Le monete attribuite alla zecca dell'antica città di Luceria/Cenno

../Introduzione

../I Classe IncludiIntestazione 1 dicembre 2016 100% Da definire

Introduzione I Classe
[p. 5 modifica]

CENNO SULLE ANTICHITÀ DI LUCERIA




I primordi di questa città capitale della Daunia, sono involti, dicevamo or ora, nel velo del mistero e della favola. L’esagerazione messa in tutte le cose da’ nostri patri, greci od italici che fossero, di attribuire ogni ordinario evento, a divinità, ad influenze soprannaturali, a miracoli, diè luogo a quelle favole tanto avidamente accolte da popoli ignoranti, e privi del lume della filosofia, a quei racconti immaginari atti a divertire i fanciulli malati od insonni. Che non pertanto tramandati dagli scrittori dell’antichità, co’ medesimi colori, o perchè imbevuti de’ medesimi principî, o per essere fedeli e materiali riportatori de’ popolari racconti e tradizioni, disnaturarono il vero, e caddero nel dilegio1. Qualche fiata, sdegnosi di riportare di certe città le stesse origini divine adombrate di favole e di esagerazioni, si tacquer del tutto, e quindi ci rimasero sforniti di ogni notizia o sussidio qualunque, che la popolare tradizione tramandava alle generazioni avvenire. Indarno lo spirito di ricerca del secolo si studia di trovare elementi ove manca ogni genere d’indizio, o fondamento qualunque. Tanto si verifica in risguardo agli antichi fondatori di Lucera. Tutte le leggende sono cose immaginarie, sono parti di inferma fantasia; imperò resterà per noi sempre fermo, che desso fu antico popolo italico, che partecipò della civilizzazione del proprio progredire delle umane [p. 6 modifica]cose, sia pure che in remota antichità abbia accolte in seno delle colonie di popoli ignoti, non avendoci trasmesso del loro passaggio documenti sufficienti. Disamineremo in seguito se si civilizzò al sopravvenire delle tante colonie greche, in conseguenza del distrutto Ilio; infine se fosse colonia provveniente dalla media Italia, come altri pretesero.

La posizione di Lucera nella eminenza della grande pianura di circa 40 miglia quadrate, costituente la grande possidenza della Corona delle Due Sicilie appellata del Tavoliere di Puglia2, altra fiata e per molti secoli residenza del mare, che lasciò dappertutto di sua lunga permanenza evidenti reliquie geologiche3, sembra che fosse stata abitata da popoli Aborigini, di cui ignoriamo la denominazione, ed ogni altra circostanza che da vicino li riguardi.

Luogo adatto per estollere le sue abitazioni sulla circostante marina, conquistando quel suolo che il mare abbandonava, e che la umana industria rendeva [p. 7 modifica]abitabile agli uomini, ed atto alla coltura, per somministrargli tetto ed alimento. Veicolo infine di communicazione tra le diserte lande marittime ed i montuosi Abruzzi, avendoci Varrone serbata la notizia della periodica trasmigrazione dagli Abruzzi nelle Puglie, e viceversa, a seconda delle stagioni, della pastorizia, che fa ricche queste diverse province. Trasmigrazione che usavasi a’ suoi tempi, ma che non esclude di avere esistita in tempi assai più remoti4. Ed in conseguenza, punto importante, vogliam sostenere, affiancato da peculiari circostanze, per meritare di addivenire il capo di una grande regione.

Ma i Sanniti, i Frentani, ed altri popoli limitrofi, e co’ quali per ragione della scambievole sussistenza esser dovevano in intimo e continuato commercio, forse maggiore di quello che ora ravvisiamo, erano civilizzati da remota antichità, come il dimostrano le loro medaglie, ed i lavori di arte che raggiunser la perfezione5.

Perlochè, pare doversi conchiudere, che un popolo primitivo italico abbia abitato questo suolo tanto classico nell’antichità patria, sieno Aborigini, sieno Ausoni, sieno Liburni, sieno Sanniti, sieno qualunque le denominazioni che vogliansi dare a questo popolo primitivo, compreso col più esteso nome di Osco.

E gli scavi di antiche tombe e di antichi monumenti, distinti chiaramente dalla perfezione dell’arte greca, sembra confortare questa opinione, non potendosi [p. 8 modifica]attribuire ai tempi di decadenza romana, perchè non offrono che rozzi e primigeni lavori, e medaglie di grosso peso e volume, sfornite di leggende e di bei disegni. Si è questo il progredire di tutte le umane cose. Dalla rozzezza si passa alla mediocrità; da questa allo stato di perfezione. Dall’arte della monetazione si apprende il grado della civilizzazione di un popolo; dalla loro frequenza la ricchezza di esso; dalle impronte spesso ci è dato intendere costumi e particolarità, che non si son potuti sapere dagli scrittori.

E di siffatte reliquie, moltissime ne conserva, con instancabile cura e diligenza raccolte, il nostro amicissimo ch. Canonico Filippo Lombardi delle patrie memorie passionatissimo cultore, da fornirne pascolo piacevolissimo agli archeologi. Ma ci arrestiamo alla semplice menzione, per non escire da’ limiti di ristretta memoria6.

Il dotto Eckhel7, sull’appoggio di Strabone e Diodoro Siculo, reputava questa Città fondazione greca, e rimembra il primo scrittore, tralle altre magnificenze di questa celebre città, il famoso tempio di Minerva, oggetto di adorazione di tanti popoli circonvicini 8.

E qual dubbio, in quanto concerne i tempi posteriori, che al sopravvenire di tante colonie greche ne’ contorni di Lucera, non abbia ella partecipato col tempo degli usi, delle arti, e delle divinità di quella celebratissima nazione? Ma ciò [p. 9 modifica]non esclude la sua preesistenza di antica capitale della Daunia, con costumi, leggi, ed usi italici; e che « lungi di essere indisciplinati e sciolti, erano al par di quelli osservanti de’ sociali doveri », concludiamo col ch. Micali (V. I, p. 333).

Veniamo all’avviso di coloro, che la reputano colonia fondata dagli abitatori del Lazio e dell’Etruria.

I ripetuti ch. editori del Museo Kircheriano, così prendono a dire in proposito (p. 114). « Festo ci lascia argomentare, che anche il nome di Luceria venga dalle terre de’ Rutuli. Lucero, dice egli, chiamossi quel Re di Ardea che venne in soccorso di Romolo nella guerra che questi sostenea contro Tazio; ed aggiunge, che la terza centuria de’ cavalieri, la quale poco dopo quella guerra in Roma si istituì, fu detta de’ Luceri, dal nome di quello stesso Re. Non è inverisimile, che tra gli antenati di costui si contasse un altro Lucero, e che questo varcato l’appennino, con una colonia di Cistiberini, chiamasse Daunia la terra, e Lucera la città, che la sorte gli diede a nuova patria ».

E più sopra avevan detto che il rutulo Pico ebbe a figliuolo Fauno o Dauno, e che i Piceni ebbero da Pico il loro nome, così i Dauni da Fauno o Dauno; mostrando benanco una rassomiglianza di tipi le medaglie gettate di questi due popoli.

Ma con argomentazioni così distanti da’ nomi effettivi de’ soggetti, secondo la storia e le tradizioni; con immaginarsi fatti al fondamento de’ quali la stessa probabilità e verisimiglianza incontrano ostacoli; e dalla inverisimiglianza e differenza assoluta della monetazione di questi due popoli pel loro stile, divinità, e cose rappresentate, non può risultarne quanto pretesero i dottissimi autori. Fauno è diverso da Dauno; e chi dice dell’ altro Lucero, capo di coloni cistiberini, inoltratosi fino alle appule regioni?

Ma essendo in discussione archeologica, vediamo se co’monumenti, ed appoggi di questa scienza, si può risolvere, se fia possibile, la quistione.

II ch. Avellino prima della pubblicazione dell’opera de’ lodati scrittori il manifestava ne’ seguenti termini 9: « L’opinione che attribuisce a Lucera una classe assai importante di monete di Aes grave con tipi diversi, e colla lettera iniziale di quella forma che vedesi usata nella maggior parte degli antichi alfabeti italici (V. Sestini Class. gen. p. 15.), par che si renda ogni giorno assai più verisimile per la continua scoverta che di tali monete si fa nelle vicinanze di Lucera. Confermandosi per novelle scoverte una tale opinione, sarà degna di un accurato esame la quistione, circa l’ epoca in cui queste monete hanno potuto essere formate, e circa la potenza, la ricchezza, e l’ origine della città Dauna, che osservò un sistema di monetazione uniforme a quello delle antiche città, principalmente del Lazio e dell’Etruria ». [p. 10 modifica]

Scriveva di poi nel decorso anno 1844 quanto siegue10. «Passa l’autore (Riccio), con abbondanza di esempli a dimostrare, che le monete fuse non appartenevano al solo Lazio ed Etruria, e cita quelle di Lucera, di Venosa, e di Tiati, tutte città transappennine». (Ora si debbe aggiugnere Bari, avendosi da un collettore in Puglia, che non ama di esser nominato, un asse di circa 11 once, con sopra la prora un amorino che scocca il dardo, come le consuete monete de’ Barini con leggenda greca; e le gettate di Ascoli con lettera A, e fulmine, già dallo stesso autore pubblicate). «E per verità ci sembra, che di questa numismatica fusa transappennina, nessuno più faccia dubbio, dopo le tante dimostrazioni recatene 11».

La differenza poi de’ simboli e rappresentanze sorge chiara dalla stessa dimostrazione e dettaglio fattone da’ lodati scrittori. Dunque i monumenti, e la scienza dimostrano che furon due popoli differenti.

Fuvvi epoca in cui fu ritenuto, che le città italiche transappennine fossero erette o civilizzate ed aggrandite da’ coloni latini od etruschi. Ma dopo essersi rimarcato, che gli usi, la lingua, la religione, e la monetazione fu in tutto differente, nel silenzio della storia, su tali peculiari trasmigrazioni, siffatta opinione fu rejetta, e ritenuta invece la più ragionevole all’ appoggio de’ propri monumenti sfuggiti alla mano del tempo distruttore; che popoli aborigini, abitatori di queste contrade edificaron Lucera, vivendo più tempo con proprie leggi e sistemi; e che al sopravvenire delle greche colonie, da essi reputate dappria avverse conquistatrici, si grecizzarono poscia, imparentando cogli Elleni, e facendo leghe e trattati di amicizia, divenendo così semigreci, finchè il potere colossale di Roma ridusse tutte alla condizione di soggette 12.

Note

  1. « La Daunia (dice Micali Storia degli antichi popoli d’Italia Vol. 1. pag. 310.) è la più grande e notabil parte della Japigia. Confinava a settentrione co’ Frentani col mezzo del Frentone (oggi fiume Fortore), e comprendendo il promontorio del Gargano, si estendeva fino al fiume Ofanto che scende di su dall’appennino, e divide col suo rapido e vorticoso corso la regione de’ Dauni dalla Peucezia. Non vi ha favola che non si spacciasse intorno al Regno di Dauno e di Diomede per questa contrada, nè vi era città di qualche conto la quale non si dicesse fondata dal valoroso figlio di Tideo, e non mostrasse sue reliquie per accertarlo. L’additavano sulla riva dell’Ofanto i campi di Diomede a lui tocchi per dote o per retaggio (Diomedis campi. Festo V.). Serbavausi in Lucera nel tempio di Minerva i donativi e l’armatura dell’eroe (Strabo VI. ante, de mirab. p. 1161.), nè mancavano mille altri segnali del di lui antico impero nella Puglia. Di tal forma tutta la leggenda di Diomede trovava quivi le sue rappresentazioni. E si di vero queste novelle pubblicate per vanto da’ greci, che ne avevano piena la lingua ed il petto, si erano fatte di tante domestiche e locali, che si tenevano dal popolo come una delle glorie più belle della regione. Non ostante ciò, si puole avere per fermo, che Diomede non ponesse mai piede in queste parti, ma non potremmo già negare che qualche colonia di Dorici si stanziasse anticamente in Puglia, così come portava la fortuna de’ tempi ».
  2. Vasta tenuta che comprende quasi tutta la provincia di Capitanata; e porzione di terra di Bari, di terra d’Otranto, e di Basilicata (V. Coda sulla Regia Dogana di Puglia p. 2). Concedevasi in fitto un tanto a carro o versura (misure pugliesi), in ragione degli animali che fruivano le erbe; o de’ terreni che mettevansi a coltura. Più provvedimenti sonosi dati all’objetto per la migliorazione della pastorizia e dell’agricoltura di Puglia in varii tempi. Deboli ajuti vi diedero Carlo II., Roberto, Ladislao, e Giovanna II. Alfonso I. nel 1447, emise un privilegio, più antico del quale non si conosce, col quale statuì un Doganiero col mero e misto imperio, ed ample facoltà, onde indagare e registrare, gli animali che immettevansi al pascolo proporzionatamente ai terreni, ed alle esazioni e tasse a riscuotersi. Era un vero procuratore ad esiggere. Le vessazioni però, ed arbitrii erano inevitabili, e poco frutto ne ritraeva il Regio fisco. Ma non fu che sotto la Dinastia felicemente regnante, che si elevarono a permanente splendore queste terre quasi derelitte, e delle leggi salutari si dettarono a sollievo di questa principale branca della pubblica prosperità delle Puglie e di mezzo regno, essendo col così detto Tavoliere delle Puglie interessate nove delle quindici province del regno al di qua del faro. Si immaginò di concedersi tutte le terre ad utile dominio per addirsi sia alla pastorizia sia alla agricoltura, esigendosi un canone fisso, colla penale della devoluzione in caso d’inadempienza, col rinfranco delle migliorie, e passaggio da uno ad altro colono, col beneplacito imperò del fisco. (V. Leggi sul Tavoliere de’ 13 gennaro 1817 e 25 febbraio 1820 e 21 agosto 1826, e decreti de’ 9 ottobre 1826, 29 novembre 1827 ed 8 aprile 1832). Così le esazioni arbitrarie cessarono, ed i coltivatori e possessori di greggi posero affetto alle terre che si godevano, quasi colla divisa di proprietà. La massima parte di questo pubblico avvantaggio della Puglia si debbe al già Intendente, rivestito di Sovrani poteri di Commessario civile, Cav. Santangelo, già sublimato a Ministro di Stato per gli affari Interni, ed ora onorevolissimo Presidente generale di questa Settima Riunione scientifica italiana, facendo imprimere nel 1830 di tale prospero avvenimento la medaglia, in cui si ravvisa il Re Francesco I.° (allora regnante) all’eroico, che solleva l’agricoltura e la pastorizia, col motto: Daunia ubertati restituta. Nè ora è piccol vantaggio, dopo cessati i menzionati straordinari poteri accordati agli Intendenti pro tempore della Capitanata, l’essersene affidata la Direzione al distinto letterato, nostro amicissimo, Cav. Giacomo Ciardulli, uno de’ più chiari giurispubblicisti del paese.
  3. «Se consideriamo le qualità fisiche de’ luoghi (dice il lodato Micali opera citata T. I. pag. 166.) inferiori, e de’ piani che guardano sopra l’uno e l’altro mare (della meriggia Italia), si fa manifesto che quelle piaggie una volta sotto le acque salse, e quindi o paludose o insalubri, o pestilenti, furono le ultime accessibili ai popolatori paesani. Certamente la spaziosa pianura della Puglia, vestita di un profondo strato di terra densa, nera e ferace, era stata dapprima golfo di mare, o piuttosto una vasta laguna fin sotto al Vulture...» (V. Tata Lett. sul Monte Vulture, e Giovane Notizie geologiche sulle due Puglie. Mem. delle Soc. ital. T. XIX). E spesso avviene di rinvenire reliquie marine pietrificate nell’immenso strato di ciottoli, che forma il fondo generale della Capitanata.
  4. Prima del romano impero si aveva notizia, e precisamente in tempo della seconda guerra punica, della trasmigrazione delle pecore ed altre greggi dalla Puglia negli Abruzzi, e viceversa. Insomma allorchè Roma si rese padrona dell’Apulia i suoi Censori concedevano ai Pubblicani le locazioni di Puglia, e questi cedevano le terre a titolo di fitto ai locati; ed appena discesi gli animali nella Puglia, si notava l’occorrente nelle tavole censorie, onde non esser soggetti alle multe. Itaque greges ovium (dice Varrone de re rust. lib. 2. c. 36.) longe abiguntur ab Apulia in Samnium aestivatum, atque ad Publicanum profitentur, ne si inscriptum pecus paverit, lege Censoria committat multam. Quindi tali Pubblicani ne esiggevano le tasse, come praticava il Doganiero, ma in diverso modo di quello che ora opera l’attuale Direzione. Or son due secoli che in Sepino provincia di contado di Molise si rinvenne una lapide attinente alla protezione di siffatta trasmigrazione periodica. È bellissimo il monumento, se sia veramente genuino. In esso leggevasi: Basseus Rufus et Macrinus vindex magistratibus Sepinatum salutem. Exemplum Epistolae scriptae nobis a Cosmo Augusti liberto, a rationibus cum hiisque victa erant subiecimus et admovemus, abstineatis iniuriis faciendis conductoribus gregum oviaricorum, cum magnae fisci iniuria, ne necesse sit recognosci de hoc, et infactum, si ita res fuerit, vindicari. Altra mutilata dicesi pure essersene rinvenuta, quasi simile, vicino al ponte di Canosa, famosa città appula pe’ suoi vini e per le sue pasture, giusta la 6. Satira di Giovenale: Pastores et ovem Canosinam, Ulmosque falernas. E Gotofredo nella L. 1. C. de pasc. pub. lib. 2. conferma, che siccome i romani avevano il Pubblicano per regolare le industrie de’ greggi, e riscuotere le imposte del fisco, così i dominatori di questo regno, appellato dappria della Puglia, vi nominavano i Baglivi per compiere altrettali obblighi. V. il detto Coda pag. 1. e seg. De Dominicis Stato della Dogana part. 1. C. 2. Fraccacreta Teatro della Capitanata Tom. 1. pag. 274. Chiudiamo la nota colle parole del Micali V. 1. p. 317. «Di tal modo gli Appuli possessori di un aperto e fruttuoso piano, stimavano la pastorizia quanto gli odierni pugliesi, sovra ogni altra industria, e per l’ottima qualità e copia delle loro fulgide e molli lane, e per le buone razze di cavalli, e per grande abbondanza di biade etc.» (V. Strabo VI. p. 194. ad 196. Plin. VIII, 48.).
  5. V. Romanelli scoverte di antichità Frentane, Vol. 1. p. 1. e seg. e pag. 16.
  6. « La nota indelebile di barbari (dice il lodato Micali, L. 7. pag. 315.), che Dauni, Peucezi, e Messapi riceverono in ogni tempo da’ Greci, senza nulla discordanza, ne dimostra bastantemente, che eglino eran tenuti da quelli d’altra nazione e lingua. Nè lieve argomento ne porge altresì la durevole inimicizia di coteste genti contro la stirpe degli Elleni, e principalmente a danni de’ Tarantini, che ne patirono quella fiera rotta, che fiaccò di tanto l’alterigia greca » V. Polibio X. 1; Dionys. VIII. 3. 4; Pausan. X. 10. B. e Diodor. passim etc.
  7. Dottrina numorum Veterum Vol. I. pag. 142 Ivi si legge: Lucera vetus Dauniorum urbs, teste Strabone, (IV) a romanis deducta colonia V. C. 440 (Diodor. Sic. L. XIX. c. 72.) a quo tempore ex urbe greca facta latina, numos latinos, exemplo Brundusii, Paesti, Valentiae etc. signavit. Ma ismentisce l’illustre scrittore di poi questa sua opinione, che avesse potuta essere colonia greca, o semigreca, forse come è più plausibile, cioè rammescolamento di greci ed italici, poiché così scrisse a Vol. 4. di detta opera pag. 467. Observandum in hunc catalogum (De Numis Coloniarum) eos tantum urbes fuisse abmissos, quae se colonias aut municipia vel aperte in numis profitentur, vel inscripto varii generis magistratu municipali dubitare non sinunt, eas alterutra conditio ne fuisse. Excludimus igitur Ariminum Umbriae, Luceriam Apuliae, Valentiam Bruttiorum etc. quia earum numi indicium non faciunt, sint ne signati, antequam coloniae jura obtinerent, an post. Stante ciò resta ignorato se l’antico nome Louceri, che leggiamo nelle sue monete, l’ aveva come sua italica denominazione, o ve lo appose divenuta colonia romana.
  8. Degli stranieri archeologi, tra quali si è fatto antesignano il ch. Cav. Millingen, notissimo nelle cose numismatiche, nelle sue Considerations sur la numismatique de l’ancienne Italie, principalemente sur le raport de monumens historiques et philologiques, ha sostenuto, che la sopravvegnenza delle colonie greche apportò alla Italia la civilizzazione, ritenendo questa regione prima del loro arrivo per ignorante barbara ed incivile. Ma questa eresia archeologica, distrutta da tanti monumenti assolutamente italiani, e precisamente dalle tante monete fuse e di stile primigenio, più antico in conseguenza della greca civiltà, fu con zelo veramente italiano, e con forti ragioni, che qui non è d’uopo menzionare, sostenuta, fin coi caratteri potrem dire dell’evidenza, dal ch. A. Gennarelli nel giornale Romano il Tiberino anno VII n.° 32.
  9. Opuscoli T. III pag. 114. Napoli 1836, ma scritti fin dal 1826.
  10. Bullettino archeologico napoletano anno 3. n° 2. p. 15. sui nummi di Famiglie romane ed aes grave del Giudice Gennaro Riccio, seconda edizione.
  11. Veggasi quanto il detto autore ne scrisse nel publicare gli assi gettati di Venosa. Bullettino napoletano anno II. pag. 34 e 35.
  12. Anche prima che i Romani avesser fatto Lucera loro preda, e poscia, che ancora risentiva dell’antico splendore, la veggiamo fortificata divenire pomo di discordia co’ Sanniti, ai quali venne tolta da’ consoli Papirio e Poblicio (Liv. lib. 9. c. 16). Sede de ’consoli nella guerra di Annibale, ed una dalle 19 colonie mantenutesi fedeli a Roma, dopo la famosa strage di Canne, che restò all’africano aperta la via di Roma, percui ne venne ringraziata dal Senato (Ivi lib. 27. c.12). Resistè alle iterate seduzioni de’ Numidi. Fu piazza d’armi di Pompeo contro Cesare, comandandovi le armate Scipione (Polib. lib. 3.). E fino al giugnere de’ barbari che posero l’Italia a ferro e fuoco, Lucera fu una delle principali e rinomate città italiana per ogni riguardo. Facciamo voti che le poche cose in questa dissertazione menzionate sieno d’eccitamento ai dotti Lucerini, onde tessere una completa storia patria, finora mancante, trovando fondamento splendidissimo nell’alta sua origine, e famose gesta non periture.