Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. II, 1912 – BEIC 1821752.djvu/217

56
Tengon l’attossicate lingue a freno
e ricoperto l’odio quanto sanno:
noi celano, però, ché del veleno
le note su pel volto errando vanno.
Ma quel Conoscitor de l’uman seno
lor vede, che d’invidia pregni stanno
e che fra sé dicean : — Chi è costui,
perché rimetter vaglia i falli altrui? —
57
Rispose allora il Fiume di modestia:
— Che mormorate voi nei cuori vostri?
Perché li fatti miei tanto a molestia
vengono a voi, se ad uomo, che de’ nostri
volti tien la sembianza, e non di bestia,
son senza danno altrui palesi e mostri ?
e s’io gli tolgo l’uno e l’altro viccio,
con laude vostra, e non con pregiudiccio?
58
Qual cosa vi par facil piú di dire,
ovvero: — Ecco gli errori ti perdóno, —
ovvero: — Alzati su, che ne puoi gire
a voglia tua, ché sanitá ti dono? —
Lasciate ornai, vi prego, gli odii, le ire,
né abbiate a mal s’ inutil non vi sono,
e, quando questi miei ragionamenti
abbiate schivi, or state a l’opre intenti! —
59
A questo ciascun gli occhi e orecchie affisse
per bene accórre il quanto accadde poi.
Ei si rivolse a l’ammalato e disse:
che tolga il letto in collo e con gli suoi,
e non con gli altrui piedi, se ne gisse
ovunque piú agradasse; ma dapoi
tal grazia non peccasse, ch’altra a questa
colpa non è ch’a Dio sia piú molesta!