Che già di lui mi scordo ogni onta ed ogni offesa,
lo stessa non intendo, come in un giorno appena,
S’abbia per un oggetto a provar tanta pena;
Come improvvisa forza di mal inteso amore
Abbia da render dolci anche i disprezzi a un cuore.
Ma se di tal portento vera cagion non trovo.
Posso narrar gli effetti di quell’ardor ch’io provo.
Tosto che in me ragione si sprigionò, che in seno
Principiar le passioni a conoscere il freno,
Piacquemi che la madre, che la balia amorosa,
Mi dicesser sovente: figlia, sarai la sposa.
E più della coltura del viso e delle chiome,
Mi piacea dello sposo sentir i pregi e il nome.
Tamas m’avea invaghita, pria d’averlo veduto:
Tre lustri l’ho adorato, posso dir, sconosciuto;
E quando il giovinetto s’offerse al mio sembiante,
Principiai a godere, non ad essere amante.
Trista d’amor mercede, misera, ottenni, è vero;
Ma poco gel non scioglie fiamma del nume arciero.
L’onta che in altra avrebbe il poco ardor scemato,
In me, d’amor ripiena, l’ha spinto e l’ha aumentato.
E quanto del crudele crescea meco il rigore,
In me crescea la brama di guadagnargli il cuore.
Fino la sua diletta, fin la rivale audace,
Per non sdegnar lo sposo, vidi e soffersi in pace;
Colla speranza in petto, che l’anime consola,
Si cangierà col tempo, ed amerà me sola.
Ah genitor, col ferro, se non mi avevi a lato,
Tutte le mie speranze, tu distruggevi, irato.
Misera figlia e sposa, che far potea di meno,
Che offrir per il consorte al genitor il seno?
Morta sarei piuttosto che vedova trovarmi,
Per quella mano istessa che mi guidò a sposarmi.
L’onor, la tenerezza, l’amore e la pietade,
La fralezza del sesso e quella dell’etade