Le donne di casa Savoia/XIV. Luisa di Savoia

XIV. Luisa di Savoia

../XIII. Bianca di Monferrato ../XV. Margherita IncludiIntestazione 5 ottobre 2020 75% Da definire

XIII. Bianca di Monferrato XV. Margherita

[p. - modifica]

Luisa di Savoia
Duchessa d’Angoulême
1476-1531.
[p. 131 modifica]


XIV.

LUISA DI SAVOIA

Duchessa di Angoulème

n. 1476 — m. 1531


Che misteri asconde
Di dolor, di fortezza e di peccato
Questa superba e lagrimabil creta!



N
asceva Luisa a Ponte d’Ain in Bressa l’11 settembre 1476, da Filippo di Savoia, Conte di Bressa, e da Margherita di Borbone, sua prima moglie; ben lontana dal trono (giacché allora il Duca regnante di Savoia era Amedeo IX, suo zio), e pareva destinata a vita quasi privata, allorché, piccina di un

anno, fu fidanzata a Carlo di Valois, Conte d’Angouléme. Invece l’avvenire doveva schiudersi per lei fortunoso e brillante.

Poco vi è da dire sulla sua infanzia e sulla sua adolescenza, che sarà certamente trascorsa come quella di tutti i nobili fanciulli della sua epoca, ammesso che si possa dire ch’ella ebbe un’adolescenza, giacché a quattordici anni noi la vediamo, nel 1490, sposa, e nel 1492 già madre della sua primogenita Margherita, che fu poi regina di Navarra. [p. 132 modifica]Coltissima e studiosissima, fino dai primi anni del suo arrivo in Francia, Luisa vi godè, per questo, di molta reputazione; tanto più che, divenuta poi madre nel 1494 di un maschio, Francesco, e non avendo fino allora il Re eredi diretti, la si vedeva vicina ad ottenervi sommo potere ed autorità. La sua unione con Carlo fu felice quanto fu breve, ma morto esso poco dopo la nascita del figlio, cioè il i° gennaio 1496, dovè ritirarsi dietro ordine del Re Carlo VIII, nella solitudine di Cognac, e sebbene non avesse allora che diciannove anni, non visse che pei suoi figli e pei suoi studi. E la Regina, Anna di Brettagna, che odiava al più alto grado la Contessa d’Angoulème, la quale possedeva tutto ciò che a lei mancava, gioventù, ingegno, ed un figlio, fu felice di quell’allontanamento, molto probabilmente da lei motivato, che però le toglieva solo un bruscolo dagli occhi, non la spina dal cuore. Luisa sapeva tutto ciò, ma non se ne curava, e se ne stette tranquilla nel suo ritiro, occupandosi dell’educazione dei suoi due figliuoletti e di abbellire ed accrescere la sua biblioteca, che era allora una delle più ricche del mondo.

Quando però salì al trono Luigi XII, che aveva tanto amato il di lei marito, la fece tornare alla capitale, dove brillò per la cultura, la grazia, e, dicesi, anche per la galanteria, che nessuno finora aveva in lei sospettata. Ma in mezzo alle nuove distrazioni, alle brighe ed agli intrighi che la circondavano, essa non neglesse i suoi figli, e vegliò attentamente sulla loro [p. 133 modifica]salute, partecipando ai loro giuochi, ritornando bambina per essi e con essi, e preferendo le loro innocenti distrazioni, alle feste turbinose, nelle quali pur si lasciava trasportare.

Intanto i due bambini crescevano vispi ed accorti, amandosi svisceratamente fra loro, e idolatrando la loro madre, che si prendeva di loro tanta cura, e già davano speranza d’ingegno svegliatissimo, di vivacità e di ottimo cuore.

Margherita e Francesco venivano educati alla casalinga, come si direbbe fra noi, cioè senza predisposizioni per occupare posti altissimi nel mondo, e la madre mirava specialmente a dar loro una estesa cultura letteraria, insieme all’insegnamento di più lingue, non non trascurando però nulla di quanto poteva contribuire a renderli un giorno ciò che essi riuscirono.

Intanto Luigi XII, che aveva quasi subito, dopo il suo avvenimento al trono, sposata la vedova del suo antecessore, perdendo ogni giorno più la speranza di avere un erede, e che ad onta delle di lei dissensioni con la Regina, voleva bene a Luisa e più ai suoi figli, volle che ella avesse un posto distinto alla Corte, giacché il principino Francesco, essendo il suo più prossimo parente, pareva oramai che si potesse riguardare come il suo erede. Questa risoluzione spiacque molto alla Regina, che nondimeno lasciò correre, ma si oppose vivamente all’idea espressa dal suo regale consorte, di maritare cioè la loro primogenita Claudia, al figlio della Contessa d’Angouléme. [p. 134 modifica]Luisa sapeva tutti questi maneggi, e fra sé ne rideva. Infine, nell’opposizione della Regina, tutto il danno resultava per la sua propria figlia. Ma l’anno seguente, Luigi XII ricevè dagli Stati Generali, convocati a Tours, la supplica di maritare la figlia Claudia al nipote Francesco, erede presuntivo della corona; ed egli dovè esaudire il voto dei suoi popoli, che era pure il suo, e Claudia fu solennemente e sollecitamente fidanzata al cugino.

Ma finché visse Anna di Brettagna il matrimonio non potè celebrarsi, e fu soltanto nel maggio 1514 che potè finalmente aver luogo. Francesco aveva allora vent’anni, ed era stato assai favorito dalla natura; di bella presenza, di singolare forza e destrezza in tutti gli esercizi militari, affabile, cortese, generoso, si cattivava alla prima il cuore di chiunque lo avvicinava; e appena Re, l’anno appresso, col nome di Francesco I, esperimentò subito la potenza delle sue attrattive.

Luisa di Savoia trionfava, e le tendenze e le passioni che essa aveva dovuto dissimulare con cura, nella vita privata, si manifestarono appena suo figlio fu Re; spiegandosi nello stesso tempo da lei qualità da vero grande carattere; e rese in seguito eminenti servigi alla Francia, anche quando si trattò, e qui sta il suo torto maggiore, di sacrificare a quella la sua famiglia e la sua patria. E neppure amò Madama Claudia, la giovine Regina, né Maria d’Inghilterra, seconda moglie, per pochi mesi, di Luigi XII. Il suo idolo fu suo [p. 135 modifica]figlio, e a lui, alla sua potenza e grandezza, sacrificò ogni altro dovere, ogni altro affetto; per lui seppe escogitare ogni tenerezza; ed egli convinto di questo amore tenero, disinteressato, immenso, chiuse costantemente gli occhi sui di lei difetti, e per tutta la vita le lasciò un potere illimitato.

Francesco voleva molto bene anche a sua sorella, sposa fin dal 1509 al Duca d’Alençon, e non felice nel suo matrimonio, ma brillante e spensierata, e fra lei e la madre, dicono gli storici francesi, con una certa animosità, lo governavano, mentre la Regina non ci aveva nessun ascendente. E veramente Luisa un tantino governava, ma il Re aveva soli ventitré anni, e di consiglio aveva bisogno.

Quando morì Luigi XII, la Francia era in guerra con la Spagna, con l’Imperatore Massimiliano, con Filippo d’Austria di lui figlio, governatore dei Paesi Bassi, e con gli svizzeri, che avevano rimesso gli Sforza in possesso di Milano.

Prima cura di Francesco, appena Re, fu di conquistare il Ducato di Milano, che a lui sembrava sua eredità: creò in Ducato la Contea d’Angouléme, in favore di sua madre, la nominò Reggente, e partì per l’Italia. Luisa per nove anni esercitò degnamente la sovranità, checché ne dicano i Trattati di storia di Francia, e malgrado i difetti e le colpe che in quelli le sono attribuiti. Circa i difetti solo Iddio ne è privo, e se commise l’errore di porre in qualcuno il suo affetto, non dovrebbero essere i francesi a rimproverarlo ad [p. 136 modifica]una donna sempre abbastanza giovine, vedova e libera.

A Marignano Francesco I conquistò facilmente Milano, ma intervenuto il Papa per la pace, egli vi lasciò un governatore, e tornato in Francia vittorioso, si diè un poco ai piaceri ed ai divertimenti. E dicendo che una Corte senza dame è un anno senza primavera, ed una primavera senza rose, vi chiamò tutte le mogli dei signori francesi, le quali vivevano relegate nei loro castelli, rendendola così brillantissima, ed introducendovi una eleganza di modi fin allora sconosciuta. Ma ciò ebbe pure i suoi inconvenienti, perchè con le donne venne la corruzione e il protezionismo. La Contessa di Chateaubriand divenne in breve l’amica del Re, lo dominò alquanto, e Luisa fu gelosa di quel dominio. E dicendosi scontenta del quartiere da lei occupato nel Castello des Tournelles, si comprò una casa sulle rive della Senna, con un vasto giardino ed una vista stupenda. Il Re volle farvi grandi abbellimenti, recandosi spesso colà a visitarvi sua madre; e quell’abitazione, scelta per sua da Luisa di Savoia, fu il principio del palazzo delle Tuileries.

Morto l’Imperatore Massimiliano nel 1519, la pace conclusa da Papa Leone si turbò. Francesco I, Carlo V ed Enrico VIII d’Inghilterra, volevano, ognuno alla sua volta, essere l’Imperatore; ma Enrico si ritirò ben presto, accorgendosi essere vane le sue pretensioni, e non rimase che la celebre rivalità tra Francesco I e Carlo V. Francesco, riuscito a far ritirare Enrico, [p. 137 modifica]mandò inviati segreti con grosse somme a Francfort, per comprare gli Elettori. Questi erano divisi in due partiti, i quali, dopo molte discussioni, crederono bene venire ad un accordo col nominare Imperatore un terzo, cioè l’Elettore di Sassonia. Ma il nuovo candidato, comprendendo che il fardello sarebbe stato troppo pesante per le sue spalle, perorò per Carlo Re di Spagna, ed esso fu eletto Imperatore il 28 luglio 1519.

Francesco andò in tutte le furie per questa delusione, ma la signora di Chateaubriand, principalmente, riuscì a calmarlo e a ricondurlo ai piaceri abituali. I due rivali però non deponevano completamente le armi, e in silenzio si preparavano alla lotta che doveva durare tutta la loro vita. Il tradimento del Connestabile di Borbone, che abbandonato Francesco si diè a Spagna, fu la scintilla che diè fuoco alle polveri.

La congiura fu scoperta mentre il Re, lasciando di nuovo la madre Reggente, si trovava a Lione, pronto a scendere nuovamente col suo esercito in Italia, per riprendere Milano che gli si era ribellata. Nè a rattenerlo valsero i subbugli interni ed esterni che qua e là scoppiettavano, ne i consigli di sua madre che lo scongiurava di non abbandonare la Francia, che usciva allora da una dannosa crisi, né lo stato della moglie attaccata da una malattia mortale. A sua madre non rispose che decretandole la Reggenza. Sceso in Italia, dopo che egli ebbe presa Milano quasi senza resistenza, essendo questa città decimata dalla peste, [p. 138 modifica]decise cingere d’assedio Pavia, mentre l’armata spagnuola erasi ritirata a Lodi; ma imbaldanzito dal successo, ebbe l’idea di dividere il suo esercito e mandarne metà alla conquista di Napoli; da quest’errore sappiamo cosa avvenne.

Alla Corte della Reggente non si approvava la cosa, ma allora la Corte era afflitta e scossa dalla morte della Regina venticinquenne, che tutti in Francia chiamavano la buona Regina, la quale lasciava sette figli, tre maschi e quattro femmine; e che amante di suo marito, e da lui negletta e trascurata, non ebbe il dolore di vederne la disfatta e la prigionia.

Appena fatto prigioniero, il 24 febbraio 1525, il Re fu condotto nel Castello di Pizzighettone, d’onde scrisse a sua madre il famoso messaggio: «Signora, tutto è perduto, fuor che l’onore». Luisa, ricevendolo, esclamò:

— Ahimè! ei non mi ha voluto ascoltare.

Anche il Duca d’Alençon, marito di Margherita, era stato fatto prigioniero, ma cambiati gli abiti con un suo paggio, riuscì a fuggire. Ciò fece peggiorare la situazione del Re per tenerlo in miglior custodia. Egli, dopo la resa della spada a Pavia, fu portato a Pizzighettone e quindi a Madrid, e rinchiuso in una torre del palazzo Reale, ai cui piedi scorreva il Manzanares.

A questo punto Luisa di Savoia si mostrò grande addirittura. Alla notizia della sventura del figlio, non si abbandonò al pianto, ma volò a Lione, convocò il Consiglio, vi parlò con gran calore, levò milizie, [p. 139 modifica]assicurò le frontiere, e subito pensò a commuovere Enrico VIII d’Inghilterra in favore del prigioniero. Ottenne l’intento e seco lui si collegò. E dopo avere interessato del pari, alla sorte di Francesco, tutti i principi cristiani e europei a cui sapeva di potersi rivolgere, giunse fino a chiedere l’aiuto di Solimano, il nemico mortale di tutti i cristiani; tentativo di cui la storia non aveva fin allora offerto nessun esempio, ed egli aveva promesso soccorsi. Ma intanto essa aveva da lottare anche con pericoli pressantissimi. La prigionia del Re aveva fatto credere in varie città di essere traditi, sicché gli abitanti si armavano e si sollevavano; i briganti e i malfattori approfittavano dell’effervescenza e commettevano infamie e bricconate, e nelle alte classi ferveva un grande scontento. Luisa, che sapeva di non essere molto amata, compiendo un atto di, astuta politica, chiamò a Lione il Duca di Vendóme, su cui tutti speravano, lo mise alla testa del governo, al quale fece pure partecipare la figlia Margherita, che il popolo idolatrava, e forte di questi appoggi riuscì insensibilmente a calmare un fermento in principio spaventoso. Quando tutti i malcontenti ebbero ripreso i loro doveri, essa non ebbe più ad occuparsi che della liberazione del Re.

Carlo III di Savoia, dolente anche per le conseguenze che potevano derivare da quella prigionia, aveva inviato alla sorella Reggente un ambasciatore straordinario, offrendole i suoi servigi. Essa, commossa, lo invitò ad un abboccamento a Lione. Vi andò il Duca, [p. 140 modifica]e inteso che Luisa era riuscita a provocare la liberazione del figlio, si offerse di andare egli stesso a Madrid per affrettarla. La Reggente rispose che ella aveva già divisato d’inviare colà sua figlia, vedova da pochi mesi, credendola assai più gradita a quella Corte, e Carlo III la lasciò libera di agire a suo talento.

Ma la gita di Margherita colà fu una completa delusione; e non riuscì che di un grande conforto pel prigioniero, giacché i due fratelli, l’ho già detto, si amavano di un amore intenso e fortissimo. Francesco dovè languire ancora per vari mesi in quella tetra prigione, dalla cui finestra non intravedevasi la campagna che al di là del fiume, e vi ebbe anche una grave e pericolosa malattia. Vi stette dall’agosto 1525 al 14 gennaio 1526, cioè -fino alla conclusione del trattato di Madrid, firmato quel giorno medesimo. Con quel trattato Francesco I cedeva all’Imperatore e ai suoi eredi, in piena sovranità, varie provincie del suo regno, e tutti i suoi diritti in Italia, e Carlo V prometteva di rendergli la libertà, a condizione che, nello stesso tempo in cui egli sortirebbe di Spagna, sarebbero a lui rimessi degli ostaggi, come garanzia della fedele esecuzione del trattato. Questi ostaggi dovevano essere, o i due primi figli del Re, o il solo Delfino con dodici personaggi designati. E questi erano tutti i più distinti generali che la Francia allora possedesse. Luisa spedì a Madrid il Delfino e il Duca d’Orléans, piuttosto che di sottomettersi a consegnare le migliori spade del regno; e questa decisione degna di una [p. 141 modifica]donna spartana, fu altamente lodata dal popolo francese.

Il cambio di Francesco I coi suoi due figli, due bambini, uno di sette, l’altro di sei anni, si fece il 16 marzo 1526, nel mezzo della Bidassoa, considerata allora come confine tra le due nazioni. Lannoy accompagnava il Re, Lautrec i principini. Francesco abbracciò i fanciulli e li benedisse con le lacrime agli occhi, poi raggiunse la riva francese, e slanciandosi allora sopra un focoso cavallo arabo, esclamò: «Eccomi di nuovo Re!» Ed arrivò quasi di un sol tratto a Baiona, dove la madre e la sorella lo attendevano.

Ma le fatiche di Luisa non erano finite. La rivalità tra suo figlio e Carlo V, solamente sopita pel momento, divampò in seguito di nuovo, e le guerre tra loro ripresero accanite, se non che, minacciata l’Europa dai turchi, riusciti vincitori a Rodi, ed agitata dalla riforma predicata da Lutero, i due Sovrani, sentendosi spossati e minacciati, pensarono di venire ad un pacifico accomodamento, e Carlo V risolvè di convocare una dieta a Spira, e quindi di ritornare sopra il trattato di Madrid.

A tale scopo furono iniziate delle trattative a Cambrai, per mezzo di conferenze, fra essa Luisa per suo figlio, e Margherita d’Austria, di lei cognata, per l’Imperatore suo nipote. Queste due donne che avevano ciascuna rappresentato una parte importante nella politica europea, devote entrambe egualmente ai principi di cui dovevano sostenere gli interessi; l'una e [p. 142 modifica]l’altra distinte per ingegno e cultura, si riunirono a Cambrai, dove abitavano due case contigue, onde poter conferire ad ogni istante, giorno e notte, senza assoggettarsi all’etichetta. Ed esse riuscirono a mettersi d’accordo, ed a stabilire quella pace, rimasta nella storia col nome di Pace delle Dame.

La Francia strillò un poco contro Luisa, dalla quale si teneva sacrificata, ma la Duchessa era felice di poter riavere i suoi nipotini e di riabbracciarli dopo cinque anni d’esilio.

Abbiamo detto, sino dal principio, che Luisa di Savoia era un ingegno vigoroso ed un carattere fermo. Infatti, nelle divisioni recate dall’agitarsi dei luterani, essa che aveva perorata la canonizzazione di S. Francesco di Paola, condannava la Riforma, ed esortava il figlio al rigore contro i suoi discepoli. Però il Trattato di Cambrai fu l’ultimo atto pubblico di lei. Ritirata a Fontainebleau, conservava a cinquantaquattro anni tutta la sua bellezza e la sua fiorente salute, cercando nelle meditazioni serie un alimento al suo carattere forte ed appassionato. Ma sviluppatasi ivi la peste, si recava a Romorantin per sfuggirla, allorché ammalatasi per viaggio, fu costretta a fermarsi a Grès nel Gastinois. Qui, tre giorni avanti l’ultimo suo, che fu il 29 settembre 1531, vide nella notte la sua camera straordinariamente illuminata da un chiarore che veniva dal di fuori, traverso i cristalli della finestra. Se ne lamentò colle sue cameriere, credendo che ciò fosse la fiamma troppo viva del caminetto. Ma quelle [p. 143 modifica]risposero che nel camino non vi era che brace e che quel chiarore lo produceva la luna piena.

— Non può essere — rispose essa, che aveva sempre coltivato con trasporto l’astrologia e l’astronomia — ora essa è sul declinare e non deve scorgersi a quest’ora. •

E facendo aprire il cortinaggio del letto, vide una gran cometa che proiettava i suoi raggi, proprio diritto su quello.

— Oh! — essa esclamò subendo il pregiudizio dell’epoca — questo è un segnale che non comparisce per una persona di bassa estrazione! Dio lo fa apparire per noi grandi! Richiudete, è una cometa che annunzia la mia morte, bisogna prepararvisi.

E con un sangue freddo ammirabile, frutto del suo equilibrato carattere, l’indomani mattina mandò a chiamare il confessore, e volle tutti i conforti della religione, sebbene i medici l’assicurassero che ella non era in pericolo.

— Se non avessi veduto il segnale della mia morte — essa rispose — lo crederei, giacché infatti non mi sento un gran male. — E raccontò a tutti che aveva veduto la cometa.

Il destino doveva dare questa volta ragione alla superstizione: Luisa di Savoia, tre giorni dopo, abbandonando i sogni del mondo, passò.