Le donne di casa Savoia/XV. Margherita

XV. Margherita

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XIV. Luisa di Savoia XVI. Filiberta di Savoia

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Margherita d’Austria
seconda moglie di Filiberto II (Il Bello)
1479-1530.
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XV.

MARGHERITA

di Massimiliano d’Austria, imperatore

n. 1479 — m. 1530


Non può darsi più fiero martire,
Che sugli ocelli vedersi rapire
Tutto il premio di un lungo sudor.



P
ochi giorni soltanto avanti che Luigi XI fosse dall’Eterno chiamato a rendere conto del suo operato sulla terra, una innocente e soave bambina, un angiolo di bellezza e di candore, giungeva ad Amboise per dividere la prigionia del piccolo Delfino a cui era destinata in sposa; e come lui veniva affidata

alle cure materne della Regina Carlotta, questa grande Infelice, alla quale non rimanevano più che pochi mesi di vita.

Quella bambina, che tutti si affrettarono a carezzare ed a vezzeggiare, era la graziosa Margheritina, figlia di Massimiliano d’Austria, che allora governava Paesi Bassi, e di Maria di Borgogna, l’unica figlia [p. 146 modifica]ed erede di Carlo il Temerario. La piccina era nata a Bruxelles il 10 gennaio 1479; ed era già orfana della madre allorché, di quattro anni appena, cambiò il vasto palazzo paterno, il parco meraviglioso, la geniale compagnia del suo unico fratello, Filippo il Bello, pel tetro Castello d’Amboise, dai giardini lambiti dalla Loira, e per l’intimità col giovine Carlo, serio, freddo, malaticcio, timidissimo.

Margheritina però si guadagnò subito l’affetto di tutti nella sua nuova famiglia, ove la si chiamava la Reginetta; e allorquando la Regina Carlotta morì, la raccomandò vivamente alla figlia Anna, la Reggente, insieme al Delfino. Ed Anna, principessa compitissima, ebbe ogni cura del tesoro che le era stato affidato, circondò di premure e di tenerezza la gentile orfanella, che fin d’allora dimostrava un cuore tanto riconoscente ed affettuoso, e volle che con l’educazione ella avesse una istruzione accurata, di cui mostrava già di approfittare mirabilmente fin da quell’età.

E nell’ore di ozio e di riposo, era bello vederla, spensierata e felice, folleggiare col suo giovine promesso nei giardini del Castello, avendo ivi spesso a compagno un altro fanciullo, di quello più vivace e piacevole, e che doveva avere tanta parte, in seguito, nella sua vita. Questo fanciullo era Filiberto, figlio del Conte di Bressa, nipote della defunta Regina, ed allora ben lontano dal trono di Savoia, sul quale poi il destino lo collocò.

In questo ambiente di calma, senza passioni e senza [p. 147 modifica]distrazioni; Margherita d’Austria stette dieci anni, cioè fino al 1493, disponendosi a divenire la Regina di Francia, e ornandosi lo spirito e il cuore di quel cumulo di pregi e di virtù per i quali, in seguito, doveva emergere. Suo padre intanto era stato eletto Imperatore, e lasciando al figlio Filippo il governo della Fiandra, si disponeva ad un secondo matrimonio con Anna di Brettagna, allorché Carlo VIII, sul punto di confermare la loro unione, ruppe alla giovinetta la fede per torre a Massimiliano stesso la fidanzata, e rimandandogli la figlia come un oggetto di cui non si sa più che farsi.

Quell’anima ardente, impetuosa, generosa, come ci viene delineata dagli atti tutti della sua vita, fu così offesa da sì vile procedere, sentì sì vivamente il doppio oltraggio, ad onta della sua tenera età, che da quell’epoca giurò alla Francia e allo sleale suo Re tutto l’odio e il disprezzo di cui era capace, odio che in lei non si estinse più.

Ritirata a Namur, la colta e vivace fanciulla, del cui ingegno e talento tutti parlavano, fu in breve chiesta da Ferdinando e Isabella di Castiglia, per moglie del loro unico figlio Giovanni. Stabilito sollecitamente il matrimonio, con molta soddisfazione di lei, che sentiva sempre aperta la ferita fatta al suo amor proprio dal Re di Francia, s’imbarcò per andare a raggiungere lo sposo a Madrid. Durante il viaggio scoppiò una violenta tempesta, ed il vascello sul quale essa si trovava, fu in serio pericolo di essere sommerso; ma la [p. 148 modifica]giovinetta, tutta occupata a comporre dei versi1,era talmente invasa dalla musa, che di nulla si accorse, o almeno di nulla temè.

Ma questa regale fanciulla, degna per le sue qualità di una gran sorte, non doveva nemmeno essere Regina di Spagna!

Sfuggita alla tempesta, giunta a Madrid, e sposatasi a Giovanni di Castiglia, già pregustava le dolcezze della sua prossima maternità, allorché, prima che compisse un anno dal matrimonio, una fiera malattia le tolse, nel 1497, il marito. E il dolore che essa risentì per questa sventura fu tale, che ebbe una bambina morta, avvenimento che travolse il barlume di speranza che poteva ancor lontanamente brillare per lei e per i suoceri.

Ritornata mesta e desolata nella reggia di Bruxelles, vi scorreva i giorni studiando il passato e pensando all’avvenire, allorché nel 1499, fu richiesta da Filiberto Duca di Savoia, fidanzato invano, come ho scritto altrove, a Yolanda di Savoia sua cugina. Lo sposo aveva ventun’anno, cioè la di lei stessa età; era bellissimo, giacché é rimasto nella storia col nome di Filiberto il Bello; era stato suo compagno d’infanzia, e Margherita, dopo breve esitazione, accettò una unione che sembrava prometterle, finalmente, lunga felicità. [p. 149 modifica]Il matrimonio ebbe luogo nel vecchio monastero di Romain-Motier, e quindi gli sposi andarono a Ginevra, ove passarono un brillantissimo inverno. Nel maggio poi andarono a Chambéry, la loro capitale al di là, come veniva chiamata; ma la loro dimora preferita fu il Castello di Pont d’Ain, ove Filiberto aveva veduto la luce, luogo di riposo e villeggiatura, bella e poetica dimora, situata sulle due vie di Chambéry e di Ginevra. Quivi la vita era un incanto; qui gli sposi, nella loro dolce intimità, rammentavano spesso la loro infanzia, quando non presentivano davvero di dovere essere uniti fra loro indissolubilmente; qui sfoggiavano il gusto formatosi alla Corte di Anna di Beaujeu, e Margherita, ricchissima, facea pompa di tutto quel fasto della Corte di Borgogna, di cui aveva la tradizione da sua madre, insieme alla cavalleresca influenza italiana di Filiberto.

Margherita, dice il Cibrario, era donna di mente più che virile, e sposandola fu quanto fece di meglio Filiberto II. Del rimanente, questo bellissimo principe non si era fin allora occupato se non di frivolezze, lasciando il regno in balìa del fratello Renato (un fratello naturale da lui legittimato ed arricchito). Ma la figlia dell’Imperatore, che non era nata per essere suddita di un bastardo, fece fin dal principio il suo piano. Dotata di gran mente e di grande animo, amante riamata del suo bel Duca, appena divenuta Duchessa di Savoia, padroneggiò l’animo del marito, e diede forza ed autorità al governo piemontese. Cadde così [p. 150 modifica]nel Ducato la devozione per la Francia invaditrice, e non si guardò più con sospetto alla Germania, dalla quale non poteva venire nessun pericolo; si addolcirono le relazioni con gli svizzeri, e furono carezzati i ginevrini. Fu insomma sotto Filiberto che ebbe principio in Savoia la politica di Stato, e sia pure, come è certo, stata ispirata a lui dalla moglie, ciò non toglie che essa non riuscisse un’utile cosa, che gli avvenimenti di Francia, d’Austria e di Spagna imponevano. Così la Casa di Savoia potè trar partito dalle circostanze, prima per rendersi indipendente, poi per ingrandirsi, col concedere, non senza compensi territoriali, la sua amicizia ora ai Re, ora agli Imperatori, che imploravano supplichevoli le forze di una famiglia che era padrona delle Alpi, e il di cui militare valore era noto. Giammai neutrale se non armata, e rare volte, e solo quando tale inattività le era proficua. Del resto fu sotto Filiberto che si verificò per la prima volta la massima di Stato di non volere mai essere né francese, ne tedesca, ne spagnuola, ma soltanto la Casa italiana di Savoia.

Così nel 1502, Filiberto non concesse a Luigi XII il passaggio del Moncenisio per l’impresa di Napoli, ed egli dovè prendere la via del Delfinato e di Saluzzo.

Margherita, colla sua non ordinaria penetrazione, aveva anche conosciuto qual carattere pericoloso fosse quello del suo cognato Renato, allevato anche lui in Francia, e alla Francia e alla sorella Luisa troppo proclive. Procurò perciò di tenerlo il più possibile [p. 151 modifica]lontano dalla sua Corte, fece revocare tutti i privilegi ad esso concessi dal padre, eppoi da Filiberto, costringendolo così a starsene alla Corte di Francia, ove, fatalmente, soffiò sempre la discordia tra essa e Savoia.

Sventuratamente, questa energica donna, che aveva tanta attività, tanto buon senso e tanto cuore, non fu a lungo Duchessa di Savoia, dove giovine, bella e seducente, era adorata. Tre anni dopo il loro matrimonio, i giovani Duchi trovavansi di nuovo nella loro villeggiatura prediletta, allorché, per festeggiare un certo ambasciatore, Filiberto ebbe l’idea di offrirgli una caccia. Egli era bravissimo nell’arte della guerra e in tutto quanto la rammentava, e perciò le caccie, le giostre, i tornei, erano i suoi divertimenti favoriti, sebbene alla sua Corte neppure facessero difetto, perchè preferiti dalla sua dolce compagna, le feste mascherate, i balletti, le rappresentazioni, per le quali cose essa spesso componeva dei versi.

Questa volta però, trattandosi di festeggiare un uomo, Filiberto si decise per la caccia, benché si fosse nel cuore dell’estate. Margherita disapprovò quella scelta in tale stagione, ne fece anche, gentilmente, l’osservazione al Duca, rifiutando recisamente d’intervenirvi (come sovente faceva), e scongiurandolo almeno di non parteciparvi lui pure.

— Ma perchè, mia cara, tanta avversione? — le domandò, Filiberto carezzandole la bionda chioma.

— Perchè vedo laggiù elevarsi dal piano una nebbia di cattivo augurio. [p. 152 modifica]— Dei presentimenti? — riprese egli scherzando.

— Un qualche cosa che mi dice di non lasciarti partire.

Il Duca scosse la testa sorridendo, la baciò sulla fronte e partì.

La caccia ferveva brillantissima, allorché la nebbia intravista da Margherita, sempre più salendo sull’orizzonte, fece scomparire il sole, si formò in nuvoloni neri neri, accavallantisi l’uno sull’altro, dando luogo a scariche elettriche spaventose, e sciogliendosi poi in un violento acquazzone, che sorprese i cacciatori e li bagnò fino alle ossa.

A Filiberto, o più delicato, o perchè più affaticato degli altri e bagnato di sudore, ciò riuscì fatale sul momento. Colpito da improvviso mal di petto, fu portato febbricitante al castello di Pont d’Ain, e gli furono prodigati tutti i soccorsi dell’arte inutilmente. Dieci giorni dopo il Duca di Savoia era suo fratello, Carlo III! Filiberto, rassegnato ad una morte che a sé stesso imputava, e solo dolente di dovere abbandonare la sua affettuosa compagna, morì, da lei amorosamente assistito, il 1O settembre 1504, nella camera stessa in cui era nato.

Margherita desolata, annientata, in preda ad un violento dolore, tagliò la sua bionda capigliatura, e prese il lutto per non lasciarlo mai più, sebbene non avesse allora che venticinque anni. Indi fece fare all’amato consorte, un mortorio sì splendido, nella chiesa di Brou, che fu forza scuoprirla, dice la cronaca, [p. 153 modifica]pour donner l'exor à la fiamme des torches. E in quella stessa chiesa, da lei con gran dispendio e prova d’arte stupenda in seguito ricostrutta, innalzò al diletto compagno e alla suocera2, due monumenti marmorei imponenti.

Margherita prese da allora stabile dimora a Pont d’Ain, avendo avuta tutta la Bressa per suo vedovile; e qui essa ricevè, più tardi, suo fratello Filippo, allorché lasciò il governo della Fiandra e passò in Spagna, essendo a lui toccato quel trono dopo la morte d’Isabella di Castiglia. Con lei parve che esulassero dalla Corte di Torino i virili propositi, e vi pigliasse sede quella bonarietà senile che, nei tempi difficili, è rovina delle Monarchie e delle Repubbliche.

Ma l’attivissima donna non stette a lungo inerte. Riconosciuta da suo padre per una creatura di molto ingegno e di grande attitudine alle cose di Stato, provvedutala con ricchissimo appannaggio, la chiamò al governo dei Paesi Bassi. Fu allora che Enrico VIII d’Inghilterra, e poco appresso il Re d’Ungheria, la chiesero in sposa. E le attrattive della persona e dell’ingegno, la potenza e la ricchezza, l’avrebbero fatta ricercare da molti altri ancora, se ben presto la sua determinazione di voler restar fedele al suo ultimo e vero amore, resa palese, non fosse venuta ad [p. 154 modifica]conoscerle venerazione e rispetto. Disse che voleva restare Duchessa vedova dì Savoia, onde la sua spoglia potesse posare accanto a quella del suo Filiberto.

Caro carattere, affettuoso, senza tergiversazioni! E per ventisei anni, che tanti poi ne visse, il suo dolore non venne meno, né mai un’ombra di sollievo e di peccato venne a turbare la sua casta vedovanza.

Appena arrivata in Fiandra, deliberò di stabilirsi a Malines, scegliendo a preferenza questa città per sua sede, memore della bontà di quegli abitanti per suo padre al momento della di lui prigionia; e guidata dalla riconoscenza verso la morente cognata, che le aveva fatto un tempo da madre, assumendo di fare ora lei da madre ai suoi cinque figli, che appunto ivi con essa dimoravano, Carlo V, cioè, e le sue quattro sorelle.

Margherita fece il suo solenne ingresso, come Reggente, in quella città, il 4 luglio 1507, e da allora essa ne curò con zelo gli interessi, contribuendo largamente ad abbellirla e a mantenervi tutto quanto si voleva trasportare a Bruxelles. Essendo essa una di quelle elette nature nelle quali il cuore la vince sull’interesse e sulla politica, non ebbe altra consolazione alla sua troncata esistenza, che rendere felici i popoli a lei affidati, specie dopo la morte del suo diletto fratello, mancato a Burgos in quello stesso mese di settembre a lei sì fatale. Margherita fu abbattuta da questa nuova sventura, e piangendo amaramente compose a quel suo diletto un commovente epitaffio latino. Con questa [p. 155 modifica]morte, tutte le sue affezioni di famiglia si concentrarono nelle nipoti, di cui con materna cura sempre si interessò e seppe benissimo guidare; e in quanto al nipote, si può dire che il mondo debba a lei tutto ciò che di grande e di buono fece Carlo V, giacche essa gli fu insieme madre e maestra, dal momento che Massimiliano suo padre, pur rendendole giustizia, non fu mai una gran risorsa per lei.

Essa diè la prima e splendida prova della sua valentia, negoziando nel 1509 a Cambrai, per suo padre, il famoso trattato contro la Repubblica di Venezia, nelle convenzioni del quale inchiuse anche la Savoia che aspirava a riacquistare il regno di Cipro, e dove ebbe a compagno, per la parte di Francia, il Cardinale d’Amboise.

Il Cardinale e la Principessa, scrive il Sismondi, deliberarono soli e senza assistenti, e le loro negoziazioni diedero luogo a così fiere altercazioni, che la vivace Margherita scriveva: «Poco mancò che il signor Legato ed io non ci acciuffassimo pei capelli».

Dotata d’ingegno straordinario, posta nel centro della diplomazia europea, dalle sue mani passavano fila di tutti gli interessi politici, e doveva senza posa intervenire negli avvenimenti che agitarono il secolo XVI, e quegli furono immensi. E poiché alle qualità della mente aggiungeva quelle del cuore, i belgi l'amarono quanto suo fratello, a cui era succeduta. Del resto la pietà più sincera la guidò costantemente nella sua politica e nella paterna amministrazione dei Paesi [p. 156 modifica]Bassi. Pia per carattere, essa comprendeva che la sua missione era d’illuminare e edificare gli altri. Voleva perciò che la religione fosse insegnata da uomini colti e virtuosi; ed era amata perchè la si vedeva sempre in mezzo ai suoi sudditi nelle grandi feste religiose, e perchè le istituzioni fondate e protette da lei, e la sua liberalità per gli oggetti di pubblica venerazione, attestavano un profondo sentimento religioso, simpatico alle popolazioni belghe. Margherita preferiva assistere le comunità religiose che si prendevano cura dei malati poveri, e lasciò un legato di cinquantamila lire tornesi, nel suo testamento, per dote di cento povere giovinette. Si associava volentieri alla pubblica gioia, ma non era meno attenta a partecipare ai dolori del popolo quando le pubbliche calamità colpivano il paese.

Oltre la pace che ella seppe procurare al suo popolo, la sua maggior gloria e il più bel titolo alla riconoscenza delle Fiandre, si fu di avere colla sua saggezza, la sua dolcezza, la sua persuasione, preservato i suoi Stati dal flagello della Riforma, che fece scorrere tanto sangue, e causò tanti disastri, rovine, calamità e sventure dove penetrò. Fu quello il gran flagello dell’epoca!

Durante la sua dimora a Malines, Margherita non dimenticava i beni del suo vedovile, e faceva abbellire il convento dell’Annunziata a Bruges, ove sembra avesse ideato di finire i suoi giorni, e riedificare, come ho detto già, la chiesa di Brou, ove fece innalzare [p. 157 modifica]quelle celebrate tombe al marito e alla suocera, pensiero costante questo della sua vedovanza, la preoccupazione terrena della sua vita, il monumento imperituro del suo affetto di sposa.

Zia di Francesco I e di Carlo V del pari, nella prigionia del primo scrisse risoluta a Carlo, ricordandogli, con gentile severità, che anche vittorioso doveva rispettare i sentimenti paterni del suo prigioniero. Non gli scrisse che una sola lettera, pur raggiunse il suo intento, grande essendo l’affetto, la stima e la riconoscenza che Carlo nutriva per lei. Con Francesco invece carteggiò a lungo, s’interessò vivamente alla sua sorte, dimenticando in questa circostanza il suo risentimento verso la Francia e i Valois, per non veder in lui che il figlio della sorella del suo prediletto. Quando poi nel 1529 ritornò a Cambrai, per negoziare con la cognata Duchessa d’Angoulême il famoso trattato, con la nobile mira di porre fine alle micidiali guerre, che, con tanto danno dell’umanità, erano causate dalla capricciosa ambizione di quei due suoi nipoti, rivedendo la cognata Luisa, ricordò i begli anni della sua gioventù, si commosse e fu indulgente, sebbene i francesi non abbiano mai ben digerito quel resultato, che pur meritò che il loro Re facesse, l’indomani della conclusione, una visita di riconoscenza a Margherita.

Questa amabilissima e rara donna, a cui tanto devono la Savoia e l’Europa tutta, morì sempre in verde età a Malines, dove le furono fatti splendidi funerali, il 30 novembre 1530. Fu poi trasportata, secondo la [p. 158 modifica]sua volontà, a Bruges, ove stette due anni in attesa che fosse ultimata la tomba fattasi preparare presso il marito, a Borgo in Bressa.

A Malines, nel 1840, le fu poi innalzata, dalla riconoscenza dei posteri, una statua, che è una delle poche pubblicamente decretate a donne.

Di Margherita si hanno alcuni scritti in prosa e in versi; fra gli altri il Discorso della sua vita e dei suoi infortuni canto del cigno, dal quale emana però la sua rassegnazione. Ad esso pose, come per epigrafe, quella sua divisa che esercita ancora la pazienza dei curiosi; essa dice:

                    Fortune, Infortune, Fors-une3.


  1. C’è chi dice che scrivesse in versi il suo epitaffio. Altri dicono che scrisse l’epitaffio scherzando, legandoselo al braccio per esser riconosciuta in caso di naufragio. Esso diceva:

    Ci git Margot la gentil Demoiselle
    Qui a deux maris, et encore est pucelle.

  2. Margherita di Borbone moglie di Filippo di Savoia Conte di Bressa. Mori giovanissima, poiché, timida, dolce, e amante del marito, ebbe guasta la salute dal timore e dall’agitazione in cui la tenevano le molteplici persecuzioni, che egli si attirava colla sua indole avventata e turbolenta. Bella, delicata, soave, fu madre di Luisa d’Angoulême e di Filiberto II.
  3. Eppure io mi arrischierei a darne la spiegazione, o meglio il significato, cosi;

    Fortune, Infortune, Fors-une.

    Considerando che la parola fortune, nella lingua francese si adopera anche per disgrazia o sventura, pericolo, danno, rischio; che infortune vale, su per giù, le stesso, e che fors esprime eccetto, fuori che, il significato di questa misteriosa divisa, che ha anche riscontro nella vita di Margherita, eccolo: Sempre sfortunata, Eccetto una volta: cioè quando fu Duchessa di Savoia: e letteralmente: Sfortuna, sfortuna, fuori che una volta.

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