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la tempera 123

pora lasciando il colore pallido e poroso, difficilissimo da riprendere a secco e soggetto, se si verniciasse, a tutta quella alterazione che si vede mescolando i colori secchi e polverosi con un liquido.

Nè gli antichi pittori italiani mai rinunziarono a questa estrema densità del colore cagionata dalla presenza del torlo d'uovo nella misura necessaria perchè la tempera potesse essere verniciata senza alterazione dei toni: cosa che si accerta osservando come tutte le antiche tempere dalle bizantine all ultime toscane, presentino inalterati i caratteri tipici del meccanismo del pennello a tratti. I quali, ben dice il Baldinucci, non si praticano nella tempera, come nell'affresco, per ostentazione ma per necessità, quantunque, a detta del Vasari, non fossero pochi i tentativi che si facevano dagli artefici dell'epoca, sino, come il Baldovinetti, a rimetterci i suoi dipinti, pure di togliersi quel tedio del tratteggio e dell'altre mende della tempera, che secondo il grande storico dell'arte, condussero alla scoperta del processo ad olio.

Si noti ancora che l'abbozzo, per quanto ne descrive il Cennini, facevasi sempre direttamente sulla imprimitura delle tavole, il cui strato grossissimo di gèsso ottenuto per otto mani consecutive, doveva riescire oltre modo assorbente per i colori temperati nella proporzione di « tanto rossume quanto colore, talchè non appena appoggiato il pennello intinto di tali mestiche sulla imprimitura, questa doveva privarlo del suo liquido ed impedirne il cammino.

Ma queste che sono parte delle considerazioni per cui si abbandonò totalmente il processo propriamente detto a tempera, non dovettero toccare molto artisti, come il Cennini, abituati a « triare de' colori; e imparare a cocere delle colle e triare de' gessi, e pigliare la pratica nell'ingessare le ancone, e rilevarle e raderle; metter d'oro; granare bene,