Le Mille ed una Notti/Storia del Mercante di Omman

Storia del Mercante di Omman

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Storia del Mercante di Omman
Storia d'Abukar e d'Abussir Storia d'Ibrahim, figliuolo di Khasib, e di Gemileh, Figliuola di Abuleis

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NOTTE CMXXI-CMXXX

STORIA

DEL MERCANTE DI OMMAN.

— Una notte che il califfo Aaron-al-Raschild non poteva chiudere gli occhi, ingiunse a Mesrur, capo degli eunuchi, di chiamare il gran visir. — Giafar,» disse il califfo, «soffro questa notte una noia insopportabile; sapresti nulla per liberarmene? — Sire,» rispose il visir, «i savi pretendono che le donne, la musica ed i bagni siano tre potenti rimedi contro la noia. — Li ho provati tutti,» riprese il califfo, «e giuro pe’ miei gloriosi antenati di farti mozzare la testa, se non trovi qualche mezzo di dissipare la noia che mi opprime. — Bene, sire,» fece Giafar, e seguite il consiglio che sono per darvi. Imbarcatevi sopra un battello, e scendete il Tigri sine al sito chiamato [p. 288 modifica] Kwnm Siralh. Forse potrete vedervi od udirvi qualche cosa di nuovo. Non v’ha rimedio più potente contro la noia quanto vedere cosa che non si sia ancora veduta, udire cosa non ancora udita, o portare i passi dove non siasi mai recati. — Or bene, andiamo!» disse il califfo; e presi con sè il visir Giafar, suo fratello Fadl-il-Barmecida, il musico Ishak, il poeta Abu-Novas, il luogotenente di polizia Ahmed-ed-Deuf, l’ispettore della guardaroba Abudelf, Mesrur capo degli eunuchi, ed il gran giustiziere, travestiti tutti da mercatanti, imbarcaronsi in un battello e discesero pel Tigri. Giunti al sito designato da Giafar per quella gita, intesero una voce soave cantare versi melanconicissimi, ne’ quali respiravano i più teneri sentimenti. — Ah! che bella voce!» sclamò Aaron. — In verità,» soggiunse Ishak, «non ho mai nulla udito di più mirabile; e se non si gode che per metà una voce che si sente dietro una cortina, quanto deve perdere quella che si ode dietro le mura! — Andiamo, Giafar,» soggiunse Aaron, «bisogna procurar d’introdurci in quella casa.» Smontarono a terra vicino al luogo d’onde pareva uscir la voce, e ricevuti da un giovane di gentili maniere che loro fece ottima accoglienza, furono condotti in una sala decorata d’oro ed azzurro, in mezzo alla quale trovavasi una gran vasca. Intorno a questa vedevano cento giovani schiave, belle come la luna. Alzaronsi tutte alla voce del padrone, e questi, voltosi a Giafar, il cui esteriore risaltava su quello degli altri suoi compagni: — Io non so, miei signori,» disse, «chi tra voi sia l’ultimo od il primo; perciò abbiate la bontà di collocarvi secondo il vostro grado; il primo tra voi prenda il posto d’onore, e gli altri si accomodino di seguito; se permettete, si servirà da cena.» E tosto quattro schiavi, con abiti rimboccati, recarono più di cento piatti, tutti l’un dall’altro diversi per gusto e colore; carni arrostite d’ogni specie, [p. 289 modifica] pasticcerie, confetture e tarte di crema, sulle quali vedeansi scritti versi con de’ pistacchi.

«Levate le mense, i convitati lavaronsi le mani 1, ed il giovane chiese loro se potesse giovarli in qualche cosa. Gli ospiti allora confessarono di non esser venuti se non per udire la voce, la cui melodia li aveva incantati. Il giovane, voltosi ad una delle schiave, le disse: — Chiamate la vostra padrona.» Andossene la messaggera, e in breve tornò con una sedia in mano, e seguita da un’altra donna, la cui rara bellezza riempiva di maraviglia. Cavò essa da un astuccio di raso rosso un liuto adorno di rubini e smeraldi, se l’appoggiò al seno, come se fosse un bambino, e lo accordò accarezzandolo come una madre il figliuolo. Ne trasse poi suoni seducenti, e cantò queste parole:

««Lungi da un amante il tempo fugge; indarno essa si lusinga che debba ricondurle vicino l’oggetto del suo amore.

««S’alza lo zeffiro della notte; vidi apparire la luna e lo stelle. Quante notti ho passate cogli occhi fitti sull’onde rabbrunite del Tigri, mentre quel fiume rifletteva il dolce chiaror della luna.

««Quante volte non ho io veduto coricarsi la luna, allorchè la sera spariva sotto la forma d’una scimitarra di porpora»»

«Quando la schiava ebbe finito di cantare, struggevasi in pianto, nè potè frenare i singhiozzi che commossero sino alle lagrime tutti gli astanti, rapiti dalla sua voce. — È dunque,» chiese Aaron, «un’amante sfortunata divisa dal suo diletto? — No,» rispose il giovane, «non geme che sull’assenza della propria famiglia. — Non si piangono così i parenti,» disse Aaron ai compagni. «Quelle lagrime [p. 290 modifica] sono versate per un’amante.» Voltosi poi Ishak, soggiunse: «Non ho mai inteso nulla di simile. — E neppur io, Commendatore de’ credenti,» rispose il musico, il quale, nel calore dell’entusiasmo, dimenticò affatto il travestimento, il giovane non si sconcertò, prosternossi davanti al califfo, e gli rese omaggio; allora Aaron si avvide com’egli fosse d’un pallore estremo. — Che cosa avete?» gli domandò; «è questo il colore naturale, della vostra carnagione, oppure è prodotto dal cordoglio? — Ah! Commendatore dei credenti,» rispose il giovane, «molto straordinaria è la mia storia. — Raccontatela,» ripigliò Aaron; «forse potrò mitigare il vostro dolore.» L’ospite cominciò nel modo seguente la sua narrazione:

«— Io sono figliuolo d’un mercatante ricchissimo della città di Omman 2. Mio padre aveva in mare trentasei bastimenti, che gli rendevano ogni anno trentamila zecchini. Si diede egli il massimo pensiero per la mia educazione, ed anche al letto di morte mi fe’ chiamare per darmi consigli di saviezza e virtù. Un giorno ch’io mi trovava in compagnia d’alcuni mercatanti, un mio schiavo venne a dirmi che un uomo domandava di parlar meco. Ordinai di farlo entrare; colui, aperto un canestretto che portava in testa, mi presentò frutti di straordinaria bellezza e quali io non ne aveva mai veduti di simili. Gli donai cento zecchini, e chiesi a’ miei compagni d’onde venissero quei frutti e quell’uomo. — Di Bassra,» mi dissero; ed a tale occasione parlarono con tanto entusiasmo di Bagdad e di Bassra, delle maraviglie e degli abitanti di quelle città, ch’io non seppi resistere al desiderio d’intraprendere un viaggio per assicurarmi co’ miei propri occhi se fondate o no fossero quelle lodi. [p. 291 modifica]«Vendetti tutte le mie merci ed i miei bastimenti, di modo che possedeva un milione di zecchini in denaro, oltre le gioie e le pietre preziose da me conservate. Imbarcatomi quindi sur una nave, giunsi felicemente a Bassora, e pochi giorni dopo a Bagdad. M’informai subito qual fosse il più bel quartiere della città, ed indicatomi quello chiamato Karakh, vi presi in affitto una superba casa nella via dello Zafferano.

«Un venerdì, dopo fatta la mia preghiera nella moschea Mansuri, andai a passeggiare sino ad un luogo poco di qui lontano, chiamato Karnes Syrath. Colà vidi un magnifico palazzo fabbricato sulla sponda del fiume, e circondato, dalla parte della città, da un bellissimo cancello. Notando una folla d’uomini che accalcavansi a quel recinto, m’accostai anch’io per vedere cosa fosse. Vidi un vecchio ben vestito, profumato d’essenze e con lunga barba che gli scendeva sino al petto; parecchi schiavi gli stavano intorno in piedi. Mi dissero che quel personaggio chiamavasi Taher figliuolo di Ola, il quale amava moltissimo i giovani, e faceva ottima accoglienza a tutti quelli che volessero passare presso di lui la notte. — Ecco appunto,» dissi tra me, «quello che da gran tempo cercava.» Mi accostai al vecchio, e salutatolo, gli domandai il permesso di cenare alla sera con lui. — Siate il benvenuto, figliuolo,» mi rispose, «sarete trattato secondo il vostro desiderio. Ho schiave da dieci, da venti e da trenta zecchini per notte; ne ho anche d’un prezzo maggiore. Sceglierete. — Datemi,» gli dissi, «una schiava da dieci zecchini, ed eccovene trecento pel mese intiero.» Mi consegnò il vecchio ad un suo schiavo, che mi condusse al bagno, e quindi alla porta d’un gabinetto al quale bussò, e cui venne ad aprire una schiava bella come la luna, — Ecco il vostro ospite,» le disse lo [p. 292 modifica] schiavo; «addio!» Mi guardai intorno, e maravigliai non meno della ricchezza dell’appartamento in cui mi trovava che della beltà della mia diletta, la quale aveva due schiave per servirla. Pece essa cenno di portare da cena, che fu squisita, e levate le carni, furono imbanditi frutti deliziosi e vino eccellente. Trovai nella mia amante una compagna amabile, voluttuosa e dotata di mille grazie. Passai con lei un mese, e in capo a questo, andai a trovare il vecchio, amico detta gioventù. — Ora vorrei,» gli dissi, «una schiava da venti zecchini per notte: ecco seicento zecchini per l’intiero mese.» Mi condussero al bagno, e poi in un’altra stanza, dove fui ricevuto da un’Armena di portentosa bellezza; aveva quattro schiave per servirla. La nuova mia amante, dotata di voce mirabile, cantò quanto segue:

««O soavi profumi delle regioni nelle quali Babilonia torreggia, portate, ve ne scongiuro, in quegl’incantati luoghi i miei voti! Colà abita colei che porta nel l’anima degli amanti il turbamento, senza lor concedere il più lieve ristoro.»»

«Passai con lei un mese intero in seno alle più inebbrianti voluttà. Indi me ne andai a trovare il vecchio, all’uopo di accomodarmi con lui per un mese ancora, e gli chiesi una schiava da quaranta zecchini; ma egli mi disse che doveva attendere almeno una notte, poichè quella vicina era destinata ad una festa generale per tutte le giovani che la passavano in allegria. Mi consigliò dunque egli a passare la notte sulla terrazza. Dopo avervi a lungo passeggiato, scopersi un lume per una fessura; m’abbassai e vidi, in una camera magnificamente ornata, due amanti nel più tenero colloquio. Smarrii la ragione, Commendatore de’ credenti, allorchè vidi una giovane di rara beltà nelle braccia d’un altro. Discesi dalla terrazza, e recatomi alla sala dov’erano [p. 293 modifica] adunate tutte le giovani, domandai ad una delle mie antiche amanti chi fosse quella bellezza che mi aveva così turbato la ragione; sorrise ella, e: — È,» mi disse,» la figliuola di Taher, figlio di Ola, padrone di questa casa; è nostra padrona, e noi altre siamo tutte sue schiave. — Ma, sapete voi quanto costi una notte passata con lei? — Non meno di cinquecento zecchini; è una beltà degna d’un re. — Per Dio!» sclamai io, «bisogna che la possegga, dovessi pure costarmi tutto il mio. —

«Attesi colla maggior impazienza il giorno, ed appena spuntò l’aurora, mi recai dal vecchio, egli chiesi la bellezza che costava cinquecento zecchini per notte. — Volontieri,» rispos’egli; «non avete che a numerare il denaro.» Gli diedi quindicimila zecchini per un mese intero, fui condotto al bagno, e poi in un appartamento magnifico, dove trovai la mia bella, i cui vezzi erano al di là d’ogni espressione.

«La salutai, e dessami rese il saluto. I suoi sguardi voluttuosi mi turbarono i sensi. Mi fece sedere vicino a lei, e quattro schiave servirono conserve, frutti squisiti ed un vino delizioso, degno della tavola d’un re; intanto arbusti odoriferi e l’aloè che ardeva in braceretti d’oro, esalavano intorno a noi i soavi loro profumi3. Quindi la bella schiava, [p. 294 modifica] cavando da un astuccio di raso un liuto d’avorio, raccordò e cantò queste parole:

««Il più felice istante è quello che si passa vicino all’oggetto dell’amor suo, allorchè il vino brilla nelle coppe e gli occhi contemplano vezzi incantevoli.»»

«Restai, Commendatore de’ credenti, con quella bella creatura sinchè fu finito tutto il mio danaro. Allora piansi amaramente, e siccome la figliuola del vecchio mi amava assai, prese parte al mio dolore. — Secondo l’uso di mio padre,» mi disse, «bisogna assolutamente che, se non avete più denaro, partiate entro tre giorni; ma rassicuratevi, voi non mi lascerete. Mio padre è immensamente ricco, e tutti i suoi tesori sono in mia mano. Io vi darò una borsa di cinquecento zecchini che gli passerete ogni mattina, dicendo che per l’avvenire non volete più pagare un mese alla volta, ma una notte soltanto; avrò cura di procurarvi ogni sera la borsa. — .

«Vissimo in tal maniera un anno intiero. Ma un giorno, avendo la mia diletta battuta una sua schiava della quale era malcontenta, questa, per vendicarsene, corse a svelare al vecchio il segreto che tanto ne importava di tenere nascosto. Taher si decise a farmi uscire dalla mia camera sull’istante. — Tengo,» mi disse, «i miei ospiti tre giorni dopo che non mi possono più pagare; ma voi, a quanto sento, è già un anno che siete qui a mie spese. Su via, spogliatevi de’ vostri abiti, ed uscite di questa casa se vi è cara la vita.» Mi si tolsero gli abiti e fui posto alla porta del tutto ignudo. Disperato d’aver in tal modo scialacquato il frutto delle fatiche di mio padre, errai per tre dì nella città di Bagdad, senza prendere cibo alcuno; il quarto m’imbarcai su d’una nave che faceva vela per Bassra. In questa città, incontrai un [p. 295 modifica] mercante di colori, antico amico di mio padre, il quale mi accolse colle dimostrazioni della più sincera amicizia, e narrata ch’io gli ebbi la mia avventura, lo consultai intorno al partito da prendere nella situazione in cui mi trovava. — Ciò che avete a fare di meglio è,» mi disse, «di prendere impiego nel mio magazzino; oltre alla mia tavola, vi darò due dramme al giorno.» Accettai, e passai così un anno presso quel mercante, ammassando in tutto tal tempo un centinaio di zecchini, co’ quali cominciai a fare alcune speculazioni.

«Un giorno, ch’era giunta da Bagdad una nave, mi recai a bordò con diversi mercanti. Vi si vendeano molte merci. Terminata la vendita, il negoziante cavò, una borsa piena di gemme, e disse:— Ecco cosa mi resta ancora da vendere, ma ne differiremo l’incanto a domani. Ne domanderò quattrocento zecchini.» Quell’uomo, che non mi aveva mai veduto, accortosi che, durante l’asta, io stava in silenzio, me ne domandò la cagione. — Come,» gli risposi, «potrei fare un’esibizione, se posseggo» cento soli zecchini, in tutto!» A tali parole mi si riempirono di lagrime gli occhi. Ebbene,» soggiunse egli, «vi darò questa borsa» per cento zecchini, benchè sappia che sarebbe portata a mille, ed anzi valga ancora di più.» Il che era vero. Ringraziai il mio benefattore, ed aprii al bazar una bottega di gioielliere.

«Sotto le gemme delle quali era piena la borsa, trovavasi un pezzo di conchiglia del quale io ignorava l’uso ed il pregio. Lo feci gridare all’incanto parecchie volte, ma non ne offersero che dieci a quindici dramme. Lo gettai dunque in un canto della bottega dove rimase. Un giorno entrò un forastiero. — Sia lodato Iddio!» sclamò egli, scorgendo quel pezzo di conchiglia; «trovo finalmente quello che cercava. Quanto ne volete?» Le parole dello straniero eccitarono [p. 296 modifica] la mia attenzione. Gli dissi di offerirmi quello che volesse. Mi propose dapprima venti zecchini; ma io non mi contentai della somma, talchè egli mi offrì in seguito cento, mille, diecimila, ventimila e trentamila zecchini. Nè io l’avrei ancora accordato per tal prezzo, se un gran numero di persone, affollate davanti alla bottega, non si fossero messe a sclamare che non mi permetterebbero di domandare di più d’un meschino pezzo di conchiglia. Lo vendetti adunque per trentamila zecchini, a condizione che il forastiero mi direbbe cosa intendesse di farne. Allorchè m’ebbe contato il denaro: — Povero sciocco!» disse; «se mi avessi domandato non solo centomila, ma un milione di zecchini, te li avrei dati senza difficoltà.» A quei detti, il sangue mi montò al volto, e sentii in me una rivoluzione improvvisa, che mi coprì di questa tinta giallastra che ho poi sempre conservata. Insistetti nondimeno perchè quell’uomo mi scoprisse il segreto, ed egli: — Sappi dunque,» mi disse, «che il re dell’Yemen ha una figliuola, la quale da lungo tempo prova dolori di testa incredibili, nè i più abili medici, i maghi più famosi erano riusciti a guarirla. Allora qualcuno consigliò al re di mandare un’ambasceria ad un savio Babilonese, versato in tutti i segreti della medicina; ed incaricatolo di tal missione, mi si diede in pari tempo un regalo d’onici e centomila zecchini in denaro. Mi recai pertanto a Babilonia, e presentatomi allo sceik Saadallah, ei prese una lamina di conchiglia per farne un amuleto. Spese lo sceik sette interi mesi a consultare gli astri ed a formare i caratteri misteriosi segnati sul talismano. Tornai alla corte del re ed appena ebbe la principessa toccato l’amuleto, ricuperò la salute; poi lo portava sempre indosso. Quanto a me, il re mi colmò di doni. Un giorno che la principessa trovavasi in battello, si lasciò cadere l’amuleto in [p. 297 modifica] mare, e nello stesso istante fu riassalita da’ suoi mali di capo con tal forza, che n’ebbe turbata la ragione. Somme immense mi diede il re affinchè mi portassi dallo sceik di Babilonia a fargli fare un altro talismano; ma lo trovai morto. Da quel tempo, dieci persone percorrono al par di me tutti i paesi della terra per trovare quella conchiglia che il caso fece cadere in tue mani. —

«Allorchè lo straniero ebbè terminato il racconto, si accommiatò e partì per tornare al re suo padrone. Dal mio canto, mi trasferii a Bagdad. Al mio arrivo, volai al palazzo di Taher, figliuolo d’Ola, per informarmi di sua figlia. - La gioia,» mi disse una schiava, «sembra aver abbandonata la nostra casa; dacchè Taher licenziò un giovane mercatante di Orhman, ch’era l’amante di sua figliuola, questa cade di giorno in giorno in un languore mortale. Il padre si è mille volte pentito d’avere scacciato quel giovane, e promise, a chi glielo ricondurrà, mille zecchini; ma sino al presente tutti gli sforzi fatti per averne nuove, tornarono inutili, e la figlia di Taher tocca all’estrema sua ora. — Ebbene,» le dissi, «io posso darvi notizie di quel mercatante di Omman. — Davvero?» sclamò la schiava; e sull’assicurazione ch’io le ne diedi di nuovo, la schiava partì colla velocità della gazella. Un istante dopo tornò collo sceik che le numerò i mille zecchini promessi. — Dove siete stato?» mi disse questi, abbracciandomi; «mia figlia è alle porte del sepolcro.» Poi salì dalla figliuola per annunziarle la felice notizia del mio ritorno. Non volle ella prestargli fede sinchè non fui entrato nella sua stanza: allora, slanciatasi dal letto, mi si precipitò tra le braccia e prese quindi, per la prima volta dopo tanto tempo, un po’ di cibo. Suo padre fece chiamare un cadì e testimoni per istendere il nostro contratto di matrimonio, e d’allora la figliuola [p. 298 modifica] di Taher è la mia sposa diletta, colei che udiste cantar arie melanconiche che tanto le piacciono, benchè passiamo giorni felicissimi nella nostra unione. — «Il califfo prese allora commiato dal giovane mercadante. — Giafar,» disse, quand’ebbero raggiunto il battello, e io non aveva mai veduto, nè udito nulla di più straordinario.» Aaron, di ritorno al palazzo, comanciò a Mesrur di fare tre balle delle merci più preziose di Bassra, di Bagdad e del Korassan e di far chiamare il giovane mercadante di Omman. Venne questi, tremante di avere, senza volerlo, commesso qualche errore di cui si volesse punirlo; ma il califfo comandò di togliere il velo che copriva tutte le ricchezze che gli destinava. — Tutto ciò ti appartiene,» gli disse; «te ne faccio dono per ricompensarti di ciò che perdesti nella vendita del pezzo di conchiglia.» Tal sorpresa produsse impressione sì viva sul giovane ed accadde in lui tal rivoluzione, che il sangue, la cui espansione gli aveva impresso quel colore giallognolo, ripreso il suo corso naturale, gli tornò la carnagione brillante di splendore e freschezza

«— Lode a Dio,» sclamò il califfo, «che fa così succedere gli avvenimenti come solo rimedio contro la noia!»

L’alba già tingeva de’ vividi suoi colori il fosco orizzonte, allorchè la sultana delle Indie finiva la graziosa novella; impetrata quindi licenza dal consorte per narrarne un’altra la notte seguente, così la cominciava, continuandola nelle consecutive:

  1. Indispensabile è quest’uso in un paese nel quale ciascuno mette le mani nel piatto ed è sconosciuto l’uso delle forchette.
  2. Città nella parte meridionale dell’Yemen o Arabia Felice.
  3. La sensualità degli Orientali pegli odori ed i profumi, è spinta ad un punto incredibile. Adoprano soprattutto il muschio e l’odore composto che esalano le pastiglie del serraglio; adornano inoltre le loro sale di piante cefaliche, come basilico, menta, ecc., e d’ogni sorta di piante odorifere. Ardono in braceretti legno d’aloè, bengioino ed altri aromati, spargono su di loro e sulle persone che tengono a visitarli acqua di rosa, facendola gocciare da una specie d’ampolla il cui turacciolo, d’argento o d’altra materia, è forato per modo che vi può passar l’acqua. Maometto ripeteva spesso che Dio aveva creato due cose per la felicità degli uomini: le donne ed i profumi.