La sposa persiana/Atto V
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ATTO QUINTO.
SCENA PRIMA.
Notte oscura.
Ircana e Curcuma, ambe in spoglie virili alla foggia degli Eunuchi.
Curcuma. Venite meco; la notte si fa oscura:
Non ci conosceranno, non abbiate paura.
Abbiam spoglie cambiato, come si cambia il bruco;
Femmina facilmente può passar per eunuco.
Quest’abito è di quello cui Tamas ha ferito;
Il vostro è di colui che col veleno è ito.
Ircana. Ma tu, che di malìe maestra ti facesti,
Perchè non usar quelle, anzi che queste vesti?
Curcuma. Oh quando il fato avverso vuol favorire i tristi,
Nascono di quei casi, che non si son previsti;
Le pentole m’ha rotto, e tutto ha rovesciato.
Ircana. Tamas adunque infido, per soggezion d’Osmano,
Strinse la sposa al seno? strinse a colei la mano?
Curcuma. E di più vi direi qualche altra bella cosa;
Ma sotto queste spoglie sono ancor vergognosa.
Ircana. Vadasi.
Curcuma. Non per questo s’ha da fuggir, mia cara,
Ma per quel sciropetto, che Osmano vi prepara.
Tamas vi ha liberata, ma tal prodezza è questa,
Che al giovine imprudente costò quasi la testa;
E se nol difendeva Fatima col suo petto,
Andava il meschinello a ritrovar Maometto.
Ciò lo commosse alquanto, l’ira calmò nel cuore,
Per Fatima provando pietà, se non amore.
Ma i vecchi indemoniati, contro di voi feroci,
Vi voglion stritolare, come si fa1 le noci;
Onde, se non fuggite, Tamas è già perduto,
E perderete il resto, senza sperare aiuto.
Ircana. Partir senza vendetta? Ah questa è maggior pena
D’una barbara morte, d’una crudel catena.
Curcuma. Se di vendetta un giorno poteste lusingarvi,
Io stessa vi direi: pensate a vendicarvi;
Ma se diventa Osmano vostro signor, cospetto!
Ha un ciglio rabbuffato, ha un ceffo maledetto!
E voi, che di natura siete delicatina,
Vi manda all’altro mondo senz’altra medicina.
Ircana. Fuggasi, giacchè il fato ha tronca ogni speranza:
Ecco l’indegno frutto di soverchia baldanza.
Era pur meglio in pace, di Tamas mio signore
Colla novella sposa goder diviso il cuore.
Ah no: lo dissi, il dico, e l’ho fissato in mente,
O sola, o abbandonata, o goder tutto, o niente.
Ah maledetto il punto, che qui Fatima venne!
Ed io colle mie mani, per onta e per dispetto.
Avessi a quell’indegna strappato il cuor dal petto.
O sarei morta, e avrei di tormentar finito,
O Tamas fora2 meco per amor mio fuggito.
Or la rivale è viva, io fuggo invendicata,
Da Tamas, non so bene, se amata o disamata.
Curcuma. Orsù, l’ora s’appressa d’andarsene bel bello,
Sorella. Ah no, sorella, caro eunuco fratello.
Vedete a che m’espongo per compassion di voi.
(Curcuma non è pazza, anch’ella ha i fini suoi). da sè
Ircana. Tamas creder mi fece, che fossi 3 a me nemica.
Curcuma. Ecco smentito il falso, ecco se sono amica;
Per voi l’onore arrischio, la vita, ed ogni cosa.
(Ma parto, e meco porto le gioje della sposa). da sè
Ircana. Ohimè! dimmi qual traccia noi nel fuggir terremo?
Curcuma. Fuori dell’uscio appena Bulganzar troveremo;
Egli che sa le vie, sa gli usi e sa il costume,
De’ platani fra l’ombre si terrà lungo il fiume;
E fatto chetamente un miglio di cammino,
In Zulfa troveremo per noi miglior destino.
Zulfa è città vicina ad Ispaan, è vero.
Ma del commercio il grazia soffre più dolce impero.
Colà ci son gli Armeni, ricchissimi mercanti;
Essi ci compreranno a denari contanti;
E vo’ che scommettiamo, così per opinione4,
A chi faran di noi maggior esibizione.
Ircana. Ah voglia il Ciel non sia peggior la mia caduta!
Ma tutto arrischiar dee donna che è già perduta.
L’ora del partir nostro guarda che invan non passi.
Curcuma. No. no: più certo è il colpo, quando più tardo fassi.
Gioje ne avete prese?
Ircana. Fatto ho un fardello in fretta.
Ircana. In tasca.
Curcuma. Dar mel potete.
Ircana. Aspetta;
Eccolo; dove sei?
Curcuma. Son qui; datelo pure.
Ircana. Bada!
Curcuma. Non dubitate: le mie man son sicure.
Ircana. Parmi di sentir gente.
Curcuma. Pare anche a me.
Ircana. Chi viene?
Curcuma. Per ora in qualche parte nascondaci conviene.
Ircana. Dove?
Curcuma. Venite meco.
(va ritirandosi in modo che Ircana non la trovi
Ircana. Ma dove? io non ti trovo.
Curcuma. (Se posso fuggir sola colle gioje, mi provo). parte
Ircana. Curcuma? ah me infelice! Curcuma? ah, che è fuggita!
Ecco un lume, ecco un uscio; mi celo5: ah son tradita!
(si ritira
SCENA II.
Tamas, poi Ibraima e Zama.
Mi si affollano in mente, ora pietosi, or fieri!
Mi si nasconde Ircana; Fatima piange, e prega:
Tamas, per lei tu vivi, e il tuo cor non si piega?
Ancor mi sta nel core la mia diletta Ircana;
E l’amerò costante anche da me lontana.
Il genitor severo rendala pure a Osmano,
Saprò col ferro in pugno levargliela di mano;
E se l’ardir trarrammi al fin de’ giorni miei,
Ma s’ami Ircana, ad essa tutto si serbi il core;
Fatima è però degna di rispetto e d’amore;
E se non è per anche in poter mio l’amarla,
Movasi un grato sposo almeno a rispettarla.
Olà, Fatima sappia, che meco or la desio. (alle Schiave
Ibraima. (Volesse il ciel, meschina!) parte
Zama. (Ah prego il Ciel anch’io).
parte
SCENA III.
Tamas sedendo.
Ma non usurpi a Ircana una porzion del cuore.
All’obbligo di sposo, che a me la sposa appella,
Gratitudine aggiunge altra ragion novella.
Fatima con disprezzo trattar no, non conviene;
Ma sarà sempre Ircana il mio sole, il mio bene. siede
SCENA IV.
Ircana e detto.
Ch’io vegga una rivale gioir sugli occhi miei.
T’amo, ma se non posso unir teco mia sorte,
Pria che altri ti possegga, voglio darti la morte.
Sì, questa man che regge del tuo bel core il freno,
Passi prima il tuo petto, poi mi ferisca il seno.
(s‘avventa con un pugnale contro Tamas
SCENA V.
Fatima e detti.
Tamas. Oh giusto cielo! ah qual destra inumana?
Ircana. Non toccarmi.
Tamas. Stelle, che vedo?... Ircana?
Tanta6 di sangue hai sete?
Ircana. Sì, ma dal ferro istesso
Anche Ircana svenata ti giacerebbe appresso.
Tamas. Perfida, in ricompensa di tanto amor, tal sdegno?
Va’, il feroce tuo cuore di mia pietade è indegno.
Fatima. (Fatima, è questo 7 il tempo colla pietà e l’amore
Di guadagnar Io sposo, d’incatenargli il core), da sè
Tamas?...
Tamas. So che vuoi dirmi; è la seconda volta
Questa che tu mi salvi.
Fatima. No, le mie voci ascolta.
Questo che Ircana opprime eccessivo furore,
Non è che un tristo avanzo 8 d’un eccesso d’amore.
Da questo amor tiranno, oppressa al par di lei,
Tamas, te lo confesso, non so quel ch’io farei.
Tamas. Tu in suo favor mi parli, perchè a colei mi doni?
Fatima. No perchè tu l’adori, ma perchè le perdoni.
Tamas. Odila, Ircana.
Ircana. Io l’odo; odo di scaltra i detti,
Che guadagnar procura con dolcezza gli affetti.
Tamas. Quell’ostinato orgoglio mi stancherà.
Fatima. Non vedi,
Ch’ella d’amor delira? Tu a Fatima non credi?
(ad Ircana
Ora mi crederai. Signor, costei m’insulta,
Non deve una tua sposa esser derisa e inulta.
D’una rivale ardita chiedo al tuo cuor vendetta;
La pretendo, la voglio. (a Tamas
Ircana. Ora ti credo. (a Fatima
Fatima. Aspetta. (ad Ircana
Nulla giovar mi puote mirar femmina esangue.
Se compensar mi vuoi della tua vita il dono, (a Tamas
Concedimi d’Ircana non la morte, il perdono.
Ecco di te, spietata, qual vendetta desio;
Bastami che arrossisca il tuo cuore del mio.
Ircana. (Ah, costei mi avvilisce!) da sè
Tamas. Alma di virtù piena,
Degna sei di pietade, degna d’amor. (a Fatima
Ircana. (Che pena!)
Tamas. Il genitore. (veggendo venir Machmut di lontano, avvisa Ircana
Ircana. Oh Cielo! mi scopre; io son perduta.
Fatima. Fuggi da queste soglie, fin che sei sconosciuta.
(piano ad Ircana
Vattene, ardito eunuco, e più venir non osa.
Dove uniti si stanno collo sposo la sposa.
Vattene!
(Scaccia Ircana con arte, perchè non sia veduta da Machmut.
SCENA VI.
Machmut, Fatima e Tamas.
Fatima. Perdona s’io lo celo.
Sono importuni i servi talor per troppo zelo.
Tamas. (Qual duro cor spietato potria negar d’amarla?
Mirabile se tace, adorabil se parla).
Machmut. Sposi, sperar in voi posso un amor sincero?
Fatima. Signor, Tamas m’adora.
Machmut. Tamas, è vero?
Tamas. È vero.
Machmut. Grazie, o Numi del cielo, mi scordo ogni tormento.
Toglietemi la vita; sì, morirò contento.
Tamas. Sì, che Fatima è degna di rispetto e d’amore;
Padre, amarla prometto, ed amerò lei sola.
Fatima. Labbro che mi ristora!
Tamas. Voce che mi consola!
Machmut. Ma non vorrei, parlando... e pur parlarne è forza.
Figlio, se onesta fiamma le triste fiamme ammorza.
Perchè Ircana nascondi?
Tamas. Io non l’ascondo.
Machmut. Invano
La cercai pel serraglio, e la pretende Osmano.
Fatima. Più di lei non si parli.
Machmut. Il padre tuo sdegnato...
Fatima. Anche di lui lo sdegno spero mirar placato.
SCENA VII.
Osmano e detti.
Se Ircana alle mie mani colle tue man non torni.
Entrare ad uom non lice di donne entro le mura;
Violar non vo’ la legge che il vieta e le assicura;
Ma da’ Tartari miei precipitato il tetto,
Pubblico renderassi delle schiave l’aspetto;
Indi usciran tremanti dalle rovine, o vinte
Dal rossor, dal timore, vi rimarranno estinte.
Machmut. Odilo. (a Fatima
Fatima. Ah genitore!
Osmano. La schiava non s’asconda.
Machmut. Figlio, rispondi almeno. (a Tamas
Tamas. Fatima gli risponda.
Fatima. Padre, mirate ormai lieta la figlia in viso.
Miratela ripiena di giubilo improvviso;
Arde lo sposo mio d’amor, non più d’orgoglio,
Osmano. Ircana io voglio.
Fatima. Che vi cal d’una schiava, che Tamas più non cura?
Che l’amor, che la pace a Fatima non fura?
Pianga le colpe andate vicina, ower lontana,
Gl’insulti e le vendette scordate.
Osmano. Io voglio Ircana.
Fatima. Ma se...
Osmano. Ma se ritarda Machmut al nuovo giorno,
I Tartari, che meco condotti ho qui d’intorno,
Di lui, non che dei muri, faran strage inaudita;
Salvati, figlia, meco, o perderai la vita.
Fatima. (Misera me!)
Osmano. Tu sdegni d’udir minaccie invano.
(a Machmut
Coi scherni e cogl’insulti non sa tacere Osmano.
Tamas. Ma invano si pretende con onte e con furore
Di Tamas, di Machmut, vil che si renda il cuore.
Se tu del Re non temi le guardie e i moschettieri,
Se alle violenze avvezzi sono i Tartari alteri.
Da noi, da schiavi nostri, da nostri servi armati,
Difesi moriremo, ma non invendicati.
Machmut. Sì, figlio, il valor s’usi, quando il pregar non giova.
Del valor che vantate, su, si venga alla prova.
Olà. chiama
Fatima. Deh, padre amato...
Osmano. Chetati, figlia insana.
SCENA VIII.
Ircana e detti.
(ad Osmano
Non la nasconde il padre, non la nasconde il figlio,
Amo questo inimico ancor della mia pace,
Voglio morir per lui, se il viver mio gli spiace.
Eccomi; che pretendi? d’avermi in tua balìa?
No, non mi avrai, lo giuro, se val la destra mia.
Per non soffrir tuoi lacci, barbaro, al tuo cospetto,
Mi passerò io stessa con questo ferro il petto.
(tenta di uccidersi
Fatima. Ferma. (le trattiene il colpo
Osmano. No, non mi curo d’averti viva o estinta,
Purché da lacci miei, perfida, tu sii cinta;
O si confessi almeno, che quel che chiedo e voglio,
È ragion, è dovere, non violenza o orgoglio.
Machmut. Niun ti negò, che Ircana a te non si dovesse;
Ma chi sapea, che in spoglia viril si nascondesse?
Prendila.
Ircana. Io mi ferisco.
Fatima. Fermati; e voi m’udite.
Uditemi, se in core pietade, amor sentite:
Io sono offesa, io sono, a cui sola si aspetta
D’una rivale ardita pretender la vendetta.
Non basta il suo rimorso, non basta il suo rossore.
Rapirmi dello sposo può un’altra volta il core.
Fra queste donne or speri di rimanere invano:
Ti ha Machmut venduta, e ti ha comprata Osmano.
Passar deve una schiava del suo primier signore
Dal poter rinunciato a quel del compratore.
E il compratore, in cui paterno amor consiglia,
Della comprata schiava faccia un dono alla figlia.
Sì, Machmut ti vende, Tamas ti lascia, e oblia;
Osmano a me ti dona; Ircana, ora sei mia.
Della signora tua la legge odi ed osserva:
Restar tu qui non devi schiava fra noi, né serva.
Vattene al tuo destino felice od infelice,
Libera torna in pace alla tua genitrice.
Ah sì, basta; supplisce il silenzio agli accenti.
Tu liberasti il piede, libera il cor nel seno,
Se non sarai signora, non sarai schiava almeno.
Di Tamas non avrai in tuo potere il core,
Ma nol vedrai tu stessa arder d’un altro amore.
Vanne, non aspettare, che altro da noi si dica;
Prendi congedo, e parti, il ciel ti benedica;
Soffrir da me, trafitta con sofferenza amara,
Quella virtù, che forse non ben conosci, impara.
Ircana. (Sospirando, confusa parite.
Machmut. Figlia, la tenerezza il cor m’opprime.
Fatima. Oh Dei!
Tamas, tu non mi guardi?
Tamas. Ah l’idol mio tu sei.
Fatima. E tu, padre, che dici?
Osmano. Ah!
Fatima. Sì, lo sdegno è estinto
L’amor vero trionfa, io son felice, ho vinto.
SCENA ULTIMA.
Alì e detti.
Tamas. Dei due schiavi svenati
Vuol ch’io paghi la pena?
Machmut. No, figlio, ho già pagati
Quattrocento tomani, G 1 che erano un monte d’oro.
Tamas. Ah genitor, perdono.
Machmut. Sì, tu vali un tesoro.
Ma non tradir te stesso, la sposa e il genitore.
Tamas. Di quanti mali è fonte uno scorretto amore!
Tamas. Parla, amico.
Alì. La guardia, che ognor fra l’ombre è desta,
Sotto spoglie virili donna trovò fugace.
L’arrestò, la scoperse, ed è Curcuma audace.
Fatima. Le mie gioje?
Alì. Di gioje seco avea due fardelli,
Con pendenti, smanigli, auree collane, e anelli.
Di Fatima un di questi d’essere ha confessato;
L’altro disse ad Ircana averlo trafugato...
Fatima. Misera Ircana! ah tosto (le mie gemme non curo)
Per le sue si proveda, che involate le furo.
Alì. Son nelle man sicure del RabadarG 2 maggiore,
Che non trovando il furto, sarebbe il debitore.
La vecchia al nuovo sole, formato il suo processo,
Pagherà colla morte il gravissimo eccesso;
Poiché per tai delitti il rigor, la fierezza,
Forma la nostra pace, la nostra sicurezza.
Fatima. E non per questo solo la puniranno i Numi,
Ma per i rei disegni, e i perfidi costumi.
Machmut. Orsù, non più di colpe parlisi, owvver di sdegno;
Di renderci giulivi amor prenda l’impegno.
Rinnovisi la gioia, rinnovisi il convito.
Facciasi de’ congiunti e degli amici invito.
Osman, sei tu contento?
Osmano. Lo sono.
Machmut. E tu sei lieto? (a Tamas
Tamas. Lieto son io, se il core di Fatima è quieto.
Fatima. Felicità maggiore bramar io non potrei,
Grazie alla pietà vostra, grazie agli eterni Dei!
Esser da9 sposa amata, ne’ tetti suoi sovrana,
Donne, voi che miraste l’orientali costume,
D’esser nel vostro regno grazie rendete al Nume;
Ma del prezioso dono di vostra libertate,
Felicissime donne, almen non abusate,
E se l’aspra catena l’Europa a voi non diede,
Non la ponete almeno delli mariti al piede.
L’utile mio consiglio deh non vi muova a sdegno;
Se piace, o se dispiace, diano le mani il segno.
Fine della Commedia.