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CAPO XVII. 333

della patria1. Ma quanto più gl’Italioti esaltavano per tal modo se stessi, tanto maggiormente spregiavano i barbari suoi vicini: onde non fa specie alcuna se, per ostentazione di maggioranza, imputavano agli Osci turpi affetti e opere sozze2. Tuttavolta si può sostenere con ragione, che all’epoca della prima comparsa dei Greci nelle terre ausonie, lungi che gl’indigeni vi fossero affatto indisciplinati e sciolti, erano per lo meno al par di quelli osservanti de’ sociali doveri. Perchè, quantunque i costumi generali dell’età ritenessero in ogni luogo molta fierezza, durezza e rusticità, come appare nell’aspra natura degli eroi d’Omero, pure l’universalità de’ popoli italici penetrati di profondi sentimenti religiosi, amantissimi della patria, semplici di costumi, schietti nell’opre, e obbedienti agli ordini stabiliti, vivean forse nello stato meno infelice, secondo il corso delle cose umane. Chè altro non era in fatto la vita pastorale e villesca, cui si riduceva in quel secolo la civile cultura, se non che una vita utilmente operosa, condita d’abbondanza, di comodo e dignità cittadina. E quanto vivace si fosse ne’ loro petti il forte sentimento della propria nazionalità italica a fronte della boria greca, si manifesta da questo, che memori delle ingiurie ricevute si mantennero sempre ostili ai Greci, nè riposero l’onorate spade, infino a tanto che Lucani, Bruzi, Dauni e Messapi, recuperato il perduto de’ padri loro, non occu-

  1. Polyb. viii. 30. 35.
  2. Vedi p. 186.