Le donne di casa Savoia/XII. Bona

XII. Bona

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XI. Carlotta XIII. Bianca di Monferrato

[p. - modifica]Bona di Savoia
moglie di Galeazzo Maria Sforza
duca di Milano
1449-1503.
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XII.

BONA

moglie di Galeazzo Sforza

n. 1449 — m. 1503


Nessun sa il lutto che dipoi confuse
Il tuo vivere in tristi ombre ravvolto


B
ona, minore di undici anni alla sorella Carlotta, era nata ad Avigliana nell’agosto 1449, ma passò l’adolescenza alla Corte di Francia, perchè rimasta orfana, e perchè Luigi XI suo cognato contava valersene per qualche suo fine politico.

Infatti, essendo stata la giovinetta Bona richiesta in matrimonio da Edoardo IV Re d’Inghilterra, egli, ansioso d’impedire l’ingrandimento degli Stati di Savoia, e sollecito d’altra parte di compiacere il vanitoso Duca di Milano, che a lui si era dato con tutta l’anima, trattò e conchiuse invece l’unione di lei con Galeazzo Sforza, da tutti riprovata. E ciò senza neppure consigliarsi col fratello di lei, Amedeo IX, o meglio col consiglio di Reggenza che governava i di lui Stati, essendo egli ammalatissimo. [p. 98 modifica]Luigi assegnò pure arbitrariamente in dote a Bona la città di Vercelli, purché il Duca se l’acquistasse con le armi, e intanto il 6 luglio 1468 si fecero le nozze. Ma quando il Duca di Milano dispose le sue soldatesche per andare contro quella città, la Reggente e i Principi del sangue, valendosi dell’amicizia dei Veneziani, naturali nemici degli Sforza, glielo impedirono ed egli rimase con la moglie e senza la dote.

Tristi nozze, queste di Bona, che avevano al loro principio la discordia fra il marito e la di lei propria famiglia. Ma del resto, un marito datole da Luigi XI non poteva valere che quanto lui; e Galeazzo, volubile, impetuoso, brutale e crudele, non poteva rendere felici né i sudditi, ne la propria famiglia. Per sposar Bona, o meglio per divenire cognato del Re di Francia, egli aveva mancato di parola al Marchese Gonzaga, la cui figlia eragli da lungo tempo fidanzata; e raggiunto il suo scopo egli s’insuperbì talmente del regale parentado, da sdegnare ogni freno ed ogni soggezione. Fin la madre sua Bianca Visconti (figlia naturale, come sappiamo, di Filippo Maria, e nel nome della quale gli Sforza avevano avuto il Ducato), maltrattata da lui indegnamente, fu costretta ad abbandonare Milano, e, ritiratasi a vivere a Melegnano, vi morì nell’ottobre dello stesso 1468, non senza sospetto di essere stata avvelenata dal figlio.

Ed anche questi non erano preludi atti a dar coraggio alla giovine sposa! Pure, col suo animo mite, e la sua dolce maniera ella volle provarsi, e riuscì, [p. 99 modifica]talora, a frenare la volgare tirannia del marito, che in quel tempo toccava l’apice della sua potenza. Intanto l’anno successivo al matrimonio, in Abbiategrasso (il cui castello era stato nell’atto matrimoniale assegnato alla Duchessa per sua particolare residenza), le nacque un figlio, a cui furono imposti i nomi di Giovanni Galeazzo, in memoria del primo Duca di Milano. Poi, il 30 luglio del 1470, essa diè alla luce, nel castello di Pavia, un secondo figlio, Ermes.

Ma le gioie della famiglia non distoglievano il Duca dagli amorazzi sconvenienti, e, come sempre avviene, quella che meno ne sapeva era la Duchessa, cui le feste e le adulazioni dei cortigiani, nuove per lei, distraevano alquanto, e che del resto, non capace di commettere il male, non sapeva neppure immaginarlo. Eppoi Galeazzo era furbo, e conosceva il modo di legarla a se, e già le aveva posta al fianco la sua bastarda Caterina, che Bona amò ed educò con rara abnegazione, pur non ignorandone l’origine, e che, maritata poi a Girolamo Riario, ebbe vita avventurosissima.

Caterina amò e riverì, oltre ogni dire, la sposa di suo padre, e sempre le fu amica affettuosa, e ciò perchè la bontà ha tali attrattive che seducono e vincono ogni cuore.

Bona, nel 1471, partecipò col marito ad un sontuoso viaggio a Firenze, dove il Duca, in seguito all’alleanza conchiusa, insieme ai Veneziani, con quella Repubblica, recavasi per visitare Lorenzo il Magnifico, la cui liberalità ne eccitava la gelosia, e pretendeva imitarlo. [p. 100 modifica]Fu quello un viaggio trionfale, in cui Galeazzo spese somme immense, e del quale si raccontano grandezze inaudite. Partirono il 4 maggio 1471, e a Firenze alloggiarono nel palazzo di Lorenzo dei Medici, e furono oggetto di grandi feste e di moltissimi onori. Essendosi, durante uno spettacolo sacro, appreso il fuoco nella Chiesa di S. Spirito, Galeazzo lasciò 2000 ducati per restaurarla; e donava del pari ducati quando gli regalavano fiori, onde non apparire al disotto dei suoi magnifici ospiti.

Da Firenze i Duchi di Milano passarono a Lucca, dove in loro onore fu aperta una porta della città stata fin allora chiusa; e furono regalate alla Duchessa due chinee bianche e 10,000 ducati. Di lì poi si trasferirono a Genova, la possente Repubblica che riconosceva Galeazzo come signore, ma con la quale egli era allora in urto.

Non pertanto era loro ivi stata preparata una splendida accoglienza e feste bellissime, ed una offerta a Bona di molte stoffe ricchissime. Ma Galeazzo, per porre in ridicolo quelle pompe, vi si presentò vestito dimessamente, ricusò di alloggiare nel palazzo apprestatogli, si rinchiuse nel Castello, e se ne andò dopo tre giorni, senza avvertire alcuno, quasi si trattasse di una fuga.

Questo sgarbo fatto a Genova, fu per lo Sforza il primo passo verso la sua rovina.

Intanto la Duchessa, di ritorno a Milano, diè alla luce, il 5 aprile 1472, una bambina, che dal nome della [p. 101 modifica]madre di Galeazzo si chiamò Bianca Maria, e che sposata nell’infanzia al cugino Filiberto di Savoia, figlio di Amedeo IX e di Yolanda, fu vedova prima di esser moglie, giacche egli morì giovanissimo.

La Duchessa Bona diè poi a suo marito: Alessandro, Anna, Carlo, Clara. Ma la bella e numerosa figliuolanza non impediva al Duca, come si è detto, di abbandonarsi fuori alla lascivia: anzi, poiché egli piacevasi, con quel mezzo, insultare le più nobili e intemerate famiglie, questo fu un altro incentivo a preparargli la trista fine a cui soggiacque. La sua dissolutezza aveva sconvolto tutte le famiglie, e la sua crudeltà, appena eccitata da una leggiera resistenza, non era soddisfatta se non applicando spaventosi supplizi. E così sorse, e potè avere effetto, la congiura che lo trucidò in S. Stefano, ove erasi recato, secondo l'uso, ad assistere alla messa solenne, in onore del titolare, il 26 dicembre 1476.

Il Corio, che fu suo paggio, ce ne racconta i presentimenti, che pareva volessero impedirgli di recarsi a quella festa. Aveva passato il Natale patriarcalmente in famiglia, tra feste e canti; e la mattina appresso, prima di andare a quella messa, si fece portare nelle sue stanze i due maggiorini dei suoi figli, e postili uno di qui, l’altro di là negli angoli della finestra, a cui stava affacciato, non si saziava di baciarli. E pur troppo quelli furono gli ultimi baci.

Al ferale annunzio dell’atroce assassinio la Duchessa rimase come annientata. Quindi riavutasi, e [p. 102 modifica]saputo che il corpo del marito era stato deposto nella canonica di S. Stefano, ella si ricordò eh ei le aveva detto più volte di volere, in caso di morte, che gli fosse indossata una certa veste di drappo bianco, e la inviò là, perchè lo si rivestisse di quella, insieme alle insegne ducali.

Giovan Galeazzo, primogenito dell’ucciso, aveva allora non peranche compiuti gli otto anni; pure, senza difficoltà, venne riconosciuto successore del padre, sotto la Reggenza della madre, non avendo l’insieme dei milanesi, i sentimenti di libertà dei tre congiurati che avevano spento Galeazzo.

Di questi uno solo era uscito vivo dalle mani del popolo e dei famigliari del Duca, Girolamo Olgiati, ma caduto in breve anch’esso in mano della giustizia, espiò colla morte la morte che aveva data. Condannato alla tortura, e costretto a dettare la sua confessione, ei la chiuse così:

«Adesso, santa Madre di nostro Signore, e voi, o principessa Bona, io v’imploro, affinchè la vostra clemenza e la bontà vostra provvedano alla salute dell’anima mia. Io chieggo solo che si lasci a questo misero corpo sufficiente vigore, perchè io possa acconciarmi dell’anima secondo i riti della Chiesa, e subire la sorte che mi è destinata».

Tale preghiera è prova evidente che Bona non era odiata come il marito. Intanto i deputati di tutte le città italiane vennero a condolersi colla Duchessa, a felicitarla per il suo grado di Reggente, e ad offrirle [p. 103 modifica]aiuti per mantenerla al suo posto insieme col figlio: insomma essa ebbe in mano le redini dello Stato senza nessuno ostacolo, neppure dal di fuori, e si sperò dalla sua mitezza un periodo di pace e di tranquilla felicità.

Ma sebbene assistita dai consigli del buon politico Francesco Simonetta, segretario e ministro, prima del suocero, poi del proprio marito, Bona non potè lottare a lungo con le mire e l’ambizione dei cinque fratelli di Galeazzo, che volevano partecipare alla Reggenza. I primi quattro, tra cui era Lodovico detto il Moro, che avevano già risvegliata la diffidenza del Duca, che li teneva lontani da Milano, si affrettarono a ritornarvi, dicendo che l’autorità di governo, spettava, per allora, più ad essi che ad una femmina e ad un ministro straniero, e ciò perchè il Simonetta era calabrese.

Non terremo dietro ai maneggi e alle guerre cui la morte di Galeazzo originò, e che tutti i trattati di storia registrano, e limiterò il mio racconto ai casi di Bona, come è il mio compito.

Essa, forse per inesperienza, o per qualche altra causa, che la vita passata col marito non scusa, ma attenua, si era fatta il suo confidente di un certo Antonio Tassini ferrarese, elegante vanesio, datole prima dal marito per cameriere, che geloso della potenza del Simonetta, e pretendendo di scavalcarlo, si era in qualche modo accostato ai cognati di Bona, e quindi era riuscito a farsi da lei istallare a Corte. [p. 104 modifica]Saputo ciò, il Simonetta disse alla Duchessa, ma pur troppo invano:

« — Il partito a cui vi appigliate, costerà a voi l’impero, a me la vita. — » E così fu. Il vile favorito tradì la ingenua, introducendo il 7 novembre 1478 in castello, Lodovico il Moro, principale di lei nemico; e l'11 dello stesso mese il Simonetta venne arrestato e condotto a Pavia, ove, tenuto prima con ogni riguardo, fu poi nell’ottobre 1480 decapitato.

Ma intanto anche la sorte di Bona precipitava: né il Tassini, che aveva soppiantato nel governo il Simonetta, godè a lungo del suo trionfo. Il giorno 7 ottobre 1481, Lodovico fece improvvisamente ed arbitrariamente dichiarare maggiore il nipote tredicenne, onde escludere Bona da ogni ingerenza nelle cose dello Stato, e lo stesso giorno, il caro Tassini fu rinchiuso prigioniero nel castello di Porta Zobia, e in seguito bandito dal Ducato.

La Duchessa, indignata per quella bricconata del cognato, e per i successivi avvenimenti, che tutta le svelarono la perfida indole di lui, decise ritirarsi dalla Corte; e rinunziata a lui la tutela del figlio e dello Stato, si rinchiuse in convento ad Abbiategrasso.

Lodovico non chiedeva di meglio, e Bona, agendo come fece, non si era pur troppo mostrata madre amorosa e sollecita. Infatti, il non troppo tenero zio cresceva Gian Galeazzo inetto a tutto ciò che non era lusso e godimento; e mirava a sbrigarsi, nei modi più bruschi, di tutti gli altri rampolli della numerosa [p. 105 modifica]figliuolanza del fratello, per preparare a sè ed ai suoi figli il diritto indiscutibile al Ducato di Milano.

Ma la Duchessa aveva anche il suo progetto, che scusava la sua apparente colpa. Essa conosceva oramai troppo bene Lodovico, e l’ambiziosa moglie di lui Beatrice d’Este, per non comprenderne i disegni; e non si era ritirata in monastero per una speciale attrazione alla vita claustrale! No, essa si era ivi rinchiusa per raccogliersi ed attendere: infatti, quando comprese che le sarebbe stato facile di eludere la sospettosa sorveglianza del Moro, essa uscì celatamente dal suo ritiro, e riuscì a passare in Francia.

Sperava indurre il cognato Luigi XI ad occuparsi dei suoi casi e di quelli della sua famiglia, e a farsi rendere giustizia contro Lodovico. Ma il momento non era opportuno, che Luigi, oltreché nel suo egoismo non sarebbe stato disposto a prendersi delle brighe per lei, era ornai sì ammalato e sì avvilito dai timori cagionatigli dai suoi crudi rimorsi, che non riuscì a nulla ottenere; e morto Luigi essa si trattenne ancora ad Amboise fino al dicembre, poi, spirata la Regina Carlotta, rientrò negli Stati del figlio in grazia dell’intervento della Reggente di Francia, sua nipote, e vi venne onorevolmente accolta.

In questo frattempo Bona ebbe una nuova causa di dolore e di apprensione. Era morto Filiberto di Savoia, fidanzato alla sua figlia maggiore Bianca, e temeva pel destino di quella fanciulla, oramai in mano allo zio. Ritiratasi perciò di nuovo ad Abbiategrasso, [p. 106 modifica]vi conduceva vita irrequieta ed afflitta, sempre temendo per qualcuno dei suoi cari, cui le turbolenze e le agitazioni, ora incontrate, ora suscitate da Lodovico, ponevano ognora in qualche pericolo.

Cosi giunse il gennaio 1489, in cui si compì il matrimonio di Gian Galeazzo di lei figlio, ed erede del Ducato, con Isabella d’Aragona, la quale, passando per la circostanza da Abbiategrasso, Bona potè muoverle incontro ad abbracciarla. Dopo tale avvenimento, per desiderio, sembra, della giovine sposa. Bona seguì i suoi figli a Milano, ed ivi partecipò alle feste che vi ebbero luogo nel febbraio, per celebrarne l’unione.

Giovanni Galeazzo, benché oramai fatto adulto, poteva dirsi ancora un ragazzo, tanta era la sua debolezza, dappocaggine e pusillanimità; e ciò giustificava, in faccia ai più, la prolungata Reggenza di Lodovico. Ma di ciò non erano persuase né la madre né la sposa di lui; e mentre quella si preparava ad un nuovo viaggio in Francia, impeditole dal cognato, Isabella, continuamente soverchiata ed offesa da Beatrice, che si stimava la vera Duchessa, e come tale sfoggiava, condannando lei alla vita povera e solitaria del palazzo di Pavia, si era lagnata acerbamente col proprio padre.

Intanto Lodovico mulinava nuove atrocità; e stabiliva il matrimonio della nipote Bianca, coll’Imperatore Massimiliano, già vedovo di Maria di Borgogna, ed ex fidanzato ad Anna di Brettagna, che Carlo VIII di Francia gli aveva tolta, rompendo, di più, la [p. 107 modifica]promessa fatta a Margherita, figlia di lui, come diremo a suo tempo.

Lodovico trattò questo matrimonio e lo concluse, assegnando alla nipote una ricca dote, sapendo che l’Imperatore scarseggiava a denari; e chiedendo ed ottenendo in ricambio da lui l’investitura per sé del Ducato di Milano, cosa però che pel momento tenne celata.

Il matrimonio di Bianca, che, ad onta di tutto, tranquillizzava non poco l’animo di Bona, ebbe luogo, per procura, il 1° dicembre del 1493, e fu splendidissimo; Bona col figlio Ermes l’accompagnò fino a Como, ove essa s’imbarcò per la nuova patria, dopo avere strettamente abbracciata la madre e mestamente sorriso al fratello, che l’accompagnava, col seguito, fino a Malz. Ad Ala essa si fermò ad attendere lo sposo, ed ivi il matrimonio fu confermato.

Dopo questo acerbo distacco. Bona cadde ammalata, e così stette lungamente, se non pericolosamente, e in questo periodo ella soggiornò alternativamente a Vigevano, Abbiategrasso e Milano, sempre però accuratamente sorvegliata per conto di Lodovico, la qual cosa molto contribuiva a inasprire il suo stato. Di più essa sapeva gravemente ammalato, nel castello di Pavia, Giovanni Galeazzo; e partecipando purtroppo ai sospetti dei più, che tal malattia altro non fosse che un lento veleno propinatogli dallo zio, chiese ed ottenne di poterlo assistere insieme alla nuora.

In questo tempo passò da Pavia Carlo VIII, che intraprendeva allora la sua prima discesa in Italia, ed [p. 108 modifica]ebbe col cugino un breve abboccamento, che presenziato da Lodovico, non potè aggirarsi che su cose insignificanti. Bona, rivedendo il figlio di sua sorella, che ella aveva sempre tanto amato, avrebbe voluto parlare al di lui cuore, rievocandone, per commuoverlo alla propria sorte ed a quella di suo figlio, le soavi memorie della fanciullezza; ma la sospettosa vigilanza del Moro le impedì ogni espansione. Così ella vide, impotente ad impedirlo, morire il figlio il 20 ottobre, così vide il disperato dolore della nuora, e il pianto dei figliuoletti, che il perverso Lodovico non tardò a spogliare d’ogni potere.

Proclamato Lodovico Duca di Milano, Bona tornò ancora una volta in Francia e vi si trattenne a lungo pur non riuscendo a farsi fare giustizia, né a nulla ottenere; e tornata finalmente in Italia, andò ad abitare il castello di Possano, negli Stati del Duca di Savoia suo nipote, il quale le assegnò per dimora quella terra, coi redditi annessi pel suo mantenimento, che essa subaffittò per 1700 fiorini annui e 700 sacchi di grano. Intanto faceva pratiche, e scriveva lettere e lettere, per ottenere da Carlo VIII la rivendicazione della sua pensione di 5000 lire tornesi, assegnatale da Luigi XI sul Ducato di Milano.

Viva immagine delle umane vicende, la infelice Bona, che a Firenze e a Milano aveva sfoggiato la più possibile magnificenza, che era madre di una Imperatrice, e che si vedeva ridotta a ricorrere a domande e sollecitazioni, per tirare innanzi la vita. [p. 109 modifica]Essa morì poi in Possano, dimenticata da tutti, nella seconda metà del novembre 1503, in età di cinquantatrè anni. La morte la colse, ignorata dai più anche fra i suoi contemporanei, e nella massima miseria, tanto che due sole faci furono accese intorno al suo cadavere, e due del pari furono impiegate pel suo accompagnamento funebre, e non trovandosi drappo da cuoprire il feretro, doverono farlo venire da Carignano!

Sic transit gloria mundi!