Le donne di casa Savoia/XI. Carlotta
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XI.
CARLOTTA
Regina di Francia
n. 1438 — m. 1083
.........e nulla |
Essa aveva appena dodici anni, allorché fu chiesta in matrimonio da Luigi, Delfino di Francia, il futuro e cattivo Luigi XI, figlio del Re Carlo VII, e già vedovo di Margherita, figlia del Re Giacomo I di Scozia. Luigi aveva sposata quella principessa fanciulla tredicenne, e sebbene sia fama che alla bellezza e al talento, ella unisse un’angelica dolcezza, non giunse mai a produrre la più tenue impressione sull’arido cuore del marito. E la poverina era morta, appena giunta ai venti anni, pronunziando queste amare parole: «Basta della vita! che non mi se ne parli più». Luigi viveva da dieci anni lontano da suo padre, ritirato nel suo appannaggio del Delfinato, senza mai andare alla Corte, dove odiava i consiglieri del Re, ed era odiato; trattando ivi come se fosse già Re, sempre occupato, sempre con un progetto in testa, sempre più indignandosi contro Re Carlo, che, per consiglio dei suoi ministri, rispondeva costantemente con rifiuti alle sue richieste, anche se queste erano ragionevoli, tanto temevano a Corte quel carattere cupo e falso, quando nel 1449 egli strinse alleanza con Lodovico Duca di Savoia, con promessa di mutua assistenza verso tutti e contro tutti. E l’anno appresso egli dimostrò più che mai la sua indipendenza dal padre, chiedendo a Lodovico la mano della principessa Carlotta. E soltanto quando la cosa fu quasi conclusa, scrisse al Re per chiedergli il consenso.
Siccome Carlotta non era che una bambina, era stato pel momento stabilito di fare soltanto la cerimonia, riserbandosi a consumare il matrimonio alcuni anni più tardi, ma Carlo VII, che aveva altri progetti sul proprio figlio, fu contrariato da quella domanda e da quel modo di agire. Basandosi però gentilmente sulla tenera età della principessa, che lasciava troppo tempo da scorrere prima di potere sperare un erede, scrisse in questo senso a Lodovico ed al figlio, rifiutando.
Ma Luigi intestato, pensava di far senza il consenso del padre, e Lodovico (principe leggiero, dissero i contemporanei, come la piuma che portava per impresa), era dispostissimo ad aiutarlo; del che informato Carlo VII, spedì un araldo a Chambéry coll’intento d’impedire, colle buone, questo sopruso. Se non che, il tristo suo figlio, insieme ad un favorito del Duca di Savoia, aveva prese tutte le precauzioni, e appena giunto l’araldo, fu trattenuto a discorsi, e non fu fatto entrare presso il Duca che a cerimonia finita.
E Lodovico, assicurato dal Legato Pontificio, o comprato, o ingannato dall’intrigante Delfino, che Carlo VII era stato poi contento del parentado, non conobbe che allora la fiera opposizione del Re di Francia. Così, mentre la fanciullina che avevano allora sì stupidamente sacrificata, tornava ignara ai suoi giuochi e ai suoi spassi, godendosi gli ultimi istanti di felicità che avrebbe provato sulla terra, il padre e lo sposo dovettero rispondere dell’accaduto dinanzi a Carlo VII. Il quale, vivamente offeso da quel fatto, e da lungo tempo dissimulando tutte le occasioni di scontento che gli porgeva la Corte di Chambéry, così favorevole al Delfino nella sua ribellione, si determinò allora a far sentire a Lodovico gli effetti tutti del suo risentimento e a dichiarargli la guerra; contemporaneamente le sue truppe marciarono verso il Lionese.
Ma il Duca Lodovico, sapendosi troppo debole per respingere un sì formidabile nemico, si affrettò a scongiurare l’uragano, inviando ambasciatori al Re, incaricati di esporgli le cose sotto i colori più favorevoli, e quindi si recò egli stesso a Feurs, a quattro leghe da Lione, a fare a Carlo le sue scuse, ed offrirgli le convenienti riparazioni. Queste furono gravi anzi che no, ma non impedirono, come si è veduto altrove, che si consumasse a suo tempo il matrimonio di Yolanda con Amedeo di lui figlio.
In quanto al Delfino, che era stato il primo ed il maggior colpevole, continuando nelle sue discordie col padre, tanto fece che questi si vide costretto a spedire le sue truppe nel Delfinato. Luigi tentò prima di resistergli, poi fuggì dai suoi Stati e si rifugiò in Borgogna, presso suo zio Filippo il Buono, e suo figlio il Conte di Charolais, poi Carlo il Temerario, che in seguito sì male ricompensò.
Durante il suo soggiorno alla Corte di Borgogna, Luigi fece pace col suocero, col quale si era disgustato perchè aveva negato di aiutarlo nella guerra contro suo padre; ed essendo intanto giunta Carlotta ai diciotto anni, la fece venire in Borgogna, ed entrambi vissero ospiti del Duca, nel castello di Genappe, da lui messo a loro disposizione. E la povera giovinetta, la cui luna di miele fu l’esilio, troppo presto comprese a qual misera vita sarebbe stata condannata.
Nel dicembre del 1458 Luigi annunziò da Genappe al Re che Carlotta stava per divenir madre, ciò che avvenne il 17 luglio 1459.
Il Re ne fu felice, e il Duca di Borgogna diè grande solennità alla cosa, facendo cantare il Te Deum in tutte le sue città, ed ordinando fuochi e luminarie. Volle quindi esser padrino del fanciullo, e regalò alla giovine madre un bel servizio d’argento, come nè lei nè il marito nel loro esilio possedevano. Il bambino però non visse che pochi mesi, e morì nel successivo novembre.
Ad onta delle ambasciate del Re, desideroso omai di fare con esso la pace. Luigi persisteva nel suo dissidio, forse perchè il Duca di Borgogna lo trattava benissimo e gli rendeva dolce la vita nei suoi Stati. Cacciavano, novellavano e passavano il tempo piacevolmente. La vita di Carlotta invece, che al pari della prima moglie non aveva su lui alcun potere, scorreva travagliatissima e sconsolata, specie dopo la morte del suo bambino che era per lei una distrazione ed un affetto. Essa, timida per natura, non osava dar consigli al marito; povera e senza il necessario per comparire, non poteva mai mostrarsi in pubblico, e partecipare alle distrazioni della Corte.
Forse Re Carlo indovinò tutto ciò, giacche fece ancora nuove premure perchè suo figlio tornasse in Francia, spiacendogli sopratutto, diceva, di vedere la gentile e giovine sua sposa in sì miserevole stato, senza vesti, senza gioie, senza denaro, mentre le altre sue pari avevano tutto, e a lei non toccavano che dolori e continue inquietudini, non possedendo fra marito e moglie che la propria persona. Ma Luigi, duro ed egoista, fu ancora inesorabile.
Carlotta, nel mese di Aprile del 1461 fu madre di Anna; ma neppure questo avvenimento le recò dal marito un pensiero gentile, una premura di renderle men disagevole la vita, e persistè sempre a rifiutare qualunque invito e promessa di suo padre, temendo, sospettoso come era, d’incappare in qualche tradimento; e neppure si mosse quando quegli si ammalò della malattia che doveva spengerlo. Così Carlo VII morì senza riveder suo figlio, senza conoscere la nuora e la nipotina, il 22 Luglio 1461.
Luigi era sempre a Genappe quando giunsero i messaggeri che gli portavano la notizia; e fu poi tanta la sua fretta di andare a prendere possesso del potere, e così poca la premura di farvi partecipare la moglie, che egli partì senza di lei, la quale non aveva né cavalli né carrozza per mettersi in viaggio colla bambina, suggerendole di farsi prestare l’equipaggio dalla cugina Contessa di Charolais, alla quale, dopo tante obbligazioni, non aveva neppure trovato il tempo di dire addio.
E così Carlotta fu esclusa da tutte le cerimonie dell’incoronazione e dell’ingresso solenne in Parigi, ricevendo in tal modo l’avviso di quanto doveva aspettarsi dal marito anche nella prosperità. Appena quando egli si recò ad Amboise, ove da lungo tempo viveva ritirata sua madre, Maria d’Angiò, si ricordò della moglie e seco la condusse. Ad Amboise essa fu molto festeggiata ed applaudita nel suo ingresso solenne al fianco del Re, e quegli applausi e quelle feste erano proprio strappati dalla sua amabilità e dal suo fascino, giacche non era certo per blandire il Re, non amato, che le s’indirizzavano. La derelitta vedova di Carlo VII, che sapeva pur troppo quali amarezze toccano sovente alle mogli dei potenti che amano, non riamate, i loro compagni, comprese subito la situazione della nuora e simpatizzò vivamente con lei. Ma quella dolce corrispondenza, che fece provare a Carlotta sconosciute tenerezze, giacche la madre non l’aveva davvero viziata, non durò a lungo, che la Regina Maria morì in breve, nel 1464. Da allora, più che mai le simpatie dei buoni e degli umili si concentrarono su Carlotta, che personificava sul trono quelle due virtù.
Nello stesso anno, il 15 Maggio, la Regina ebbe a Nogent-le-Roy, durante una sosta fatta in quegli strapazzati viaggi, che Luigi XI intraprendeva, ora per un pellegrinaggio, ora per una caccia, la sua seconda figlia, Giovanna, sposata pochi giorni appresso al Principe Luigi d’Orléans, presuntivo erede della corona, allora in età di due anni, e che, alla morte di Carlo VIII regnò col nome di Luigi XII.
La vita di Carlotta, anche sul trono, non fu davvero ridente; essa non era Regina di Francia che di nome, e perchè si aspettava da lei il futuro Re. Luigi era alieno, anche per carattere, dalle feste e dalle distrazioni, ma quando anche, per politica, ne dava, o ne accettava qualcuna, raramente vi faceva partecipare la Regina, certo per economia, essendo avarissimo, e per gelosia d’influenza. Egli non le lasciava altra soddisfazione che di avere sempre presso di se qualcuno dei suoi parenti, gentilezza anche questa interessata, giacchè in tal guisa si faceva arbitro della loro sorte, e se ne serviva per concludere alleanze a lui favorevoli. E Carlotta, soffrendo di quella vita, non aveva oramai altra cura che di obbedirlo, per non aver poi da temerlo.
A proposito di che, il De Barante ci narra che una volta, premendo a Luigi di cattivarsi il Duca di Borgogna, ordinò alla Regina di andare a fargli una visita. Ed essa, traduco, «vi andò colla Principessa di Piemonte, e due delle sorelle, le principesse di Savoia, e con un seguito brillantissimo, composto delle più belle dame del regno. Facile è comprendere l’accoglienza piena di rispetto e di cortesia che il Duca Filippo fece alla Regina di Francia. Egli diè in onore di lei una festa da ballo splendidissima, che si protrasse fino alla mattina. La Principessa di Piemonte, e tutte le altre giovani dame, erano soddisfattissime di una giornata passata così allegramente. Non conoscendo che la vita triste e ritirata che il Re faceva fare a tutta la Corte, sempre male alloggiate, sempre segregate nei castelli, o in brutte borgate, lungi dalle buone e grandi città; senza altro passatempo che le fatiche della caccia; senza nessuna libertà nei loro divisamenti; sempre in via per andare da un luogo ad un altro, esse non si stancavano mai di ammirare la magnificenza e la dolce libertà della Corte di Borgogna. E dicevano che lor sarebbe crudele il partire, per tornare alla tristezza del loro regime abituale. La Regina stessa, che il marito trattava con sì poca cura, non poteva trattenersi dal dire che durante la sua vita non si era mai trovata così contenta, ma che essa pagherebbe cara quella contentezza, con il rimpianto che ne avrebbe: — Ne avrò — essa diceva — per sette anni, da rammentare e da fare confronti.
L’indomani continuarono le danze e i divertimenti. Quando incominciò a farsi sera, la Regina si mise a parlare di partenza:
— Bisogna andarsene; — essa diceva — il mio signore mi ha ingiunto di non passare qui che due giorni; e domani voglio partire di buon mattino.
— Ah, signora — disse il Duca — non è questo il momento di parlare di partenza; queste sono parole che rattristano la festa. Voi pranzerete domani con noi, poi, se il tempo sarà buono, partirete.
— Oh, zio mio, il Re l’ha ordinato, e per nulla al mondo oserei disobbedirlo.
— Madama, egli stesso mi ha fatto l’onore di mandarvi qui; certamente egli ha completa fiducia in me, ed un giorno o due che voi possiate regalarmi, non mi guasteranno con lui.
Ma M.r de Crussol, che si era avvicinato, ed aveva inteso questo discorso, disse:
— Monsignore, è impossibile, bisogna che la Regina parta; non vi può essere scusa alcuna. Io sono incaricato dal Re di vegliarla, e non me lo perdonerebbe mai più. E così dicendo tremava di paura e si metteva in ginocchio dinanzi al Duca, tanto ben conosceva il suo padrone. Nondimeno il Conte d’Eu fu più temerario.
— Signore — egli disse — noi vi abbiamo condotta la Regina per ordine del Re, voi ne sapete più di noi, ed essa non partirà se non come avete detto».
Fu dunque stabilito che anche l’indomani Carlotta pranzerebbe presso lo zio. Tutti si rallegravano di avere un giorno di più da passare in così buona compagnia. Ma la povera Regina non partecipava alla gioia generale; essa era invece più disposta a piangere pensando ai rimproveri di suo marito; mentre sua cognata, la Principessa di Piemonte, non faceva che ridere di quella paura e di quel dolore, tanto era contenta di rimanere.
Il giorno seguente ci fu un altro dibattimento. La Regina e Crussol volevano partire dopo pranzo; perchè essendo l’indomani la festa dei Santi Innocenti, non mettendosi in viaggio la sera, bisognava rimaner lì un giorno ancora. Il buon Duca, incoraggiato dalla Principessa di Piemonte, si divertiva delle paure della Regina; ed incaricò suo nipote, Adolfo di Ravenstein, di sorvegliare le porte e di non lasciare uscire alcuno. Né preghiere ne lacrime poterono commuoverlo. Finalmente, dopo avere scherzato alcun poco, concluse col dirle:
— Io sono il decano dei Pari di Francia, ed il primo del regno dopo il Re. Ed il mio potere è sufficente per tenervi qui e rendervi onore e rispetto. Monsignore comprenderà ch’io non ho altra idea. — A queste parole né uomo ne donna osò replicare e ciascuno ricominciò a divertirsi del suo meglio. E soltanto il dopo domani la Regina si rimise in via. Il Duca l’accompagnò per un buon tratto, e scrisse una lettera al Re per prendersi lui la colpa del ritardo nel viaggio, dicendo che la Regina avrebbe voluto partire, ma che l’aveva trattenuta lui a causa del cattivo tempo».
Questo episodio è una riprova della vita fatta da Luigi XI alla sua famiglia, della soggezione che incuteva alla timida Carlotta, e dell’interesse che tutti si prendevano per distrarla.
Un’altra volta, nel 1467, premendo al Re di amicarsi la città di Parigi, vi si recò facendosi seguire a breve intervallo dalla moglie. Carlotta vi fu ricevuta con grande allegrezza e solennità, e il popolo le dimostrò quell’affezione e quella stima che non s’impongono. Vi furono pranzi e feste a cui essa intervenne disinvolta e gentile, e particolarmente una grande rivista militare, che il Re passò con la Regina e tutta la Corte. Desideroso di piacere al popolo, e vedendo quanto ad esso riuscisse cara Carlotta, egli giunse fino a promettere, che la Regina sarebbe nuovamente divenuta madre a Parigi la città del mondo che più egli amava. Ma nessuna speranza di prossima maternità aveva allora la Regina, né Luigi era disposto a mantenere la sua promessa. Infatti il futuro Carlo VIII nacque ad Amboise il 30 giugno 1470.
La gioia di tutto il regno, per questo avvenimento tanto atteso e desiderato, fu immensa, ed il Re, ebbro di gioia, adempì a non so quanti voti da lui fatti per ottenere tal grazia. Tra gli altri fece restaurare a Roma la Cappella di Santa Petronilla, ivi fondata dai Re di Francia; perchè la Regina aveva fatto un voto speciale a quella Santa; ed era corsa voce per Roma che allorquando si apri la cassa che ne conteneva il corpo, si trovò sopra di essa la pittura di alcuni Delfini, che sembrava fatta allora allora.
Da quell’epoca, Carlotta non lasciò quasi più il castello d’Amboise. Essa viveva lì modestissima e sempre passiva ad ogni atto del Re; e ivi nacque ancora Francesco Duca di Berry, che non ebbe che pochi giorni di vita. Circondata dai suoi tre figli, Anna la maggiore, la prediletta del padre; Giovanna, di salute cagionevole, e che alla presenza di Luigi, si celava fra le sottane della mamma; e Carlo, anch’esso nell’infanzia debole e contraffatto; essa non aveva altro conforto che occuparsi di loro, in compagnia della sua minor sorella, Bona, che Luigi, faceva educare alla sua Corte.
Luigi viveva quasi sempre solo, senza la Regina ed i figli, nel castello di Plessis di cui aveva fatto la sua dimora favorita, e circondato dai suoi fedeli, tutta gente di bassa estrazione, non si occupava niente affatto della famiglia. Anzi egli provava pel Delfino una certa gelosia, del che la madre molto si affliggeva.
Nel 1473 Luigi ebbe un pensiero per la famiglia, e si decise a maritare le figlie. Sposò la maggiore, che poi si chiamò Madama Anna di Francia, e fu Reggente durante la minorità del fratello, a Pietro di Borbone, signore di Beaujeu, e Giovanna al Duca d’Orléans, a cui era promessa dalla nascita; due matrimoni fatti per appianare pretensioni ed ostacoli alla sua discendenza.
E quando nel 1481 ebbe un attacco d’apoplessia, a cui sfuggì per miracolo, egli, dopo avere al solito fatti dei pellegrinaggi a’ santuari, per ringraziamento, si recò finalmente ad Amboise, per rivedere la moglie e quel figlio che doveva pur succedergli, e che conosceva appena.
Luigi XI morì a Plessis-Tours il 30 Agosto 1483, e anche morendo ei dimostrò la sua noncuranza per la Regina, lasciando Reggente la figlia, e tutore del Delfino il marito di lei.
Carlotta, a cui egli non aveva mai dato alcun credito, la di cui anima era appassita, come fu detto, a causa della di lui trascuratezza; che non aveva alcuna esperienza negli affari, e che trovavasi in un deplorevole stato di salute, deluse con un rifiuto coloro che, dicendosi suoi partigiani, volevano nel nome di lei togliere ad Anna la Reggenza. E questo può dirsi il suo unico atto che la tolse per un momento dall’ombra in cui era intristita. Ed oscura come era vissuta, si spense in breve ad Amboise, il 1° Dicembre dell’anno che aveva veduto morire suo marito, e fu sepolta nella Chiesa di Clery presso Orléans.
La traccia lasciata da Carlotta di Savoia, Regina di Francia, nella storia, è tenue come una sfumatura; ma è una traccia soave, una sfumatura simpatica e cara.