La stazione estiva di Montepiano/XV
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§ 15. — La Badia
Ai Romani ed ai barbari non potè essere sconosciuto il colle di Montepiano, uno dei più depressi dei nostri Appennini. Nella storia, però, il nome di questi luoghi non risale che alla vita leggendaria di B. Pietro e ai portenti che si narran di lui. Egli dovette essere di vita tanto retta ed integra da parer miracolo alle genti, ed i contemporanei ed i posteri, non opponendosi l’autorità della Chiesa, l’hanno levato all’onor degli altari, cingendo la fronte dell’uomo umilissimo d’un’aureola di gloria.
Alcuni vogliano che B. Pietro, essendo scritto nel fronte dell’altar maggiore «Beato Pietro fondatori» fosse abate di detto Monastero, ma è probabile, secondo la tradizione, che egli fosse eremita e di nobil famiglia, ritiratosi dal mondo a piangere ed espiare le colpe proprie, o le altrui, in quei tempi nei quali tutto era estremo: eroismo e viltà immensa, santità fino all’esaltazione, vizi svergognatamente ostentati.
Non era giunto ancora il tempo cui assistiamo noi:
«Ma noi vediam, quel che tu non vedesti, |
Vizii larvati e larvate virtù!
Ipocrisia suprema!
Il più antico monumento che parli di Montepiano è la vecchia Abbazia, la cui storia si confonde con quella di B. Pietro. Alcuni però vogliono che prima vi esistesse una chiesetta dedicata a S. Lucia, che in seguito alla costruzione della nuova chiesa fu adibita ad altri usi, e in tempo non remoto da Don Ireneo Fedeli2 nuovamente convertita in cappella. In quei giorni medioevali Montepiano non aveva cura d’anime: pochi pastori vi abitavano ed i monaci adempivano ai servizi religiosi. La parocchia era a Costoze, sulla sinistra del Bisenzio, di fronte a Mercatale, ma in luogo aperto, ben coltivato d’onde si gode la vista d’un ampio panorama della valle bisentina e dove anche adesso vedesi un oratorio, la primitiva parrocchia, che mostra le tracce della vetustà e un antichissimo cimitero. Poi Montepiano appartenne alla parocchia di S. Quirico, ove si conservano in archivio le memorie de’ tempi passati, finche non fu eretta, e ben a ragione, in parrocchia per l’aumentata popolazione e per la distanza.
La Badia è posta sulla sinistra della Setta, un chilometro e mezzo da Montepiano ed è contornata da praterie ed annose selve di castagni. Oggi rimane un povero, squallido avanzo d’un grandioso, splendido fabbricato.
Come l’abbazia di Montecassino,3 come quella di S. Colombano a Bobbio,4 quella di Cava de’ Tirreni, come tante e tante altre, specialmente di Benedettini, così anche quella di Montepiano, fu sotto il regime dei Conti Alberti, un centro di studi.
La scienza che aveva abbandonato le corti, i tribunali, le cattedre, si era rifugiata nei monasteri. Ivi, come api industriose, quei buoni monaci, salvaron le reliquie dell’antico sapere, inghiottito dall’inondazione dei barbari, serbaron codici letterari, filosofici, artistici. Insegnavano l’agricoltura e l’esercitavano: molte città debbono la loro origine alle Abbazie. I monaci Benedettini furon benemeriti non solo della religione, ma eziandio della Civiltà e della Patria. Fu una sventura per Vernio che l’ira del Conte Piero de’ Bardi, assuefatto a prepotere, costringesse i monaci di Montepiano ad abbandonare le loro pacifiche sedi e gli studi operosi. Si vuole fosse di Vernio ed educato nei Chiostri della Badia, Lorenzo Verniense (Laurentius Verniensis) cantore satirico dell’impresa delle Baleari, fatta dai Pisani nel secolo XII.
Egli fu decano dell’Arcivescovo di Pisa ed uno dei migliori poeti di quell’età. La denominazione di Verniensis mi sembrerebbe lo facesse di Vernio. Se fosse così sarebbe una gloria di più per val di Bisenzio5.
Il governo Lorenese, mancipio dell’Austria:
«In tutt’altri pensieri affaccendato |
A nulla valsero le istanze, le proteste de’ popolani che vedevano atterrato vandalicamente l’oggetto del loro amore, del loro orgoglio. Un Becheroni, Gian Giuseppe, buon uomo del resto, ebbe a rispondere ai moltissimi che facevano rimostranze, esser la sua consegna, una sola, demolire. E come quegli che era sottoposto, aveva, dal suo lato, ragione. Non tutti hanno il coraggio civile di rifiutare ai potenti l’opera propria in fatti stolti o maligni.
Il terremoto del 1843, che tanti danni arrecò alla valle del Bisenzio, trovate le mura smosse, compiè, quasi, l’opera di distruzione; costrinse a demolire ancora. E fu per questa opera di distruzione che tanti pregiati lavori di pittura, ornamento dell’Abbazia, furon perduti. In questa opera insana furono spese 27 mila lire; incredibile, ma storico.
La casa canonicale della Badia e la Chiesa furon teatro dell’eccidio di un uomo, eccidio compiuto dagli sgherri del Duca di Modena. Si legge nel Registro de’ morti alla Badia di Montepiano.
A dì 21 Agosto 1785.
Francesco Mattioli di Misano, volgarmente detto Checchetto del Prete, di età d’anni 40 in circa, assalito da una squadra numerosa di sbirri, mentre stava alla porta della Chiesa e sentiva Messa, perchè contumace a più potenze, ma specialmente al Signor Duca di Modena suo Principe, inseguito dai suddetti per la Chiesa fino alla Sagrestia, e quindi rifugiatosi nella camera accanto al coro, sopra la medesima sagrestia, ivi fu ammazzato con molte fucilate, senza volersi arrendere e fatti gli esami da me infrascritto, per sapere se aveva dato segno di sentimenti cristiani, sentito che era scomunicato per l’uccisione d’un prete e che non aveva dato contrassegno di penitenza, tagliatagli la testa da’ suddetti manigoldi, fu sepolto nella macchia accanto Setta, (ora Pian della Capra) dirimpetto questa Badia. Ed in fede Io P. Giov. Andrea Tozzini V. Abate M. pp.
Lo sventurato ucciso illegalmente, dai feroci scherani, lasciò in questi luoghi fama di sè non disonorevole che dura tuttora. Ameno quel V. Abate Tozzini che asserisce non aver dato segno di sentimenti cristiani uno che per adempire al dovere religioso d’ascoltare la S. Messa affronta la morte! La testa dell’ucciso, sinistro trofeo, fu portata al Duca di Modena....
Gli sgherri del Principe Estense erano, per quel che narra la fama una ventina: la chiesa, dopo l’eccidio rimase interdetta per vario tempo.7
I barbacani che si vedono da mezzogiorno furon fatti in quei tempi per sorreggere la muraglia che minacciava di sfasciarsi.
I conti Alberti ed i Bardi vi avevano un bel quartiere con stanze grandi, riccamente addobbate e ciascuna avea il suo ampio camino8. Anche nel convento dei Domenicani, S. Marco in Firenze, vediamo non il quartiere, ma le due celle dove Cosimo de’ Medici si ritirava a colloquio con S. Antonino, e vinto forse dai rimorsi, ad implorare la pace di Dio.
Parve forse strano ai buoni fiorentini che un Principe costruisse cappelle per trattenervisi a conversazione con un Santo e vollero tramandarci il fatto raro colla seguente iscrizione:
Eugenius IV P. M.
Dedicato D. Marci templo A. D. MCCCCXLII
Una nocte moratus est hic
Ubi in cellulis a se extructis Magnif. Cosm. Med.
Saepe habitavit ut D. Antonini colloquio
Frueretur.
I monaci vivevano presso la chiesa, quali vigili custodi delle cose sacre, presso la chiesa onde esser più pronti ad accorrere quando fossero chiamati alle preci, al coro, alla meditazione.
La chiesa della Badia ha un piccolo portico, pronao, e la porta ha un architrave rozzamente scolpito. Sopra è una lunetta, nella quale è dipinta a fresco una Vergine col bambino e due colombe portanti nel becco un cartello sul quale è scritto: Ave Maria: Si riferisce ad una leggenda intorno alla fondazione della Chiesa9.
Il dipinto si crede di Giotto o della sua scuola. Nella parete del portico, volta a Nord, sono due iscrizioni; una ritrovata da D. Ireneo Fedeli, quando era parroco alla Badia, fra le macerie accumulate lì intorno dai vandali moderni, ed accenna all’epoca della restaurazione della Badia, dando l’anno della fondazione 1005.
Anno M. V.
Haedificata
Fuit hae.... abat....
Ia qam resta.
Uravit anno M. V.
LXXXVIII dominus pres (bïter),
Io (anes) et Dominus Pandulphus.
L’altra commemora la visita fatta al monastero dal Giovannetti Arciv. di Bologna, qui ospitato a grand’onore del conte Flaminio de’ Bardi abate.
Come se il soggiorno del Porporato potesse servirgli di lavacro alle non poche ribalderie commesse, così quella buona lana del Conte Abate Flaminio, racconta l’avvenimento.
Terque Quaterque Felix Fortunatumque Vernium
Quod Eminentissimus Andreas Joannettus
S. R. E. Cardinalis Et Bonon Archiepiscopus
Lustrando Finitimam Dioecesim Huc Accesserit
Et In His Aedibus Montis Plani Per Quatriduum
Summa Comitate Constiterit
Ppinceps Vere Maximus
Qui Amplitudinem Dignitatis
Suis Virtutibus Auget
Clarissimo Hospiti
Flaminius Comes Et Abbas Bardius
Monumentum
L. L. P. C.
Fino dai primi secoli dopo il mille, moltissime cartapecore attestano i numerosi appezzamenti de’ terreni che alla Badia venivano donati, offerti, venduti; ed essa fu una delle prime dell’ordine di Vallombrosa.
Non si sa bene quando i monaci definitivamente l’abbandonassero: si trova che nel 1470 vi esistevano sempre, perchè Paolo 2.º la concedè in commenda a Filippo de’ Bardi con facoltà d’appropriarsi alcune rendite, dedotte le spese pei monaci. Ma questi non vi durarono a lungo, poichè nel 1623, la Badia fu eretta in parrocchia, secondo scrive il Conte Ferdinando Bardi pel motivo principale della lontananza delle Chiese.10
La Badia fa consacrata da S. Atto, Vescovo di Pistoia, Vallombrosano, nel 1138. I monaci l’abbandonarono per le liti che ebbero con i Conti Bardi per possessioni e privilegi disputati; la prepotenza baronale prevalse e gli antichi abitatori se ne partirono.11
La opulenta Badia passò in commenda; fra gli altri ne fu abate il Card. Giov. de’ Medici, poi Papa Leone X.
Tra due lati, poi della Badia e della chiesa, havvi un vasto cortile rettangolare, una specie di chiostro, murata anche dall’altro lato, e vi si accede per un ampio portone. Quello che rimane dell’antica Badia serve ad uso di canonica, abitazione del parroco. È un avanzo, un residuo, l’attual fabbricato di quello che fu una volta, ma la vastità delle sale, la bellezza de’ soffitti, l’ampiezza delle scale, mostrano la primitiva grandezza. In estate, da due anni, grazie alla gentile pietà d’un benefico comitato, la cui anima è stata la Principessa Maria Antonietta Strozzi, si raccoglie nella Canonica una colonia di fanciulli delle scuole elementari fiorentine.
Non si possono tributar lodi condegne a coloro che si dedicarono alla santa impresa; i loro nomi sono scolpiti nel cuore di tutti gli onesti. Non possiamo però a meno di ricordare l’Ispettore scolastico Cav. Enrico Carini al cui zelo tanto devono l’incremento e la prosperità di questa istituzione. In lui quei bambini hanno trovato più che un secondo, amorevolissimo padre.
Questa bella istituzione che deve tutto alla pubblica carità, alle tenui offerte degli alunni ed alla sua ragione di esistere, è d’una indiscutibile efficacia per la salute dell’organismo fisico che si migliora e rinvigorisce col moto regolato all’aria ed alla luce e con la pratica applicazione delle norme dettate dall’igiene.
Ma più che per il bene fisico questa istituzione è opera efficace per l’azione educativa, che sulla mente, sul cuore, sulle abitudini dei bambini esercitano la presenza e la cura continua ed amorosa de’ maestri. Queste stazioni scolastiche, nate dalla scuola, se ne possono considerare siccome un ramo; ne compiono l’azione educativa col governo e l’affetto d’una famiglia ben diretta e disciplinata.
Possono giustamente considerarsi come un ramo della scuola, anche perchè neppur quì è trascurato l’insegnamento. Tutto è saggiamente distribuito: preghiera, scuola, studio, ricreazione, passeggio. Alto e patriottico intento, che, se dobbiamo giudicarne da’ fatti, ha destato per la bella istituzione, non ancora, pur troppo, conosciuta da tutti, la simpatia e l’affetto della maggioranza.12
Da una commissione scelta appositamente vengono nominati gl’insegnanti, tanto per la sezione femminile, che per la maschile.
E quell’egregie maestre, quei provetti educatori, adempiono il loro ufficio, tutti l’abbiamo veduto, con affetto paterno. È commovente vedere quei bambini che cresciuti sulla riva dell’Arno, non hanno idea precisa della montagna, maravigliandosi in senso inverso di quel di Dante:
«Come il rozzo villan quando s’inurba»
ammirare attoniti le balze scoscese, le vette aeree dei monti che sembra tocchino il cielo, la Setta serpeggiante coll’onda purissima, i prati sempre verdi, animarsi vicendevolmente; darsi alla più schietta allegria.
Qui, lontani da ogni cattivo esempio, non ascoltano che la parola educatrice del maestro, ne veggono e cercano imitarne la retta vita: è questa una segregazione che li migliora. Quegli alpinisti in sessantaquattresimo, dalle passeggiale brevi e in luoghi agevoli ben presto hanno l’ardire di spingere le loro gambucce fino agli ardui gioghi di Monte della Scoperta, di Monte Casciaio, di Mezzana, di Poggio di Petto. E frattanto, al loro ritorno tra le mura della città nativa, i medici tanto nei bambini che nelle bambine, riscontrano aumento di peso, maggiore capacità toracica, colorito più vivo, miglioramento generale delle condizioni dell’organismo, e inoltre, mens sana in corpore sano, maggior vivacità nello sguardo e nei movimenti.
L’aria bene ossigenata, riboccante d’ozono, il vitto sano, l’acqua eccellente, la vita regolatissima, dànno tali resultati. Tenere pianticelle, intristivano all’aere afoso e pigro delle città: trapiantate, anche per breve tempo, a quello mosso, sanissimo della montagna, rinvigoriscono e si abbellano.
Così Dio benedica i promotori della provvida istituzione: se son manipolo, diventin falange; quanti essi più saranno, tanti più saranno coloro che avranno ben meritato dell’umanità e della patria.
Note
- ↑ Fucini, per l’inaugurazione del monumento a Giusti.
- ↑ Anima cara ed ingenua, tipo di cristiano e di sacerdote.
- ↑ Cantù. Storia degli Italiani.
- ↑ Barrili. Confessioni di Fra Gualberto.
- ↑ Bertini. Guida di Val di Bisenzio.
- ↑ Giusti. S. Ambrogio.
- ↑ Ercole III Rinaldo, ultimo discendente maschio dell’antica casa d’Este, dominò Modena, Reggio e la Mirandola dal 1780 al 1796, anno in cui ne fu spossessato dai Francesi. Raccontano che il bandito aveva detto di voler fare una scatola del cranio ducale: questa certo la ragione della rappresaglia terribile.
- ↑ Prof. Emilio Bertini.
- ↑ P. Emilio Bertini. Guida.
- ↑ Conte Ferdinando, Vita e morte d’un feudo. Questa è l’opinione del Bardi, senonchè il primo stato d’anime esistente nell’archivio parrocchiale rimonta al dì 4 aprile 1786, essendo vice-abate e parroco G. Andrea Tozzini di Cavarzano, quello dei matrimoni porta la data del 28 novembre 1771, e l’altro dei defunti ascende al 12 giugno 1770. La così chiamata vacchetta degli ufficii in suffragio dei defunti ha segnato per primo il dì 10 aprile 1787. Il primo registro dei battezzati porta nel frontespizio le seguenti parole che trascriviamo in parte.
Al Nome di Dio. Amen.
Questo libro coperto di cartapecora bianca segnato di lettera A, ed intitolato — Registro dei Battezzati nella Chiesa di S. Maria della Badia di Montepiano nell’Imperial Feudo di Vernio. — Servirà per descriver tutti quelli, che saranno battezzati. . . . . incominciando 11 aprile 1789, nel quale seguì l’erezione del Fonte Battesimale d’ordine dell’Ill.mo e Rev.mo C. Flaminio de’ Bardi Abate. E stato benedetto dal P. Giuseppe Nutini di commissione del Rev. P. Pellegrino Scatizzi attuale cappellano curato della predetta chiesa abbazziale.
- ↑ Anche nel 7 Settembre 1339 l’abate di Vallombrosa, col consiglio degli abati Niccolò di Michele da Papignano, Ciampolo di S. Casciano a Monte Scalare, Iacopo di S. Trinità di Firenze, Ambrogio di S. Pancrazio di Firenze, Filippo di S. Pietro a Monteverdi, Matteo di S. Bartolomeo a Ripoli; considerata l’oltracotanza di Piero de’ Bardi che impediva ai religiosi anche di recitare le preci e di salmeggiare i cantici divini, e affinchè i beni del monastero non vadano a finire con disonore dell’ordine, dà licenza a D. Nicolò Ab. di Montepiano di ritirarsi nelle case del Monte poste in porta Fuia a Prato e di abbandonare le antiche sedi. (Codex Bardi).
- ↑ Relazione del Comitato, 8 Decembre 1895.