La tecnica della pittura/CAP. V.

CAP. V. La tempera

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CAPITOLO V




La tempera.


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OPO l'adozione generale del metodo di dipingere ad olio, la parola tempera — oltre designare qualsiasi liquido atto a mescolarsi ai colori, accomuna tutti quei processi di pittura pressochè riservati alla decorazione teatrale, di appartamenti o d'altre opere di sollecita esecuzione, nelle quali, indifferentemente, le gomme, il latte, la colla di pelle, sono gli ingredienti per rendere appiccicante il colore.

Nè per altri dati più precisi si definiscono come tempere la maggior parte delle pitture pervenute dalla più alta antichità, che per sapersi da Plinio e Vitruvio l'uso delle gomme, della colla animale, del latte, ed anche del rosso d'uovo e del lattificio di fico, nella pittura, sostanze troppo comuni per dubitare che non si potessero adoperare per lo stesso scopo anche prima che i Greci ed i Romani.

Nel rinascimento però tempera fu il nome privilegiato del sistema italiano di mescolare i colori col torlo d'uovo per la pittura in tavola ed in muro o su tela, sempre per l'arte migliore. [p. 120 modifica]

Il Cennini, con ordinata esposizione, senza dimenticare il menomo particolare, salvo che per la vernice finale, insegna come si conducessero quei dipinti che, anche dal lato della pura esecuzione materiale, rimarranno fra le manifestazioni più sorprendenti dell'arte, finchè la cognizione dei processi tecnici sarà illuminata abbastanza per misurare a costo di quale resistenza del materiale impiegato e di quale tirocinio per dominarlo si debbano i capolavori della tempera.

I preliminari di questo processo erano faticosi sino dalla preparazione delle tavole, ridotte alla bianchezza e levigatezza dell'avorio. Disegnata ogni parte della composizione con carbone di salice, adombrando pieghe e visi come se il disegno si dovesse condurre a termine col solo carbone, si spolverava leggermente la tavola con barbe di penne e tutto il disegno si ripassava con un sottile pennello intinto d'inchiostro sciolto nell'acqua, fermando e perfezionando sempre i contorni. Poi si finiva con una leggera ombreggiatura, fatta con acquerelle dello stesso inchiostro; onde ben a ragione poteva dire il Cennini, che così facendo « ti rimarrà un disegno vago, che farai innamorare ogni uomo dei fatti tuoi ».

Il disegno ultimato e dorate quelle parti che si era destinato di mettere ad oro, si veniva al colorire la tavola, seguendo le norme già descritte minuziosamente dallo stesso Cennini a proposito del dipingere in affresco, solo differenziando in tre cose, che il Cennini sembra fissare come i canoni della pittura a tempera: « L'una, che ti conviene sempre lavorare vestiri e casamenti prima che visi. La seconda cosa si è che ti conviene temperare i tuoi colori sempre con rossume d'uovo e ben temperati; sempre tanto rossume quanto il colore che temperi. La terza si è che i colori vogliono essere più fini, e bene triati sì come acqua ». [p. 121 modifica]

La proporzione indicata dal Cennini, tanto tuorlo d'uovo quanto colore, rendeva impossibile lo sfumare le tinte impastandole col pennello, e tanto più nelle parti difficili da modellare, onde forzatamente dovevasi tratteggiare, sebbene non manchino esempi di opere tanto morbide e di un'unione di tinte così perfetta da equivalere i migliori impasti del processo ad olio, come mostrano Gentile da Fabbriano e Sandro Botticelli.

Il Vasari riteneva che in tempera non si potesse dipingere altrimenti che a furia di tratti, e consigliava di bagnare di dietro le tele per potere sfumare ad agio, rallentandosi in tal modo l'essiccamento dei colori. Ma, come osserva sir Eastlake, tale ripiego non sarebbe applicabile sui muri e sulle tavole; senza dire che il consiglio veniva troppo tardi, essendo la tempera completamente abbandonata all'epoca del Vasari.

Il Cennini non fa allusione alcuna a questa difficoltà della tempera, forse perchè l'universale uso del tratteggio e la lunga pratica portando l'abilità dell'artista ad una rapidità di esecuzione che non ci è più dato di concepire esattamente, riduceva una questione secondaria pei pittori d'allora il subito asciugarsi dei colori preparati col torlo d'uovo. L'uso sulle tempere di certi colori macinati ad olio, che allora si faceva seccativo cuocendolo al fuoco od al sole in modo da formare coi colori un composto estremamente ribelle al maneggio del pennello, doveva, per relazione, far sembrare scorrevole la tempera all'uovo, tanto più che anche il grande uso di fondi dorati, di aureole, di ornamenti e stucchi, tutti composti di ingredienti viscidi ed appiccicaticci in modo straordinario non poteva a meno di influire sull'abitudine alla resistenza per un lavoro che oggi potrebbe essere giudicato intollerabile.

Oltre il torlo dell' uovo si aggiungeva ai colori il latti[p. 122 modifica]ficio di fico, liquido pure appiccicante ma meno denso, e tale aggiunta indicata pei colori anche nel codice di Lucca del Muratori rivela uno di quei sussidi di scorrevolezza che il malagevole maneggio di un colore troppo denso doveva spesso richiedere. Però il Cennini non fa parola d'altro ingrediente per la tempera in tavola, fuori del rossume di uovo nella proporzione che indica una volta per tutte, e ben doveva essere mantenuta densa la sostanza glutinosa della tempera perchè potesse ricevere la vernice finale senza quelle alterazioni e sconvolgimenti di toni che una vernice arreca sulle ordinarie tempere senza che sia più possibile portarvi rimedio.

La gran forza di colorito delle tempere dei quattrocentisti era alcune volte sostenuta dal concorso dell'olio, mesticandosi con questo alcune tinte, come un velluto nero descritto dal Cennini: ma questa associazione non sarebbe stata possibile se la tempera non fosse stata molto simile al dipinto ad olio. La qual cosa conferma un punto caratteristico di quell'antico processo che si vorrebbe far rivivere senza sopportarne gli inconvenienti; ed è la grande vischiosità del conglutinante della tempera per cui il colore essiccava rapidamente, ma con tutti i caratteri esterni del colore ad olio non prosciugato; vale a dire senza scomparsa del conglutinante, che essendo in eccesso, manteneva al colore quella intensità e lucidezza che ha pure nella pittura ad olio, sicchè verniciandosi in ultimo la tempera non si doveva alterare niente di più di quello che si alterino adesso i dipinti ad olio quando si yerniciano.

Nelle tempere odierne invece, o perchè non si afferri l'intrinseco dell'antico procedimento, o perchè non si voglia sottostare al martirio di un pennello invischiato in tal modo, si fanno liquide le tinte, impoverendo il colore di conglutinante e saturandolo al contrario d'acqua. Ma questa eva[p. 123 modifica]pora lasciando il colore pallido e poroso, difficilissimo da riprendere a secco e soggetto, se si verniciasse, a tutta quella alterazione che si vede mescolando i colori secchi e polverosi con un liquido.

Nè gli antichi pittori italiani mai rinunziarono a questa estrema densità del colore cagionata dalla presenza del torlo d'uovo nella misura necessaria perchè la tempera potesse essere verniciata senza alterazione dei toni: cosa che si accerta osservando come tutte le antiche tempere dalle bizantine all ultime toscane, presentino inalterati i caratteri tipici del meccanismo del pennello a tratti. I quali, ben dice il Baldinucci, non si praticano nella tempera, come nell'affresco, per ostentazione ma per necessità, quantunque, a detta del Vasari, non fossero pochi i tentativi che si facevano dagli artefici dell'epoca, sino, come il Baldovinetti, a rimetterci i suoi dipinti, pure di togliersi quel tedio del tratteggio e dell'altre mende della tempera, che secondo il grande storico dell'arte, condussero alla scoperta del processo ad olio.

Si noti ancora che l'abbozzo, per quanto ne descrive il Cennini, facevasi sempre direttamente sulla imprimitura delle tavole, il cui strato grossissimo di gèsso ottenuto per otto mani consecutive, doveva riescire oltre modo assorbente per i colori temperati nella proporzione di « tanto rossume quanto colore, talchè non appena appoggiato il pennello intinto di tali mestiche sulla imprimitura, questa doveva privarlo del suo liquido ed impedirne il cammino.

Ma queste che sono parte delle considerazioni per cui si abbandonò totalmente il processo propriamente detto a tempera, non dovettero toccare molto artisti, come il Cennini, abituati a « triare de' colori; e imparare a cocere delle colle e triare de' gessi, e pigliare la pratica nell'ingessare le ancone, e rilevarle e raderle; metter d'oro; granare bene, [p. 124 modifica]per tempo di sei anni. E poi in praticare a colorire, ad ornare di mordenti, far drappi d'oro, usare di lavorare di muro per altri sei anni sempre disegnando, non abbandonando mai nè in dì di festa nè in dì di lavorare ».

Oltre che sulle tavole, colla tempera ad uovo si dipingeva sul muro, preparandolo con una leggera spalmatura di torlo d'uovo colla sua chiara, diluito in due scodelle d'acqua e temperando pure i colori con tutto l'uovo e qualche tagliatura di cima di fico. Tempera assai insidiosa per la presenza dell'albumina, che si scaglia facilmente e non sopporta sovrapposizioni; per cui avverte il Cennini di non metterne nei colori nè troppa nè poca, ma « come sarebbe un vino mezzo innacquato. Se dessi troppa tempera abbi che di subito scoppierà il colore e creperà dal muro. Sia savio, e pratico ».

Nelle tele, che si preferivano dai Veneti ma si usavano pure in altre scuole (il Vasari ne cita una di Margaritone d'Arezzo), l'imprimitura facevasi con lo stesso gesso delle tavole, tenuto più rado e sottile perchè non si scrostasse, procedendosi pei colori nello stesso modo che sulle tavole. Istruendo sul modo di verniciare le tavole, il Cennini trascurò di fare parola della composizione di quella vernice liquida che allora si procurava belle fatta dallo speziale, fornitore comune dei colori artificiali.

Sir L. Eastlake, partendo da un diligentissimo esame di vecchie formule di vernici, crede doversi ritenere dimostrato che si trattasse di vernice oleosa di sandracca, cioè olio di linseme cotto e resina sandracca. Ma le obbiezioni che si potrebbero fare e che furono fatte sono molte, non potendosi risolvere definitivamente le questioni tecniche che sulla base dell'esperimento.

Il problema d'altronde ha perduto ogni interesse, dacchè quasi tutte le tempere antiche, perduta l'originaria vernice [p. 125 modifica]e inariditosi il primitivo conglutinante dei colori, si inverniciarono a molte riprese, trasformandole in veri dipinti ad olio, poichè se la tempera al torlo d'uovo poteva avere comune colle pitture ad olio la vernice finale, però l'effetto dei rispettivi colori non poteva patire simile confusione.

Nell'antica tempera il colore essiccato rimaneva lucido ed affatto impermeabile e tutti i colori partecipavano di quella chiarezza o senso biancastro, che è caratteristico della tempera, il cui glutine essendo mezzo attivo di propagazione della luce, alla sola superfice del colore, lascia diffondere maggiore quantità di luce bianca che non avvenga col veicolo oleoso. E tale chiarezza non si modificava colla sovrapposizione della vernice, essendo i colori, temperati col rosso d'uovo, impermeabili. Ma in ben altro. modo vengono a comportarsi i colori una volta perduta la vernice di protezione e diventati aridi per la successiva perdita del glutine o tempera, che ne chiudeva i più impercettibili meati. Resi porosi i colori da tale aridità, ogni vernice che li tocchi verrà assorbita e penetrerà fra le molecole del colore portandovi la sua proprietà di mezzo ritardatore della velocità della luce, vale a dire aumentando l'intensità di certi toni sino a farli parere neri ed oscurando tutto il dipinto, come in fatto avvenne per tutte le tempere antiche riverniciate in simili condizioni, con perdita irremissibile del loro primo aspetto.

Alla tempera all'uovo, sul finire del secolo XV, si sostituì il processo di dipingere ad olio, ma ciò non poteva accadere allo stesso tempo dappertutto, nemmeno è probabile che usandosi già promiscuamente il colore ad olio con quello a tempera, si abbandonasse d'un tratto così favorevole, sebbene faticosa, preparazione al dipinto. Nella scuola veneta l'uso dell'abbozzo a tempera si protrasse sino a Paolo Veronese ed al Tintoretto, senza però avere più nulla di [p. 126 modifica]comune, nè pel glutine nè per l'esecuzione, coll'antico metodo.

Scomparsa la tempera all'uovo, torna inutile investigarne ulteriormente le proprietà di durata, tanto più quando è saputo che nei nuovi tentativi di ritornarla in uso si ragiona sempre di torlo d'uovo, ma in pratica si lavora... coll'acqua.

Per la tempera che ora si prepara per lo più con colla di pelle, notato che in proporzioni eccessive si scaglia, ed in quantità troppo tenue lascia crollare il colore, non si potrebbe che ripetere quanto si è detto per la pittura ad olio, tanto rispetto all'aderenza sull'imprimitura che alle cause delle screpolature, delle disquamazioni. Anche per questa tempera sul muro o sulla tela l'imprimitura migliore è il gesso con colla o la semplice colla allungata d'acqua.

Il grande divario che presentano i colori bagnati da quando sono asciutti, rende difficilissima la ripresa del lavoro, specialmente su figure da vedersi davvicino. A facilitare gl'impasti, dipingendo sulla tela si può bagnarla di dietro, ma sul muro a meno di agire con un polverizzatore ed anche con tale uso la difficoltà rimane sempre rilevante, nè può essere vinta che da una pratica grandissima.

Il vantaggio di questa tempera sta nella rapidità che presta all'esecuzione e il rimpasto che si può fare lavando colla spugna bagnata dove si vuol cambiare e ridipingere senza lasciare traccia di rappezzo. Però la tempera, bagnata per un insistente lavoro, presenta l'inconveniente di sciogliere anche l'imprimitura, se fatta a gesso, facilitandone l'asportazione del colore stesso sotto la pressione del pennello anzichè la sovrapposizione di nuovo strato: con effetto spiacevolissimo in opere che si possono facilmente osservare davvicino. Bisogna evitare questo sconcio, cui si rimedia a stento e solo con penoso ritocco a secco, difficile da nascondere e che immeschinisce l'esecuzione. [p. 127 modifica]

Adoperata quasi esclusivamente nella decorazione dopo l'abbandono dell'antico conglutinante di torlo d'uovo, la tempera ricompare oggidì con frequenza come mezzo d'esecuzione per veri quadri, grazie l'enunciata rapidità del lavoro, il bell'opaco che presenta e quella chiarezza complessiva di tono che per molti tiene luogo di luminosità.

Nella difficoltà somma di armonizzare tutta l'opera, l'istinto di ricorrere al pastello per non arrischiare lumi od altri colori, che bagnati sembrano rispondere allo scopo, ma poi facilmente risultano falsi nell'asciugare, è talvolta irresistibile, essendovi grande analogia nell'aspetto del pastello con quello della tempera asciutta. Ma bisogna fissare questi tocchi che possono facilmente crollare dal dipinto o essere spazzati via, e ciò si deve fare con molto giudizio, non potendosi prevedere col tempo che effetto produrrà il fissativo su tutto lo spazio che invaderà oltre i tocchi a pastello, sapendosi che tutti i fissativi a base di gomma lacca, diventano gialli coll'invecchiare.

La tempera richiede un vetro che la protegga, tenuto distante dal dipinto perchè l'aria non si immobilizzi e origini muffe perniciose sui colori, nè il vetro si dovrà collocare davanti al dipinto se prima la tela ed i colori non siano perfettamente asciutti.