti annoiati e nervosi a prendere i consueti appunti della lezione. Il professore doveva parlare quel giorno di Leopardi e s’era preparato un appassionato commento sulla poesia Amore e Morte, il quale avrebbe fatto piangere di commozione la più scettica delle anime femminili.

Senonchè, dinanzi alla svogliatezza irrequieta di Diana egli non osò, o gli parve inopportuno, richiamare fra di loro quelle parole di sconsolata amarezza amorosa che dovevano farli insieme vibrare di esaltato consentimento.

Diana, dal canto suo, abbreviò con un pretesto la lezione e lo accommiatò con un [p. 18 modifica] saluto distratto che lo riempì di timore e di tristezza.

— Ho creduto di renderle un omaggio e invece l’ho offesa, — rifletteva desolato Valenzi, camminando pel viale deserto che lo riconduceva al centro della città dov’egli abitava. E con quella mitezza di cuore che stonava alquanto con l’apparenza ruvida della sua persona, finì con l’ammettere che Diana aveva ragione di ritenersi offesa di quel dono, il quale era certo un atto di eccessiva famigliarità, indelicato e scorretto.

Ma, tornato dopo due giorni al villino Vallebella, trovò la fanciulla completamente mutata. Ella portava alla cintura un mazzolino dei suoi odorosi mughetti e gli corse incontro a mani tese con gli occhi sfavillanti.

— Segga, professore, e parliamo di poesia. Ma niente Leopardi, niente malinconie! Oggi mi sento più gaia di un’allodola e sono disposta soltanto ad ascoltare cose liete.

— Me ne rallegro signorina.

— Se ne rallegri, se ne rallegri pure. Vede questi mughetti?

— Li vedo.

— Ebbene, ne ho ricevuto un cestello pieno, un dono squisito che è una meraviglia, un gioiello, un amore. [p. 19 modifica]

— Oggi stesso?

— No, ieri l’altro, poco prima della sua lezione. Per questo mi aveva trovata così preoccupata ed irascibile.

— Non capisco.

— Com’è tardo a capire, caro professore! L’altro giorno io ignorava chi m’avesse inviato quei fiori e sebbene me ne fosse balenato un vago dubbio, tuttavia l’incertezza mi rendeva irrequieta e nervosa.

— Ed ora?

— Ora io so da chi mi viene quel dono e ne sono felice.

— E come avvenne la scoperta?

— In un modo molto semplice. L’ho indovinato io stessa e il donatore troppo discreto non può più smentirmi.

— Quel donatore timido è certamente un poeta intinto di sentimentalismo.

— È un artista, questo sì. Ed ora, professore, incominciamo a discorrere di letteratura.

— Come vuole, signorina.

Dopo un’ora di dotta conversazione Valenzi uscì dal villino Vallebella accompagnato al cancello del giardino dalla sua stessa allieva, la quale gli pose anche all’occhiello, con una grazia deliziosamente inquietante, prima di lasciarlo, [p. 20 modifica] al momento del saluto, alcuni profumatissimi mughetti.

— Questa ragazza è un enigma. Sa o non sa che fui io a inviarle quei fiori? — egli si chiedeva per via, meditando a capo basso. — Sa o non sa?

Durante alcune settimane egli continuò a rivolgere a se stesso questa domanda senza poter giungere ad una logica risposta, e continuò ad osservare con occhio indagatore la sua alunna la quale, con un avvicendarsi capriccioso di benevolenze confidenti e di inquietudini taciturne, di gaiezze vivaci e di irose malinconie, sconvolgeva oggi i suoi giudizi di ieri, apparendogli ogni giorno quel piccolo enigma vivente che lo turbava sempre più.

Egli s’accorgeva ora di correre alla sua lezione in casa Vallebella con un’ansietà rimasta fino allora ignota alla sua tempra solida ed alla sua chiara serenità di curioso, e ogni volta la speranza di sciogliere il mistero che lo agitava nell’intimo gli metteva nell’anima un oscuro tremore.

Finì un giorno per confessare tristemente a se stesso che per colpa di quel cestello di mughetti mandato a destinazione come un omaggio della poesia alla bellezza, egli si era a poco [p. 21 modifica] a poco innamorato nella maniera più ingenua della sua allieva.

Con la sua grave maturità, coi severi studi, coi suoi titoli accademici, si sentiva il cuore oppresso e la gola stretta come un adolescente alla sua prima avventura dinanzi alle incoerenti bizzarrie di quella ragazza di vent’anni che nascondeva un segreto d’amore. E si chiedeva senza posa trepidando: — Sa o non sa? Ama me, o ama un altro?

Aveva inteso dire che le giovinette si sentono attratte di preferenza verso uomini maturi, forse per quella legge di contrasti e di compensi che guida la cecità dell’amore e a cui un filosofo sottile diede l’esattezza attraente d’una formula. Ma quale realtà umana si nascondeva sotto quelle argomentazioni letterarie? Ed era questo veramente il caso particolare di Diana Vallebella?

Con alcune domande egli avrebbe potuto conoscere la verità. Bastava che la interrogasse ancora una volta sul supposto donatore dei fiori e che la costringesse abilmente a rispondere, senza dissimulare il suo pensiero.

Esitò ancora per qualche tempo, con una specie di strano pudore, finchè risolse un giorno di troncare le sue incertezze da cui non gli veniva che danno, rintracciando [p. 22 modifica] coraggiosamente il vero, anche col pericolo di andare incontro a una delusione.

Ma la sua allieva gli evitò queste difficili indagini, partecipandogli una sera, all’improvviso, una notizia inattesa.

— Professore, fra poco saremo costretti a troncare le nostre piacevoli lezioni.

— E perchè, signorina?

Ella aveva pronunciato con gaiezza, sebbene con una leggiera intonazione di rammarico le parole che annunziavano un prossimo commiato, ma Valenzi sentì che la propria voce tremava mentre egli mormorava con un sobbalzo trattenuto la domanda ansiosa.

— Perchè sono fidanzata, caro professore. Mi sposerò fra un mese e mezzo.

Valenzi inghiottì qualche cosa che lo stringeva alla gola e rispose con un sorriso penoso:

— Ne sono lieto, veramente lieto. E chi è dunque l’uomo fortunato che mi rapisce la più gentile fra le mie allieve?

— L’uomo fortunato è un giovane artista non ancora celebre, ma che lo sarà certamente un giorno. È il pittore Fulvio Albanesi, quello che ha lo studio in questa stessa casa all’ultimo piano.

— Non lo conosco, — mormorò Valenzi, [p. 23 modifica] crollando lentamente il capo e trattenendo a denti chiusi un sospiro.

— Nemmeno io lo conoscevo alcune settimane or sono. Conduceva una vita molto ritirata e laboriosa. Veniva a studio la mattina presto e se ne andava la sera tardi. Mammà diceva che era un giovine molto serio e papà che pagava puntualmente la pigione. Io lo guardavo spesso, nascosto dietro le cortine della finestra perchè mi piaceva molto, ma egli sembrava ignorare persino la mia esistenza. Finchè un giorno, al principio di marzo....

— Al principio di marzo? — ripetè Valenzi trepidamente, rammentando che proprio in quei giorni egli le aveva mandato i malaugurati fiori.

— Sì, ai primi di marzo io ricevetti un bellissimo cestello di mughetti di serra, assolutamente anonimo e subito immaginai che il donatore così discreto di quei fiori non poteva essere che il giovine pittore dell’ultimo piano.

— Ed era lui?

— Era lui. Rimasi tutto un giorno tormentata dall’incertezza, ma il domani lo attesi sulle scale e, fingendo di averlo incontrato a caso, gli chiesi la cortesia di farmi visitare il suo studio, soggiungendo di non essere mai penetrata nello studio di un pittore. Egli rispose schermendosi con timidezza, osservandomi che [p. 24 modifica] la sua casa era povera d’opere e poverissima d’arte, ma invitandomi tuttavia ad entrarvi quando mi piacesse. Allora, senz’altre divagazioni, io lo ringraziai del suo omaggio silenzioso, lodando la gentilezza e il profumo del suo cestello di mughetti e soggiungendo ch’esso era stato per me un dono squisito, degno di uno squisito artista come lui.

— E che cosa rispose lo squisito artista?

— Tornò a schermirsi timidamente, negando con aria di mistero d’essere lui stesso il colpevole di simile arditezza, ma alle mie insistenze finì col tacere, lasciandomi comprendere che non aveva osato manifestarmi in altro modo la sua ammirazione appassionata e che quei fiori mi portavano tacitamente le parole oscure che occupavano il suo pensiero, ma ch’egli non avrebbe mai ardito rivolgermi. Ed ecco come cominciò il mio fidanzamento, caro professore, ecco per quale via io sono giunta alla felicità.

Valenzi non rispose subito. Si pulì con cura gli occhiali che gli parevano annebbiati di un vapore grigio ed aperse e richiuse due o tre volte un libro deposto accanto a sè sulla scrivania.

— Che cosa debbo fare? — si chiedeva frattanto. — Rivelare la sottile ipocrisia e lo scaltro opportunismo di quel giovine pittore che [p. 25 modifica] s’era valso d’un gesto di grazia altrui per arrivare a quella deliziosa creatura e per concludere con abilità un eccellente matrimonio? Egli se ne sentiva sdegnato come d’una beffa e umiliato come d’una profanazione, ma comprendeva ch’era ormai troppo tardi per scoprire alla fanciulla la verità. A che cosa avrebbe essa ormai servito? Diana era innamorata di quel giovine e dinanzi all’amore non c’è nulla di più dolce che l’inganno, nulla di più odioso che il vero.

— Professore, ella che è poeta scriverà un sonetto per le mie nozze?

Diana gli stringeva le mani sorridendo di quel suo bel sorriso luminoso che lo abbagliava, mentre egli in piedi dinanzi a lei prendeva commiato con un volto atteggiato a grave serietà.

— No, signorina. La mia musa non ha sufficiente dimestichezza con le caste gioie d’Imene, — rispose alquanto ironico il professore Biagio Valenzi. E subito soggiunse più sereno: — Le faccio però un augurio da poeta.

— Ossia?

— Ossia che la sua felicità non abbia mai a trovarsi faccia a faccia con la verità.

— Non comprendo.

— È meglio che non comprenda. [p. 26 modifica]

Giunsero insieme al cancello del giardino, in silenzio, un poco oppressi entrambi dalla oscurità grave di quelle parole, poi il professore si chinò a baciare per la prima volta la mano della sua allieva, quella piccola mano ch’egli stesso, senza saperlo, aveva offerto ad un altro.

Quindi varcò la soglia e se ne andò a capo chino, senza voltarsi.