Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/220

68
Fór questi publicani di quel seme
d’uomini infami e d’altrui sangue grassi,
che de le terre in fronte o su l’estreme
ripe de’ fiumi e laghi stanno ai passi:
non va, non vien persona che le sceme
borse d’ingorde lupe non s’ingrassi,
e proprio è studio d’essi l’usurparsi
gli altrui danari, e quanto puon celarsi.
69
Con questi dunque il buon discepol, ch’era
di gabellier giá fatto evangelista,
orna un convivio al qual d’ogni manera
di gente vuol che seggia o buona o trista,
anzi piú de la trista, perché spera,
come prima del vivo Sol la vista
s’aggiri ad essi, converrá si sfaccia
l’antica notte che ’l bel giorno scaccia.
7 o
Fu de’ suoi voti contentato a pieno;
ch’ove quel viso fiammeggiante apparve,
raggiò tutto ’l convito, e ’n un baleno
da’ ciechi petti ogn’atra nebbia sparve.
Piglia cibo con essi, ma ciò meno
puoter soffrir le personate larve:
dico, gli farisei non portár questo,
si come oltraggio in legge manifesto.
71
Per non contaminarsi non entráro
a quella pura mensa ed onorata,
la qual, s’entrati fosser, d’un amaro
tosco d’invidia fora contristata;
sicché di fuora in su la via restáro
a sfogar l’odio lor fra la brigata,
spargendo mille ciance occultamente,
ch’ove non puon con mano, dan di dente.