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30 | le ore inutili |
gio il battente, ritornò nel suo studio, s’abbattè sulla poltrona, trasse un lungo sospiro iroso, quindi si raccolse a meditare.
Era stato duro, era stato malvagio, ma non se ne rammaricava nè se ne pentiva. Quella donna lo amava: glie ne aveva dato prove sicure, eppure egli provava un acre, egoistico piacere nel ferirla così, senza ragione, nel pungerla di sospetti infondati e di accuse ingiuste, sfogando su di lei, docile e innamorata, i suoi nervi troppo vibranti di intellettuale raffinato e insodisfatto.
Ora lo irritava quella sua partenza per la villeggiatura mentre egli se ne rimaneva solo a lottare col suo assillante lavoro letterario che lo deludeva e lo inaspriva. E s’era compiaciuto, forse soverchiamente, di quella sua voce così tremante e supplichevole nell’ultimo saluto.
Tanto se n’era compiaciuto che gli pareva quasi di non amarla più, di sentirla già estranea al suo cuore e indifferente al suo desiderio d’amante.
Che cosa contava finalmente quella donna nella sua vita? E se anche l’avesse lasciata? Non ne esistevano al mondo tante altre più belle, più intelligenti, più appassionate?
Gustavo Ardenzi crollò sdegnosamente le