La tecnica della pittura/CAP. VII.
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CAPITOLO VII
I Colori degli antichi.
Ed il dubbio che gli antichi fossero in possesso di colori più solidi e più splendidi di quelli che i pittori dispongono attualmente, si venne cementando sempre più nella opinione comune che le scoperte degli archeologi e l'entusiasmo degli eruditi d'arte, magnificò dei più iperbolici epiteti le traccie colorate che sui ruderi degli antichi edifici sfuggirono all'azione del tempo.
Curiosità di scienziati e amore d'arte quindi sospinsero sovente ad investigare sulla essenza fisica e chimica dei colori antichi, tanto più che a dare apparenza di verità al dubbio d'un materiale differente da quello ora in uso, può prestarsi la nomenclatura degli antichi colori, complicata non di raro, nei codici e nelle stampe, da infedeltà di copisti o di traduttori affrettati.
Già nell'origine dei processi della pittura si è detto delle conclusioni alle quali pervenne il Mérimée, studiando diversi colori di pitture egiziane, che si rivelarono consimili pel materiale alle nostre, riscontrandovisi delle ocrie gialle e rosse, dello smalto azzurro, del verderame, del gesso e dei neri più comuni.
Due celebri chimici M. Chaptal e sir Humphry Davy sulle cui analisi si imperniarono tutte le ricerche posteriori riguardanti le pitture antiche di Roma e Pompei, dimostrarono in modo decisivo che sono ancora le sostanze coloranti minerali, vegetali ed animali più note che nelle Terme di Tito, come nelle case da Vetii, nelle rovine del monumento di Caio Cestio quanto nelle «Nozze Aldobrandine», costituiscono il nucleo principale dei colori antichi. È prezzo dell'opera riassumere queste due illuminate disamine, perchè insieme al saggio pratico già noto di Raffaello Mengs possono dare un'idea sufficiente delle difficoltà intrinseche d'un giudizio attendibile sui materiali tecnici della pittura, influenzati già dalle azioni del tempo e dal lavoro dell'artista.
I colori esaminati da M. Chaptal1 furono sette, trovati a Pompei nella bottega di un mercante di colori e indicati con numero progressivo per la sua relazione.
Il primo consisteva in un'argilla verdastra e saponacea allo stato naturale, simile alla terra di Verona.
Il secondo era un'ocria di un bel giallo che sottoposto alla calcinazione passava facilmente al rosso, per cui osserva giustamente M. Chaptal, che il calore delle ceneri cadute su Pompei dovevano avere un debole calore.
Il terzo colore giudica un rosso ordinario prodotto dalla calcinazione del giallo già descritto, ed il quarto un bianco leggero, fine e compatto coi caratteri di una pomice.
Gli altri tre colori, un bell'azzurro intenso, un azzurro pallido ed un rosa, richiesero un'accurata analisi per stabilirne la composizione.
L'azzurro intenso in piccoli pezzetti di eguale forma, ma di colore più pallido all'esterno che nell'interno, all'azione degli acidi idroclorico, nitrico e solforico produceva una leggera effervescenza, ravvivandosi ad una ebullizione prolungata, ciò che secondo M. Chaptal, esclude potersi trattare di oltremare che sarebbe rimasto distrutto da quegli acidi. L'ammoniaca pure si mostrò senza azione su di esso e, sottoposto al cannello ferruminatorio, anneriva trasformandosi in una fritta di colore bruno rossastro col prolungare l'azione della fiamma. Trattata colla potassa sopra il platino si vetrificò colorandosi in verde, passò al bruno e finì col prendere il colore metallico del rame. Questa fritta si scioglieva in parte nell'acqua. In questa soluzione versato acido idroclorico, si formò un precipitato che l'acido nitrico dissolse colorando il liquido in verde, finchè coll'ammoniaca si ridusse al colore azzurro.
M. Chaptal concluse doversi ritenere questo azzurro un composto di ossido di rame, di calce e di allumina somigliante alla cenere azzurra per i suoi principii, ma diverso per le proprietà chimiche: non un precipitato ma una vera fritta e probabilmente di origine egiziana.
L'azzurro chiaro, corrispondente al numero sei, era una sabbia mescolata di grani biancastri, costituiti dagli stessi principii del colore precedente, salvo un eccesso di calce ed allumina. L'ultimo colore, di una bella tinta rosa e dolce al tatto, che si riduceva in polvere impalbabile sotto le dita, esposto al calore, dopo anneritosi passava al bianco senza sviluppo d'odore ammoniacale: sciolto nell'acido idroclorico, con qualche effervescenza, era precipitato dall'ammoniaca in forma lanosa che la potassa scioglieva completamente. Rilevata l'assenza completa di metalli per mezzo dell'infuso di noce di galla e dell'idrosolfuro di ammoniaca, M. Chaptal riguardò questo colore come una vera lacca il cui principio colorante fosse fissato sull'allumina, ed analoga perfettamente alla comune lacca di robbia, ma la cui conservazione durante diciannove secoli deve però meravigliare i chimici. Sir Davy Humphry2 ebbe occasione di fare un viaggio in Italia nel 1815, allo scopo di conoscere la natura e composizione chimica dei colori adoperati dagli antichi. Favorito dalla gentilezza di Canova, suo amico e allora incaricato dei lavori relativi alle arti antiche à Roma, e dal Nelli, proprietario del celebre dipinto « Le Nozze Aldobrandin », passato poi ai Musei Vaticani, potè eseguire tutte quelle esperienze che potevano permettersi sopra avanzi tanto preziosi e porsi in condizione di poter dare schiarimenti, che egli giustamente presume, sarebbero stati di grande interesse per gli scienziati e gli artisti. Ed importantissimo è il notare che in tutte le sue numerose esperienze sir Davy non trovò mai traccia nelle pitture murali di sostanze organiche tranne che nei neri. Nei bianchi, sia delle pitture murali che in quelli trovati nelle terme di Tito, in un vaso mescolati ad altri colori, non trovò traccia di biacca. Ritiene in genere trattarsi di carbonato di calce, e nel vaso riscontrò una creta ed un'argilla d'allumina finissima.
L'intensità degli azzurri dei colori antichi è varia secondo sir Davy, per la quantità maggiore o minore che contengono di carbonato di calce, però la base azzurra analizzata con processi analoghi a quelli di M. Chaptal, si mostrò costantemente dovuta a quel prodotto egiziano detto fritta di Alessandria, già descritto da Teofrasto, come scoperto da un re d'Egitto ed esclusivamente fabbricato in Alessandria.
In una stanza dei bagni di Tito rinvenne sir Davy un gran vaso di terra con grande quantità di colori gialli, riconoscendo in alcuni dell'ocria mista di creta ed ocria mista di minio. E ricordando due altri gialli descritti da Plinio che potrebbero corrispondere all'orpimento ed alla sandracca pallida, è del parere che si debbano ritenere come prodotti di calcinazione dell'ossido di piombo, ma dell'orpimento non trovò mai traccia, mentre d'un giallo d'ossido di piombo rinvenne traccia sopra un pezzo di stucco. Sulla muraglia d'una casa di Pompei e nelle « Nozze Aldobrandine » i gialli gli parvero ocrie gialle e rosse.
In diversi luoghi riscontrò dei bruni che ritenne ocrie calcinate; e dei neri, perchè non subivano alcuna azione dagli acidi e dagli alcali, e col nitro facevano deflagrazione, stimò che si mostravano con tutte le proprietà di una materia carbonifera pura. Nel vaso dei colori mescolati rintracciò un nero contenente ossido di ferro e dell'ossido di manganese. È evidente, secondo sir Davy, che gli antichi conobbero la miniera di manganese in seguito all'uso che essi facevano di colorire il vetro, ed egli esaminò a tal uopo dei vetri romani accertando che erano coloriti coll'ossido di manganese. Osserva inoltre che Plinio discorre di diverse ocrie brune e sopratutto di una proveniente dall'Africa, contenenti probabilmente del manganese; e Teofrasto fa menzione di un fossile che si infiammava versandovi sopra dell'olio, proprietà che sir Davy dice non appartenere ad alcuna altra sostanza fossile conosciuta all'infuori di una miniera di manganese della contea di Derby.
Nei bruni dei Bagni di Livia e delle Nozze Aldo- brandine, trattandoli coll'acido idroclorico ricavò dell'ossido di ferro, ma le tinte nere resistettero a quest'acido e alle soluzioni alcaline.
Fra rossi rintracciò il minio e gli ossidi di ferro o terre rosse comuni e nelle pitture, che egli dice a fresco dei bagni di Tito, i rossi dominanti ritiene ossidi di ferro, e minio quello impiegato negli ornamenti di contorno. Nei bagni di Tito trovò sir Davy un vaso di terra rossa contenente un colore rosa pallido, ma che nell'interno aveva tutta l'intensità del carminio. Anche l'analisi minutissima che egli fece di questo colore corrisponde a quello consimile di M. Chaptal su di un rosa analogo, soltanto che sir Davy presume di essersi trovato in presenza di un prodotto molto analogo alla porpora di Tiro o la porpora marina, ma in ogni modo di questo colore non trovò indizio veruno sulle pitture murali esaminate.
I colori verdi, coi quali si chiude la relazione di sir Davy Humphry, rivelarono la derivazione dal rame in forma di ossidi o di carbonati; pure ammettendo che molti dei verdi antichi che sono adesso dei carbonati, fossero originariamente adoperati allo stato di acetati.
Trovò pure nel vaso dei colori mescolati tre differenti varietà di verdi, l'una con tendenza al verde oliva che era terra di Verona, l'altra un verde pallido dovuto a carbonato di rame unito a creta, ed il terzo simile al verde rame, combinazione di rame con la fritta azzurra d'Alessandria. Portato dall'argomento a discorrere della crisocolla, da Vitruvio detta una sostanza eruttiva che si trova nelle miniere di rame, e della crisocolla artificiale di Plinio, che si trova nelle vicinanze delle vene metalliche, ritiene l'una un carbonato di rame e l'altra un'argilla imbevuta di solfato dello stesso metallo, e che il nome di crisocolla derivi dalla polvere verde di cui si servivano gli orefici antichi, che fra i suoi componenti aveva il carbonato di rame.
I verdi delle « Nozze Aldobrandine» sono tutti di rame, per ciò, concludendo sir Davy Humphry, ritiene che gli antichi avessero il vantaggio di due colori, l'azzurro egiziano e la porpora di Tiro sconosciuti ai moderni.
Senza entrare nel merito di questo supposto vantaggio degli antichi non essendo le vetrificazioni colorate adatte a produrre colori intensi per la pittura, nè la porpora di Tiro avendo rinomanza che per la sua applicazione ai tessuti che erano privilegio, presso i Greci ed i Romani, di una ristrettissima classe di persone, ma perchè Plinio assicura che si dava per suo mezzo l'ultimo grado di bellezza alla Sandice, la quale era una composizione fatta dalla calcinazione dell'ocria e della sandracca, e, secondo lo stesso sir Davy, molto simile al nostro cremisi, non torna fuori di proposito un cenno su questo famosissimo colore dell'antichità.
La porpora dei Greci, quanto quella dei Romani, si ritraeva da una conchiglia univalve, della quale vi erano due specie che si raccoglievano lungo le rive del Mediterraneo. Vitruvio afferma che il colore differiva secondo il paese di derivazione della conchiglia e che il suo colore era più violaceo nei paesi nordici e più rosso in quelli meridionali. Soggiunge pure che si preparava il colore battendo le conchiglie con istrumenti di ferro e che si mescolava con un po' di miele.
Tale conchiglia sembra scomparsa. Però nel 1683 si trovarono sulle coste del Sommersetshire e di Galles una quantità di buccini che da un'apertura fatta loro in una piccola vena in cima alla testa, lasciavano sortire un liquido vischioso e biancastro, che esposto all'aria gradatamente si cambiava in un bellissimo e durevole colore di porpora; e si racconta3 pure che M. de Jussieu e M. de Réaumur sulle coste occidentali della Francia, trovassero dei buccini simili, ed anzi M. de Réaumur scoprisse sulle coste del Poitou la sola specie di muricce che adesso si conosca e che possiede in grado più o meno eminente un liquido colorantesi in porpora.
Artificialmente la chimica colla murexide, che l'inventore Prout aveva dapprima denominata porporato d'ammoniaca, offre un prodotto che sciolto nell'acqua a 70° dà uno splendido colore porpureo, ma tutto ciò è ben lontano dalla porpora di Tiro che rimane per noi un colore puramente storico.
Non è certamente troppo azzardato credere che la fabbricazione dei colori non avanzasse molto nel periodo di tempo trascorso fra la catastrofe che seppellì Pompei, Ercolano e Stabbia e la caduta dell'Impero Romano. Roma, che tanto sviluppo diede all'architettura, non seppe elevarsi dalla imitazione formale della pittura greca e piuttosto che degli artisti ebbe dei dilettanti, deboli garanzie, per quei tempi, d'un serio incremento alla pittura ed alle industrie affini dell'arte di dipingere.
Nè da Bisanzio, di dove più che debole, sfinita la pittura riprese il cammino verso l'Italia, apparve tale coi predecessori di Cimabue e Giotto da richiamarsi una particolare attenzione per lo splendore dei colori. Industria secondaria degli speziali o passatempo di quei frati che nei conventi dei bassi tempi, esercitavano la farmacia e la medicina, i colori richiedevano ancora pazienti cure dai pittori per essere ridotti all'uso dell'arte, onde cade in special modo per le pitture del rinascimento che offrono tanta copia di vivaci e resistenti colori, il supposto di un privilegio negato alla modernità che si avvantaggia per converso di tanti mezzi e di tante cognizioni scientifiche per la preparazione di bellissimi e mai più veduti colori.
La prova più persuadente della qualità dei colori adoperati nelle scuole italiane è contenuta nelle descrizioni registrate dal Cennini, dal Lomazzo, dal Borghini e dal Baldinucci che salvo qualche differenza di nome si aggirano sempre sugli stessi prodotti o naturali od artificiali, tuttora apprestati dall'industria, come si può accertare dallo specchio seguente.
Colori descritti dal Cennini:
- Bianchi — Bianco sangiovanni (comune bianco di calce per l'affresco), biacca.
- Gialli — Ocria, giallorino, orpimento, risalgallo (specie d'orpimento), zafferano, arzica (massicotto).
- Rossi — Sinopia, cinabrese (miscuglio di due parti di sinopia e una di bianco sangiovanni), cinabro, minio, ametista (quarzo violetto), sangue di drago, lacca.
- Verdi — Verdeterra, verde azzurro (minerale proveniente dalla Spagna), verderame.
- Azzurri — Azzurro della Magna, indaco, azzurro oltremarino.
- Neri — Pietra nera, nero di sarmenti di vite, nero di noci, di oli di pesche o mandorle, nero fumo.
Colori citati dal Lomazzo :
- Bianchi - Gesso, biacca, bianchi di gusci d'uovo, marmo trito.
- Gialli Giallorino di fornace di Fiandra e di Allemagna, ocria, orpimento, zafferano, ocria bruciata.
- Rossi — Terra rossa detta maiolica, cinabro di miniera ed artificiale, balarminio, lacca rossa, minio.
- Azzurri - Oltremarino, l'ongaro, smalto di Fiandra, cilestro.
- Verdi — Verderame, verdetto, terra verde, verde di barildo.
- Violacei — Morello di ferro, indaco oscuro.
- Bruni — Terra verde arsa, terra d'ombra detta falzalo, ocria bruciata.
- Neri — Avorio arso, fumo di ragia, terra nera, terra di campana, fuliggine, spalto, mummia.
Colori enumerati dal Borghini:
- Bianchi — Bianco sangiovanni, biacca, bianco di gusci d'uovo.
- Gialli — Ocria, giallo santo, orpimento, giallorino, fine giallorino di Venezia, arzica, zafferano.
- Rossi — Rosso di terra, cinabrese chiaro, minio, cinabrio, lacca fine, lacca di verzino, lapis matita, sangue di drago porporino.
- Verdi — Verde terra, verdetto, verde azzurro, verderame, verde giallo.
- Azzurri — Oltremarino, azzurro di smalto, azzurro di biadetti, azzurro della Magna.
- Neri — Nero di terra, hero di terra di campane, nero di spalto, nero di schiuma di ferro, nero fumo, nero di sarmenti di vite, nero di carta arsa.
Colori descritti nel Dizionario dal Baldinucci, colla succinta spiegazione che ne è fatta nel dizionario stesso:
- Azzurro d'Alemagna.
- Azzurro di biadetti.- Si fa delle lavature di miniera di Spagna.
- Azzurro di smalto (fatto con vetro).
- Azzurro di vena naturale.
- Azzurro oltremarino.- Si fa di pietra detta Lapis lassuli.
- Biacca.
- Bianco di guscio (gusci d'uovo macinati).
- Bianco sangiovanni (bianco di calce).
- Bolarmenico (o sinopia).
- Bruno d'Inghilterra (color rosso per fresco).
- Cenere d'azzurro (un azzurro di lapislazzulo di cattivo colore).
- Cenere di biadetto.
- Cinabrese (un colore rosso chiaro per fresco. Serve nelle carni, composto di sinopia e bianco sangiovanni).
- Cinabro (zolfo e ariento vivo).
- Croceo add. (colore zafferano o tra il giallo e il rosso).
- Giallo detto arzica (color giallo per miniatori).
- Giallo detto orpimento (giallo di miniera di zolfo, giallo d'oro).
- Giallo d'orpimento arso (giallo acceso pendente in rosso).
- Giallo di Spincervino (si cava dalle coccole dello Spincervino, usasi in carta).
- Giallo di terra (detto ocria).
- Giallo di terra abbruciata (tende al color giuggiolino e serve ai pittori per ombrare i gialli chiari).
- Giallo di vetro (sorta di giallo fatto a fuoco, per fresco).
- Giallo di zafferano.
- Giallorino (sorta di giallo portato dalla Fiandra).
- Giallo santo (fatto d'una certa erba).
- Lacca fine (rosso scuro che si ricava dai panni chermisi).
- Lacca ordinaria (si cava da brucioli del verzino nel modo che si fa la lacca fina).
- Lacca muffa (ha un color paonazzo. Tornasole).
- Cinabro minerale (matita amatita, lapis, macinata a stento per la sua durezza, fa un bellissimo rosso simile alla ::lacca, buono per fresco).
- Minio (biacca calcinata. - Teofrasto afferma fosse trovato nell'anno ag dopo l'edificazione di Roma).
- Nero d'avorio (avorio arso. Fu messo in uso da Apelle, secondo Plinio).
- Nero di fumo (fumo dell'olio di linserne).
- Nero di nocciuole di pesche.
- Nero d'ossa (ossa di vitello).
- Nero di schiuma di ferro (miscuglio di terra verde e nero di schiuma di ferro, per affresco).
- Nero di spalto o bitume giudaico.
- Nero di terra.
- Nero di terra di campana (certa scorza della forma con cui si gittano le campane, serve per olio e a fresco; per a fresco svanisce).
- Neri diversi (di sermenti di vite, di quercia, di carta abbruciata).
- Paonazzo di sale (sorta di colore paonazzo che serve a fresco e a tempera).
- Rosso di terra (color rosso naturale).
- Sangue di dragone (un color rosso, serve per miniature).
- Terra d'ombra.
- Verdaccio (una certa sorta di verde terra della quale si servirono i pittori nei tempi di Cimabue e di Giotto per compire le loro pitture a fresco, passandovi poi sopra con poco colore, quasi velandole e così davano loro compimento; l'adoperano oggi i pittori per dipingere chiari scuri).
- Verde azzurro (un colore minerale che ci portano dalla Spagna e che serve per fresco e per tempera).
- Verde d'azzurrino d'Alemagna e giallorino (L'uno e l'altro colore mescolato insieme serve per dipingere in muro e in tavole, temperato con rosso d'uovo esso verde d'azzurro oltremarino e orpimento, è buonissimo per a tempera).
- Verde di terra (Colore naturale e grasso che agli antichi serviva per mettere d'oro in cambio del bollo, e serve a dipingere a olio, a fresco e a tempera).
- Verde d'orpimento e d'indaco (Una sorta di color verde fatto d'orpimento mescolato con indaco. Questo verde d'orpimento e indaco serve per tinger carte e legnami).
- Verde eterno (Una sorta di color verde assai vivo, detto eterno perchè non perde mai la sua vivezza, come fanno tutti gli altri verdi. Questo non è altro che una velatura fatta a fondo inargentato d'argento in foglia d'un verderame ben purgato e ridotto a guisa d'un acquerello).
- Verderame (colore assai comune che si fa nelle vinaccie con piastre di rame poste in aceto, serve a tempera e ad olio).