Le ore inutili/Datemi soccorso

Datemi soccorso

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I mughetti del professore Scherzi di guerra
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DATEMI SOCCORSO.

— Lo sapevi pure ch’ero venuta per salutarti. Tutti ormai lasciano la città e mio marito doman l’altro mi accompagnerà egli stesso col bimbo, lassù, nella nostra villa sul lago.

— Dove tu ti diverti a lasciarti corteggiare da tutti gli sfaccendati eleganti che egli ti porta in casa.

— Ma che dici, Gustavo? Io compio il mio dovere di padrona e di ospite, ma, in realtà, nel segreto del mio cuore non amo che te, te solo. E tu lo sai.

— Io non so nulla. So soltanto che tu te ne vai e mi lasci qui a spremermi il cervello arido sulle pagine di questo romanzo che non mi riesce di condurre a termine, sebbene il mio editore lo reclami per la fine del mese. Tutto mi mancherà con la tua partenza. Anche il conforto del tuo sorriso, del tuo sguardo [p. 28 modifica] e dei tuoi baci che mi aiutavano a ritrovare me stesso nelle soste di questo faticoso lavoro. Ma non mi sorprendo. Voialtre donne non sapete amare, non sapete abbandonarvi all’onda travolgente di una passione, nel divino oblìo di tutto e di tutti. Per una metà vi concedete, e per l’altra metà rimanete attaccate tenacemente ai piccoli doveri della famiglia, della casa, della mondanità, alle stupide esigenze della vostra vita ristretta.

— Gustavo, te ne prego, non parlare così aspramente. Mi fai troppo, troppo male. Ricordati almeno che ti offersi un giorno di lasciare tutto quanto mi legava e di fuggire con te. Non hai voluto. Sono pronta a farlo domani, oggi stesso, se me lo chiedi.

— Io non ti chiedo nulla. Vattene pure in villeggiatura, e divertiti e godi. Io rimango a soffrire in silenzio e in solitudine. Il mio dolore ti parlerà forse un giorno per mezzo di queste creature fittizie che escono con pena dal mio cervello tormentato. Addio.

Lo scrittore s’alzò dalla poltrona in cui giaceva sdraiato con gli occhi al soffitto e tese le due mani alla giovine signora sgomenta che s’appoggiava col dorso incontro al piano del largo tavolo da lavoro sparso di carte in disordine. [p. 29 modifica]

Ella gli premette invece sulla spalla le sue piccole palme inguantate e lo fissò negli occhi lungamente.

— Mi mandi via a questo modo, con un saluto così amaro e così gelido?

Egli si strinse nelle spalle e non rispose.

— Verrai domani a dirmi ancora una parola buona prima ch’io parta?

— Non so....

— Verrai a passare alcuni giorni od alcune settimane lassù in villa, presso quel lago che ti piaceva tanto, un tempo?

— Dovrò consegnare il mio romanzo innanzi tutto e forse non giungerò mai a finirlo. Conta su altri ospiti, non contare su di me.

— Quando ci rivedremo?

— Chi sa? Forse mai più.

Erano giunti passo passo nella grande anticamera deserta, dove alcune statue greche e un basso sarcofago di porfido si specchiavano nella lucentezza del pavimento veneziano, e Gustavo Ardenzi accarezzava il piede calzato di coturno d’una baccante, senza guardare l’amica che impallidiva alle sue parole crudeli.

— Ti aspetterò domani tutto il giorno, — ella sospirò a guisa di commiato.

— Forse inutilmente, — le rispose l’amico con un ultimo freddo sguardo, e richiuse ada[p. 30 modifica]gio il battente, ritornò nel suo studio, s’abbattè sulla poltrona, trasse un lungo sospiro iroso, quindi si raccolse a meditare.

Era stato duro, era stato malvagio, ma non se ne rammaricava nè se ne pentiva. Quella donna lo amava: glie ne aveva dato prove sicure, eppure egli provava un acre, egoistico piacere nel ferirla così, senza ragione, nel pungerla di sospetti infondati e di accuse ingiuste, sfogando su di lei, docile e innamorata, i suoi nervi troppo vibranti di intellettuale raffinato e insodisfatto.

Ora lo irritava quella sua partenza per la villeggiatura mentre egli se ne rimaneva solo a lottare col suo assillante lavoro letterario che lo deludeva e lo inaspriva. E s’era compiaciuto, forse soverchiamente, di quella sua voce così tremante e supplichevole nell’ultimo saluto.

Tanto se n’era compiaciuto che gli pareva quasi di non amarla più, di sentirla già estranea al suo cuore e indifferente al suo desiderio d’amante.

Che cosa contava finalmente quella donna nella sua vita? E se anche l’avesse lasciata? Non ne esistevano al mondo tante altre più belle, più intelligenti, più appassionate?

Gustavo Ardenzi crollò sdegnosamente le [p. 31 modifica] spalle e andò a fumare una sigaretta presso la finestra aperta, la quale s’affacciava sopra un immenso parco folto d’ombre e sonante di gorgheggi.

— Ora mi pongo serenamente al lavoro, col pensiero libero da qualunque ossessione femminile, — rifletteva. — In fondo le donne sono i peggiori impacci allo svolgersi delle nostre facoltà superiori. Occorre eliminarle, per quanto è possibile, dalla vita del nostro spirito.

Buttò dalla finestra il residuo della sigaretta e si volse per sedere allo scrittoio riordinando i fogli sparsi e riprendendo la penna.

Ma in quel momento il campanello del telefono squillò acutamente e lo scrittore afferrò con mal garbo l’apparecchio ricevitore e se lo portò all’orecchio. Rimase un attimo in ascolto pensando:

— È lei, ancora lei — e sospirò con gli occhi al cielo, infastidito e insieme lusingato.

Invece una voce dal timbro maschile suonò nell’incavo.

— Parlo con Gustavo Ardenzi?

— Sì.

— Permette a un suo ammiratore sconosciuto di rivolgerle la parola?

— Dica rapidamente. Ho poco tempo a disposizione. [p. 32 modifica]

— Mi perdoni, la prego. Mi trovo in un momento così sconvolgente della mia vita che ho bisogno di comunicare la mia pena a qualcuno che mi comprenda, a un conoscitore d’anime, a un forte, a un consolatore come lei, per non restarne vinto e sopraffatto.

La voce lontana e ignota s’abbassò e tremò nell’apparecchio trasmettendo a colui che ascoltava la sensazione di un dolore intensamente sentito, di un affanno trepido, in attesa.

Ma colui che ascoltava attraversava l’ora dello scetticismo arido e freddo e non se ne commosse.

— Voi soffrite per una donna? — domandò con un lieve accento di ironica commiserazione.

— Sì, per una donna che mi ha lasciato, che ho supplicato con tutte le umiliazioni di tornare a me, e che attendo ormai da tre giorni invano. Sono all’estremo della mia resistenza, mi trovo ridotto a un miserabile brandello d’umanità. Ditemi voi, ve ne scongiuro, una parola che mi consoli e che mi sollevi; datemi la forza di attenderla ancora e di credere ancora in lei, datemi conforto, datemi soccorso, prima che....

Gustavo Ardenzi sbuffò d’impazienza e battè il piede in terra. Quella lamentela diventava troppo prolissa e la ragione di tutti quei ge[p. 33 modifica]miti, quei sospiri, quegli spasimi gli pareva così futile e così sciocca! E perchè confidare proprio a lui quelle troppo vane e troppo solite pene d’amore? Che importava a Gustavo Ardenzi se una donna si faceva aspettare dal proprio innamorato, e se costui smaniava nell’attenderla inutilmente? Che gli importavano i casi di quello sconosciuto?

Lo sconosciuto dovette sentire, attraverso al filo sottile che portava la sua voce, l’impazienza sdegnosa di colui che l’ascoltava, perchè s’interruppe d’improvviso quasi intimidito e timoroso.

— Voi siete un povero ingenuo od un povero illuso. Non ho altro a dirvi, — dichiarò Gustavo Ardenzi duramente, e troncò la comunicazione.

Quindi sedette allo scrittoio, afferrò la penna e si pose a scrivere.

Lavorò fino a sera e parte della notte a quel suo romanzo di violenta passione, egualmente lontano e staccato col pensiero dalla donna dolente ch’egli aveva angustiato con le sue amare parole e dal triste sconosciuto che invano aveva implorato da lui una consolante espressione di fede nella vita. Lavorò fino ad ora tardissima, chiuso in quell’egoistico cerchio di ardente cerebralità in cui lo scrittore [p. 34 modifica] s’isola con le creature del suo spirito sereno e s’apparta con esse in un suo mondo irreale, così vero tuttavia per la propria esaltazione che il mondo reale gli diviene invece fittizio e inesistente.

Quando si coricò era quasi l’alba e quando, dopo un sonno pesante e senza sogni, egli si destò suonavano a tutte le torri le campane del mezzogiorno.

Il cameriere gli portò il caffè e i giornali ch’egli aperse distrattamente e che percorse con lo sguardo svagato, qua e là, senza soffermarsi.

Ma nella cronaca della città un titolo più vistoso lo attrasse: — Un noto artista suicida per amore.

I fatti passionali interessavano sempre in lui lo studioso dell’umanità d’eccezione, ed egli lesse con attenta curiosità la narrazione minuta di quel dramma, avvenuto il giorno innanzi al tramonto.

Il suicida era un pittore trentenne già molto apprezzato nel mondo dell’arte e ch’egli rammentava per aver acquistato in una esposizione, pur senza conoscerlo, un suo piccolo studio di testa femminile.

Con la brutale profanazione d’ogni segreto che la tragicità d’un suicidio permette, il gior[p. 35 modifica]nale raccontava come il giovane fosse stato abbandonato un mese innanzi dalla propria amante, una bellissima mondana, la quale gli serviva spesso da modello e che il dolore d’averla perduta e l’inutile, spasmodica attesa del suo ritorno lo avevano spinto alla volontaria morte. La madre del pittore visitandolo verso sera allo studio lo aveva trovato al telefono intento a comunicare con qualcuno, e sembrandole abbastanza calmo se n’era andata senza sostare.

Venti minuti dopo il giovane si sparava al cuore un colpo di rivoltella e cadeva riverso ed esanime ai piedi dell’apparecchio telefonico.

Gustavo Ardenzi, giunto a questa parte della narrazione, si fermò a meditare con la fronte segnata da due profonde rughe e lo sguardo veemente fisso al suolo. Il vago dubbio che gli era balenato al principio della lettura si faceva a questo punto rodente certezza.

Lo scioglimento sanguinoso di quel dramma era dovuto a lui. La voce lontana che lo aveva implorato la sera innanzi al tramonto, il grido angoscioso che chiedeva soccorso ed al quale egli aveva freddamente, beffardamente negato aiuto era quello del giovine morituro che invocava da lui, esperto conoscitore d’anime, indulgente rivelatore delle umane miserie, una [p. 36 modifica] piccola luce di speranza o d’illusione per resistere al desiderio di morire.

La luce non era apparsa a rischiarare l’ombra della sua disperazione, il conoscitore d’anime, il rivelatore indulgente aveva risposto con uno sdegnoso motteggio; colei ch’egli attendeva attaccato tenacemente a un inganno estremo non sarebbe più tornata alle sue braccia protese, e la forza di vivere gli era mancata d’un tratto, la volontà della fine di tutto era sopravvenuta all’improvviso, come il bisogno d’una liberazione e d’un riposo, e il gesto tragicamente definitivo, che tronca ogni male ed ogni bene, era stato compiuto.

Lo scrittore, col capo fra le palme, rifletteva su quel triste caso umano del quale egli era stato involontariamente partecipe, e un’angoscia irosa verso se stesso lo mordeva, quasi col tormento sottile d’un rimorso.

Perchè non s’era piegato più fraternamente verso quell’afflitto, il quale gli dimostrava tanto abbandono di confidenza da aprirgli interamente il suo cuore, e tale illimitata fede da renderlo arbitro della sua vita e della sua morte?

Forse perchè la sua voce gli era giunta in un momento di arido scetticismo, nel quale il soffrire a cagione di una donna gli pareva una [p. 37 modifica] ridicola ingenuità d’illuso. Questo egli gli aveva seccamente dichiarato e, per quella ridicola ingenuità d’illuso, l’altro, ai piedi di quello stesso apparecchio che gli trasmetteva la beffarda risposta, s’era ucciso.

Un momento prima egli aveva ferito con parole ingiuste e crudeli la dolce amica che gli rimaneva da anni fedele, e mentre ella se ne andava sgomenta, con gli occhi e l’anima pieni di pianto sotto la minaccia di un abbandono, un altro uomo, più sensibile, più giovine, più puro, per lo stesso abbandono moriva.

Si poteva dunque sentire l’amore in modo e in misura così diversi? Quale strano essere era dunque una donna, perchè si potesse apprezzarla fino all’offerta della vita, o sdegnarla fino a volgerle duramente le spalle? E quale dei due sentimenti era più vicino alla verità?

Gustavo Ardenzi s’agitò per alcune ore in questo intimo dibattito, così appassionante per il suo spirito di scrittore e per il suo cuore d’uomo. Non scrisse nemmeno una cartella del suo romanzo, ma verso sera uscì di casa, passò da una fioraia ed ordinò una grande corona di rose, senza nome, per il giovane artista suicida.

Poi, passo passo, giunse fino alla casa della [p. 38 modifica] sua dolce amica fedele, e quando ella con ansia sbigottita gli apparve e gli sorrise timidamente, in silenzio, senza osare di manifestargli la sua meraviglia e la sua gioia ancora dubbiosa, egli le afferrò tutte e due le mani, ed incominciò a baciarle nelle piccole palme, avido, ad occhi chiusi, come un assetato che si ristori finalmente a una fresca fonte.