Atto IV

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Atto III Atto V

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ATTO QUARTO.

SCENA PRIMA.

Tamas, tenendo per mano Curcuma.

Tamas. Vieni qui, scellerata.

Curcuma.   Aiuto: io non so nulla;
Portatemi rispetto, che sono ancor fanciulla.
Tamas. Presto: Ircana dov’è?
Curcuma.   Ve lo dirò, aspettate.
(Se gliela dico tutta, m’accoppa a bastonate).
Tamas. Dov’è Ircana, dich’io?
Curcuma.   Ircana? (tremante
Tamas.   Oh me tapino!
Presto: me l'han rapita? (sdegnato
Curcuma.   Eh, signor no: è in giardino.

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Tamas. Vanne a lei...

Curcuma.   Sì signore... (vuol partire
Tamas.   Fermati.
Curcuma.   Ahimè! ci sono.
Tamas. Anderò io a vedere. (in atto di partire
Curcuma.   Signor, chiedo perdono.
Tamas. Come? non è in giardino?
Curcuma.   Non è. (tremando
Tamas.   Vecchia, m’inganni?
Curcuma. Sempre mi dite vecchia, e non ho ancor trent’anni.
Tamas. Io troncherò ben presto il corso a’ giorni tuoi:
Ti ucciderò, ribalda.
Curcuma.   Via uccidetemi, e poi?...
Tamas. Parla.
Curcuma.   Io non so nulla.
Tamas.   Dov’è Ircana?
Curcuma.   Non so...
Tamas. Non è più nel serraglio?
Curcuma.   Ho paura di no.
Tamas. Ah indegna, scellerata: Ircana se ne andrà
Senza che tu lo sappia? (minacciandola
Curcuma.   Eh signor, vi sarà.
Tamas. Sì, vi sarà; ma dove?
Curcuma.   Là dentro. (Oh me meschina!)
Tamas. Vado: se non la trovo, ti vo’ conciar, bambina.
(in atto di partire
Curcuma. Eh sì, la troverete. (Oh se fuggir potessi!)
Tamas. Ma non ti credo; olà.
(toma indietro, e chiama gli Eunuchi
Curcuma.   (È meglio ch’io confessi).
Tamas. Legatela colei. (agli Eunuchi
Curcuma.   Ah signor...
Tamas.   Non tardate, (agli Eunuchi
Curcuma. Legate con modestia, le man non mi toccate.
(agli Eunuchi

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Tamas. Resti costei legata fin ch’io ritorni: vecchia,

Se Ircana non ritrovo, a morir, ti apparecchia, parte
Curcuma. Signor... Ah sul mio dorso quale flagello aspetto.
Mi ha fatta legar stretta, e poi vecchia mi ha detto.
Ma voi, cani arrabbiati, con tante corde rie,
Perchè queste legate tenere carni mie?
Tanti che pagherieno averle un po’ toccate,
E voi, brutti visacci, così le strapazzate?1
Ah se pietade avete di me, povera donna...
(un Eunuco le parla all’orecchio
Che dici, sciagurato? Non è ver, non son nonna.
Non ho nemmen figliuoli, ma ben se scamperò
Fuori di questo imbroglio, spero che ne averò.

SCENA II.

Tamas e detta.

Tamas. Perfida! (furiosamente, con arma alla mano

Curcuma.   Ahimè meschina!
Tamas.   Presto a colei sien date
Sulle piante de’ piedi trecento bastonate. G 1
Viva poi sotterrata sino alla gola, i cani
Vengano il capo indegno a lacerarle in brani.
Curcuma. E poi...
Tamas.   Poi d’ingannarmi avrai finito, insana.
Curcuma. E poi voi non saprete dove sia ita Ircana.
Tamas. A forza di tormenti dir lo dovrai.
Curcuma.   Pazienza!
Ma son donna capace di dirvelo anche senza.
Tamas. Presto.
(gli Eunuchi credendo dica a loro, vogliono legar Curcuma

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Curcuma. Fermi, bricconi, e ben che cosa ci è?

Ei non l’ha detto2 a voi presto, l’ha detto a me.
Sì, signor, presto parlo: Ircana se n’è andata;
Machmut l’ha venduta, e Osmano l’ha comprata;
E quei che l’han condotta a così bel mercato,
Son questi scellerati, che mi hanno assassinato.
Tamas. Ah traditori indegni!
(con un pugnale ferisce uno degli Eunuchi, e tutti fuggono
Curcuma.   (Affé, gli sta a dovere.
Ah se fuggir potessi!)
Tamas.   Perfida, in tuo potere
Non era il custodirla, difenderla, avvisarmi?
Il Ciel nelle mie mani ti lasciò per sfogarmi.
(minacciandola
Curcuma. Ah ci sono.

SCENA III.

Alì e detti.

Tamas.   Deh, amico, venite in mio soccorso.

Curcuma. (Io non so se ferita m’abbia la testa o il dorso).
Tamas. Ircana mia... ad Alì
Alì.   La vidi. (parla confuso, come se fosse briaco3
Tamas.   Ohimè! da voi veduta?
Dove?
Alì.   Per via.
Tamas.   Ma quando?
Alì.   Ora.
Tamas.   Perchè?
Alì.   Venduta.
Tamas. Ah Ciel! penar mi fate i cenni e le parole.
L’oppio, che rende audaci, instupidir poi suole.

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Curcuma. (Ah di me si scordasse!)

Tamas.   Chi l’ha comprata?
Alì.   Osmano.
Tamas. Chi la scorta?
Alì.   Due schiavi.
Tamas.   Colle catene?
Alì.   A mano.
Tamas. Vado.
Curcuma.   (Sen va). (con letizia
Tamas.   Deh, amico, pietà d’un uom tradito.
Dhe, non mi abbandonate; andiam.
Alì.   Sono stordito.
Tamas. Maledetto sia l’oppio; solo ne andrò.
Curcuma.   (Buon viaggio.
Di me non si ricorda; quest’è un buon avvantaggio).
Tamas. Perfida, non mi scordo: ripiglierem l’istoria.
(a Curcuma, e parte
Curcuma. Obbligata davvero della buona memoria.

SCENA IV.

Alì e Curcuma.

Alì. Caffè. (a Curcuma

Curcuma.   Non mi guardate, portatemi rispetto.
Alì. Tempo già fu; sei vecchia.
Curcuma.   (Che tu sia maledetto!
Ma se m’ha detto vecchia, non vo’ scandalizzarmi.
È amico del padrone, potrebbe anche giovarmi).
Sì, signor, ve lo porto.
(Va a prendere il caffè, e prima gli accomoda due guanciali nel mezzo della scena per sedere.
Alì.   Troppo ne ho tranguggiato.
Ho dormito sei ore, nè ben son risvegliato.
Desta il caffè; mi duole per Tamas: un amico

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Dee seguitar... ma invano star in piè m’affatico.

(s’alza, poi torna a sedere
Se oppio farò cotanto entrar per la mia gola,
Mi toglierà col tempo il moto e la parola.
È ver, che talor giova a noi dell’oppio l’uso,
Ma stolidi ci rende il replicato abuso.
Favole della Grecia agli Europei narrate,
Credo sieno i veleni amici a Mitridate.
Curcuma. Ecco il caffè, signore, caffè in Arabia nato,
(Alì beve il caffè mentre ella ragiona
E dalle caravane in Ispaan portato.
L’arabo certamente sempre è il caffè migliore:
Mentre spunta da un lato, mette dall’altro il fiore.
Nasce in pingue terreno, vuol ombra, e poco sole;
Piantare ogni tre anni l’arboscello si suole.
Il frutto non è vero che esser debba piccino;
Anzi deve esser grosso, basta sia verdolino.
Usarlo indi conviene di fresco macinato,
In luogo caldo e asciutto con gelosia guardato.
Alì. Caffè buono, e ben fatto. (rendendo la tazza
Curcuma.   A farlo vi vuol poco:
Mettervi la sua dose, e non versarlo al fuoco.
Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto,
Sei, sette volte almeno, il caffè presto è fatto.
Alì. Sciolti del tutto ancora i spirti miei non sono.
Recatemi tabacco.
Curcuma.   Signor, chiedo perdono.
Volete il kaliam?
Alì.   Sì, il kaliam mi aggrada.
Curcuma. (Per farmi un protettore vo cercando la strada;
È ver, che sperar posso qualche cosa dal merto;
Ma quel delle finezze è un segreto più certo). parte
Alì. Tamas mi sta nel cuore: misero! in tal periglio
Non recargli un amico nè aiuto, nè consiglio?
Di me che dirà mai? l’unico pregio antico

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È del vero Persiano l’esser fedele amico.

Al par dell’Alcorano, che ci governa e regge,
Dell’ospitalitade si venera la legge;
Ed io, che son di lui ospite e amico, e sono
Beneficato ancora, ingrato or l’abbandono? s’alza
Cerchisi... O Ciel! che miro? Tamas...

SCENA V.

Tamas, guidando Ircana, col ferro in mano, conducendola nel Serraglio; e detto.

Tamas.   Andiam, mia vita. (parte con Ircana correndo

Alì. Ecco l’amico vostro, eccomi in vostra aita...
Tutto di sangue è tinto il misero infelice.
Vorrei... ma ad un amico là penetrar non lice.
(vorrebbe seguitar Tamas, poi s’arresta

SCENA VI.

Curcuma e detto.

Curcuma. Pietà, misericordia.

Alì.   Vecchia, che cosa è stato?
Curcuma. Vecchia quel che volete, il padrone sdegnato
Minaccia, mi vuol morta; or ora viene qui;
A voi mi raccomando. Ihi, ihi, ihi. (piangendo
Alì. Celati.
Curcuma.   E se mi trova?
Alì.   A me lascia la cura.
Curcuma. Ah non vorrei canuta venir per la paura. (parte
Alì. . Anche fra suoi spaventi pensa all’irsute chiome.
Femmina più che morte odia di vecchia il nome.

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SCENA VII.

Tamas e detto.

Tamas. Quell’indegna dov’è? Perfida! spera invano

Sottrarsi dalla morte, fuggir dalla mia mano.
Alì. Perchè cotanto sdegno contro una vecchia insana?
Tamas. Ella con tradimento pose fra lacci Ircana.
Alì. La liberaste alfine.
Tamas.   È ver, con mano ardita
Ricuperai la donna, ed arrischiai la vita.
Alì. Di chi è il sangue, che nero vi lorda e vesti e mano?
Tamas. Di due schiavi svenati del mio suocero Osmano.
Alì. Egli lo sa?
Tamas.   Non vi era; ma avuti avrà gli avviai
D’Ircana sprigionata, de’ suoi custodi uccisi.
Alì. La fierezza d’Osmano?
Tamas.   Non la temo.
Alì.   Vedete
(guardando alla porta del Serraglio
Vuol femmina velata venir, se il concedete.
Tamas. E Fatima colei.
Alì.   Fatima vostra sposa?
Tamas. Quella che agli occhi miei è più di morte odiosa.
Alì. Par che per me s’arresti. (in atto di partire
Tamas.   Fermate.
Alì.   No, sì ardito
Non son di dispiacere o alla moglie, o al marito.
Permettete, signore... (in atto di partire
Tamas.   Peggio per lei se viene.
Alì. A voi serbar prudenza, partire a me conviene. parte

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SCENA VIII.

Fatima, Tamas, poi Osmano colla sciabla4 alla mano.

Fatima. Sposo?

Tamas.   Che cerchi?
Osmano.   Ah, mori... (drizzando un colpo a Tamas
Tamas.   Nelle mie stanze?
Osmano.   Indegno!
Le stanze del Soffì non tratterrian mio sdegno.
Sì, mori, scellerato. (volendolo ferire
Fatima.   Ah caro padre! (si frappone
Osmano.   Ah figlia,
Qual destin ti conduce? qual follia ti consiglia?
Scostati, forsennata; lascia che l’empio mora,
O d’essere tuo padre potrò scordarmi ancora.
Fatima. Scordati d’esser padre, ma Fatima non osa
Scordar con quel di figlia il bel nome di sposa.
Tamas. Lascia che avanzi il passo quell’aggressore ardito,
O io più facilmente mi scordo esser marito, (a Fatima
Fatima. Ambi stendete il ferro; a me date la morte.
In me sfoghi lo sdegno il padre ed il consorte.
Osmano. Perfido! (avventandosi contro Tamas
Fatima.   Ecco il mio petto. (si pone dinanzi al Padre
Osmano.   Ingrata! (rubandosi
Tamas.   Il colpo arresti?
(ad Osmano
I Tartari famosi, gli eroi Persian son questi?
Eccomi: io non ti temo, odio ho per te, e dispetto.
Ruota quel ferro, audace; a piè fermo ti aspetto.
Osmano. Perfido! insulti ancora? l’ira non ha più freno.
Scostati, temeraria... (a Falima) Indegno! (contro Tamas
Fatima.   Eccoti il seno.
(come sopra
Tamas. E che t’arresta? dimmi, l’amor di genitore,

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O di un giovine a fronte, il codardo timore?

Osmano. Giuro a Maccon! 5 tai onte ha da soffrire Osmano,
Che ben dodici volte fe’ fuggir l’Ottomano?
Che fin su le pendici del Caucaso gelato
Frenò l’Indica gente, lo Scita ha debellato?
Odimi, figlia, e mi oda quel che ami a suo dispetto;
Dei seguaci di Marte l’onore anima il petto.
Mia figlia più non sei, se la mia gloria oscuri.
Se l’onte e le minaccie del genitor procuri.
E se non sei più figlia, odio la tua pietade,
Il sesso non rispetto, non rispetto l’etade.
L’ira, l’onor m’infiamma, tra gli insulti infierisco;
Parti, resta, frapponi, nulla mi cal, ferisco.
(s’avventa contro Tamas
Fatima. Oimè! (sviene, e cade sui guanciali dove prima si è seduto Alì
Osmano.   Sei tu ferita? morta sei tu caduta?
Tamas. Nè spenta, nè ferita; è pel timor svenuta.
Osmano. Mirala, cuor di tigre, mirala in quale stato,
La misera è ridotta per uno sposo ingrato!
Ohimè, che una tal vista l’alma mi opprime a segno,
Che ho i spiriti confusi fra l’amore e lo sdegno.
Mira un padre avvilito dall’amor d’una figlia.
A te qual nuovo eccesso la crudeltà consiglia?
Stupido la rimiri? nè men cerchi un’aita
Per ridonarle i spirti, per richiamarla in vita?
Perfido, se ti cale ch’ella ti lasci, e mora,
Svenala, scellerato, svena suo padre ancora.
(getta la spada 6
Tamas. Di sangue non mi pasco, non son disumanato,
Non odio che me stesso, io sono un disperato, parte
Osmano. Fatima, figlia: oh Numi! conosco or come fura
Tutti gli affetti a un padre l’affetto di natura.
Ecco la mia figliuola, eccolo il mio tesoro.
Gente, aita; chi porge a Fatima ristoro?7

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SCENA IX.

Curcuma e detto.

Curcuma. È partito?

Osmano.   Deh vieni.
Curcuma.   È partito il padrone?
Osmano. Sì, soccorri la sposa.
Curcuma.   Che le ha fatto il guidone?
Osmano. Vedila se respira; cuor non ho di mirarla.
Curcuma. Eh ri, signore, è viva; sarà bene slacciarla.
Osmano. Basti tu?
Curcuma.   Sì, signore (oh queste gioje belle,
Non mi escon dalle mani, se mi cavan la pelle).
(leva le gioje a Fatima, e le ripone
Osmano. Non rinviene?
Curcuma.   Mi pare, ma con tal peso intorno
Rinvenir non potrebbe nè meno in tutto il giorno.
(seguita a cavar le gioje

SCENA X.

Machmut e detti.

Machmut. Stelle! Osmano?

Osmano.   Machmut, vedi mia figlia al suolo.
Machmut. Morta?
Osmano.   No, tramortita per eccesso di duolo.
Machmut. Tamas mio figlio io vidi da fier dolore oppresso.
Osmano. Di Fatima l’affanno vien da tuo figlio istesso.
Ma s’ella non cadeva sugli occhi miei svenuta,
La testa di tuo figlio fora al mio piè caduta.
Machmut. Di mio figlio?
Curcuma.   Signori, par che riprenda fiato.
(Rinvenga quando vuole, il meglio l’ho intascato).

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Fatima. Ohimè!

Osmano.   Figlia?
Fatima.   Consorte? (verso Machmut
Machmut.   Il suocero son io.
Osmano.   Volgiti al genitore.
Fatima. Dov’è lo sposo mio?
Osmano. Pensa alla tua salute, non a quell’alma ingrata.
Curcuma. Con un po’ di marito è bella e risanata.
Fatima. Tamas dov’è? (a Machmut
Machmut.   Non lungi.
Fatima.   Vive? (ad Osmano
Osmano.   Sì, per tuo zelo,
Perchè tu lo salvasti.
Fatima.   Ah benedetto il Cielo.
Benedetta la mano del genitor pietoso,
Che in grazia d’una figlia, ha salvato lo sposo.
Vive poi? Deh signore, Tamas, il caro figlio,
Respira o forse langue8, è in liberta o in periglio?
(a Machmut
Machmut. Sì, respira, sta lieta.
Osmano.   Ancor l’ami cotanto?
Machmut. Ira ho contro il mio figlio, e tu mi muovi al pianto.
Curcuma. In tant’anni ch’io faccio di custode il mestiero,
Quest’è la prima volta, che vedo un amor vero.
Fatima. Dove son le mie gioje? (a Curcuma
Curcuma.   Son qui, ve le ho serbate.
(Credea fra tanti affanni se le avesse scordate).
Machmut. Itene a riposare. (a Fatima
Fatima.   Tamas?
Machmut.   Non dubitate;
A voi verrà fra poco.
Fatima.   Oh Dio! non m’ingannate.
Padre, suocero, io sono d’amor sì ardente accesa,

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Che già di lui mi scordo ogni onta ed ogni offesa,

lo stessa non intendo, come in un giorno appena,
S’abbia per un oggetto a provar tanta pena;
Come improvvisa forza di mal inteso amore
Abbia da render dolci anche i disprezzi a un cuore.
Ma se di tal portento vera cagion non trovo.
Posso narrar gli effetti di quell’ardor ch’io provo.
Tosto che in me ragione si sprigionò, che in seno
Principiar le passioni a conoscere il freno,
Piacquemi che la madre, che la balia amorosa,
Mi dicesser sovente: figlia, sarai la sposa.
E più della coltura del viso e delle chiome,
Mi piacea dello sposo sentir i pregi e il nome.
Tamas m’avea invaghita, pria d’averlo veduto:
Tre lustri l’ho adorato, posso dir, sconosciuto;
E quando il giovinetto s’offerse al mio sembiante,
Principiai a godere, non ad essere amante.
Trista d’amor mercede, misera, ottenni, è vero;
Ma poco gel non scioglie fiamma del nume arciero.
L’onta che in altra avrebbe il poco ardor scemato,
In me, d’amor ripiena, l’ha spinto e l’ha aumentato.
E quanto del crudele crescea meco il rigore,
In me crescea la brama di guadagnargli il cuore.
Fino la sua diletta, fin la rivale audace,
Per non sdegnar lo sposo, vidi e soffersi in pace;
Colla speranza in petto, che l’anime consola,
Si cangierà col tempo, ed amerà me sola.
Ah genitor, col ferro, se non mi avevi a lato,
Tutte le mie speranze, tu distruggevi, irato.
Misera figlia e sposa, che far potea di meno,
Che offrir per il consorte al genitor il seno?
Morta sarei piuttosto che vedova trovarmi,
Per quella mano istessa che mi guidò a sposarmi.
L’onor, la tenerezza, l’amore e la pietade,
La fralezza del sesso e quella dell’etade

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Mi tolsero ad un tratto il lume e le parole;

Caddi qual fior sul campo, colto dai rai del sole.
Il Ciel mi serba in vita, e non mi serba invano;
Tamas darammi il cuore, come mi diè la mano.
Possibil che in vedermi pronta a morir per lui,
Non abbia a dir pentito: Fatima, ingrato io fui?
Fatima, per me offristi alle ferite il petto,
Eccoti in ricompensa qualche tenero affetto?
Sì, mi basta anche un segno d’amor, di tenerezza;
Tutto contenta un’alma alle sventure avvezza.
Dimmi sol che non m’odi, dimmi ch’io sono... oh Dio!
Padre, suocero, ah dite: dov’è lo sposo mio?
Perchè tarda a vedermi? perchè non vien l’ingrato?
Ohimè! Tamas sarebbe tradito, assassinato?
Che vive mi diceste. Creder lo deggio a voi.
Perdonate a una sposa l’ardir de’ dubbi suoi.
L’amor è che mi rende impaziente, ardita,
A rintracciar io stessa il mio ben, la mia vita, parte

SCENA XI.

Machmut, Osmano e Curcuma.

Machmut. Seguila. (a Curcuma

Curcuma.   Sì, signore. Poverina, è pietosa;
Anch’io son per natura tenera ed amorosa. parte
Machmut. Osmano, se ti lascio, forza è d’amore.
Osmano.   Io stesso
Teco verrò.
Machmut.   Fra donne non si chiede l’accesso.
Osmano. V’è mia figlia.
Machmut.   E vi sono giovani, schiave, ancelle.
Osmano. E la perfida Ircana si asconderà fra quelle9.
Machmut. Non so.
Osmano.   Sappilo, e rendi la schiava a me venduta,
O con quella del figlio temi la tua caduta.

[p. 191 modifica]
Machmut. Non minacciate, Osmano, che alle minaccie avvezzo

Machmut non è mai stato; v’amo, vi stimo, e apprezzo.
Calmi di vostra figlia mirar contento il cuore.
Lo merta sua virtude, lo merta il suo dolore.
Tutto farò per lei contro mio figlio istesso;
D’Ircana, o viva o estinta, voi avrete il possesso.
Ma vel ridico in pace, l’amico rispettate.
Quando parlate meco, Osman, non minacciate, parte
Osmano. Basta che tu m’inganni, o che il tuo figlio indegno
Provochi, temerario, il mio fuoco, il mio sdegno:
Fatima non fia sempre vostra difesa e scudo,
Ne tratterrà il mio ferro tenero petto ignudo.
Da questo brando mio, che unqua sofferse un torto,
Qual si sia l’offensore, cadrà svenato e morto.
E s’io morir dovessi per vendicarmi ancora,
Salva la gloria mia, salvo l’onor, si mora. parte


Fine dell’Atto Quarto.


Note dell'autore

  1. Castighi che accostumatisi tra Persiani.

Note del curatore

  1. Edd. Pitteri e Pasquali: strappazzate?
  2. Ed. Zatta: E non ha detto ecc.
  3. Ed. Zatta: ubbriaco.
  4. Così nel testo.
  5. Così il testo.
  6. Ed. Zatta: sciabla.
  7. Ed. Zatta: il ristoro?
  8. Così l’ed. Zatta. Nelle edd. Pitteri e Pasquali leggesi soltanto: Respira o langue ecc.
  9. L’ed. Zatta ha qui l’interrogativo.