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mercante di colori, antico amico di mio padre, il quale mi accolse colle dimostrazioni della più sincera amicizia, e narrata ch’io gli ebbi la mia avventura, lo consultai intorno al partito da prendere nella situazione in cui mi trovava. — Ciò che avete a fare di meglio è,» mi disse, «di prendere impiego nel mio magazzino; oltre alla mia tavola, vi darò due dramme al giorno.» Accettai, e passai così un anno presso quel mercante, ammassando in tutto tal tempo un centinaio di zecchini, co’ quali cominciai a fare alcune speculazioni.

«Un giorno, ch’era giunta da Bagdad una nave, mi recai a bordò con diversi mercanti. Vi si vendeano molte merci. Terminata la vendita, il negoziante cavò, una borsa piena di gemme, e disse:— Ecco cosa mi resta ancora da vendere, ma ne differiremo l’incanto a domani. Ne domanderò quattrocento zecchini.» Quell’uomo, che non mi aveva mai veduto, accortosi che, durante l’asta, io stava in silenzio, me ne domandò la cagione. — Come,» gli risposi, «potrei fare un’esibizione, se posseggo» cento soli zecchini, in tutto!» A tali parole mi si riempirono di lagrime gli occhi. Ebbene,» soggiunse egli, «vi darò questa borsa» per cento zecchini, benchè sappia che sarebbe portata a mille, ed anzi valga ancora di più.» Il che era vero. Ringraziai il mio benefattore, ed aprii al bazar una bottega di gioielliere.

«Sotto le gemme delle quali era piena la borsa, trovavasi un pezzo di conchiglia del quale io ignorava l’uso ed il pregio. Lo feci gridare all’incanto parecchie volte, ma non ne offersero che dieci a quindici dramme. Lo gettai dunque in un canto della bottega dove rimase. Un giorno entrò un forastiero. — Sia lodato Iddio!» sclamò egli, scorgendo quel pezzo di conchiglia; «trovo finalmente quello che cercava. Quanto ne volete?» Le parole dello straniero eccitarono