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182 ATTO QUARTO
Dee seguitar... ma invano star in piè m’affatico.

(s’alza, poi torna a sedere
Se oppio farò cotanto entrar per la mia gola,
Mi toglierà col tempo il moto e la parola.
È ver, che talor giova a noi dell’oppio l’uso,
Ma stolidi ci rende il replicato abuso.
Favole della Grecia agli Europei narrate,
Credo sieno i veleni amici a Mitridate.
Curcuma. Ecco il caffè, signore, caffè in Arabia nato,
(Alì beve il caffè mentre ella ragiona
E dalle caravane in Ispaan portato.
L’arabo certamente sempre è il caffè migliore:
Mentre spunta da un lato, mette dall’altro il fiore.
Nasce in pingue terreno, vuol ombra, e poco sole;
Piantare ogni tre anni l’arboscello si suole.
Il frutto non è vero che esser debba piccino;
Anzi deve esser grosso, basta sia verdolino.
Usarlo indi conviene di fresco macinato,
In luogo caldo e asciutto con gelosia guardato.
Alì. Caffè buono, e ben fatto. (rendendo la tazza
Curcuma.   A farlo vi vuol poco:
Mettervi la sua dose, e non versarlo al fuoco.
Far sollevar la spuma, poi abbassarla a un tratto,
Sei, sette volte almeno, il caffè presto è fatto.
Alì. Sciolti del tutto ancora i spirti miei non sono.
Recatemi tabacco.
Curcuma.   Signor, chiedo perdono.
Volete il kaliam?
Alì.   Sì, il kaliam mi aggrada.
Curcuma. (Per farmi un protettore vo cercando la strada;
È ver, che sperar posso qualche cosa dal merto;
Ma quel delle finezze è un segreto più certo). parte
Alì. Tamas mi sta nel cuore: misero! in tal periglio
Non recargli un amico nè aiuto, nè consiglio?
Di me che dirà mai? l’unico pregio antico