La secchia rapita (1930)/Canto primo

Canto primo

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Paulino Castelvecchio ai lettori Canto secondo
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CANTO PRIMO

ARGOMENTO

               Del bel Panaro il pian sotto due scorte
          a predar vanno i bolognesi armati,
          ma da Gherardo altri condotti a morte,
          altri dal Potta son rotti e fugati.
          Gl’incalza di Bologna entro le porte
          Manfredi, i cui guerrier coi vinti entrati
          fanno per una secchia orribil guerra,
          e tornan trionfanti a la lor terra.


1
     Vorrei cantar quel memorando sdegno,
ch’infiammò giá ne’ fieri petti umani
un’infelice e vil Secchia di legno,
che tolsero ai Petroni i Gemignani.
Febo, che mi raggiri entro lo ’ngegno
l’orribil guerra e gli accidenti strani,
tu che sai poetar, servimi d’aio
e tiemmi per le maniche del saio.
2
     E tu, nipote del rettor del mondo,
del generoso Carlo ultimo figlio,
ch’in giovinetta guancia e ’n capel biondo
copri canuto senno, alto consiglio,
se da gli studi tuoi di maggior pondo
volgi talor per ricrearti il ciglio,
vedrai, s’al cantar mio porgi l’orecchia,
Elena trasformarsi in una secchia.

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3
     Giá l’aquila romana avea perduto
l’antico nido, e rotto il fiero artiglio,
tant’anni formidabile e temuto
oltre i britanni ed oltre il mar vermiglio;
e liete, in cambio d’arrecarle aiuto,
l’italiche cittá del suo periglio,
ruzzavano tra lor non altrimenti
che disciolte polledre a calci e denti.
4
     Sol la reina del mar d’Adria, volta
de l’oriente a le provincie, ai regni,
da le discordie altrui libera e sciolta,
ruminava sedendo alti disegni,
e gran parte di Grecia avea giá tolta
di mano agli empi usurpatori indegni;
l’altre attendean le feste a suon di squille
a dare il sacco a le vicine ville.
5
     Part’eran ghibelline, e favorite
da l’imperio aleman per suo interesse;
part’eran guelfe, e con la Chiesa unite,
che le pascea di speme e di promesse:
quindi tra quei del Sipa antica lite
e quei del Potta ardea, quando successe
l’alto, stupendo e memorabil caso,
che ne gli annali scritto è di Parnaso.
6
     Del celeste monton giá il sol uscito,
saettava co’ rai le nubi algenti;
parean stellati i campi e ’l ciel fiorito,
e su ’l tranquillo mar dormieno i venti;
sol Zefiro ondeggiar facea su ’l lito
l’erbetta molle e i fior vaghi e ridenti,
e s’udian gli usignuoli al primo albore
e gli asini cantar versi d’amore:

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7
     quando il calor de la stagion novella,
che movea i grilli a saltellar ne’ prati,
mosse improvisamente una procella
di bolognesi a’ loro insulti usati.
Sotto due capi a depredar la bella
riviera del Panaro usciro armati;
passaro il fiume a guazzo, e la mattina
giunse a Modana il grido e la ruina.
8
     Modana siede in una gran pianura,
che da la parte d’austro e d’occidente
cerchia di balze e di scoscese mura
del selvoso Apennin la schiena algente;
Apennin ch’ivi tanto a l’aria pura
s’alza a veder nel mare il sol cadente,
che su la fronte sua cinta di gielo
par che s’incurvi e che riposi il cielo.
9
     Da l’oriente ha le fiorite sponde
del bel Panaro e le sue limpid’acque;
Bologna incontro; e a la sinistra l’onde
dove il figlio del sol giá morto giacque;
Secchia ha da l’aquilon, che si confonde
ne’ giri, che mutar sempre le piacque;
divora i liti, e d’infeconde arene
semina i prati e le campagne amene.
10
     Viveano i modanesi a la spartana
senza muraglia allor né parapetto;
e la fossa in piú luoghi era sí piana,
che s’entrava ed usciva a suo diletto.
Il martellar de la maggior campana
fe’ piú che in fretta ognun saltar del letto;
diedesi a l’arma, e chi balzò le scale,
chi corse a la finestra, e chi al pitale:

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11
     chi si mise una scarpa e una pianella,
e chi una gamba sola avea calzata;
chi si vestí a rovescio la gonella,
chi cambiò la camicia con l’amata;
fu chi prese per targa una padella,
e un secchio in testa in cambio di celata;
e chi con un roncone e la corazza
corse bravando e minacciando in piazza.
12
     Quivi trovâr che ’l Potta avea spiegato
lo stendardo maggior con le trivelle,
ed egli stesso era a cavallo armato
con la braghetta rossa e le pianelle.
Scriveano i modanesi abbreviato
pottá per potestá su le tabelle,
onde per scherno i bolognesi allotta
l’avean tra lor cognominato il Potta.
13
     Messer Lorenzo Scotti, uom saggio e forte,
era allor Potta, e decideva i piati.
Fanti e cavalli in tanto ad una sorte
a la piazza correan da tutti i lati.
Egli, poiché guernite ebbe le porte,
una squadra formò de’ meglio armati,
e ne diede il comando e lo stendardo
al figlio di Rangon, detto Gherardo.
14
     Egli dicea: — Va, figlio, arditamente;
frena l’orgoglio di que’ marrabisi;
non t’esporre a battaglia, acciò perdente
non resti, mentre siam cosí divisi;
ma ferma alla Fossalta la tua gente,
e guarda il passo, e aspetta novi avisi;
ch’io ti sarò, se ’l mio pensier non falle,
innanzi sesta armato anch’io a le spalle. —

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15
     Cosí andava a l’impresa il cavaliero,
dal fior de la milizia accompagnato;
e spettacolo in un leggiadro e fiero
si vedeva apparir da un altro lato;
cento donzelle in abito guerriero,
col fianco e ’l petto di corazza armato
e l’aste in mano e le celate in testa,
comparvero in succinta e pura vesta.
16
     Venían guidate da Renoppia bella,
cacciatrice ed arciera a l’armi avezza;
Renoppia di Gherardo era sorella,
pari a lui di valor, di gentilezza;
ma non avea l’Italia altra donzella
pari di grazia a lei né di bellezza,
e parea co’ virili atti e sembianti
rapire i cori e spaventar gli amanti.
17
     Bruni gli occhi e i capegli rilucenti,
rose e gigli il bel volto, avorio il petto,
le labbra di rubin, di perle i denti,
d’angelo avea la voce e l’intelletto.
Maccabrun da l’Anguille, in que’ commenti
che fece sopra quel gentil sonetto
«Questa barbuta e dispettosa vecchia»,
scrive ch’ell’era sorda da una orecchia.
18
     Or giunta in piazza ella dicea: — Signori,
noi siam deboli sí, ma non di sorte
che non possiamo almen per difensori
guardare i passi e custodir le porte.
Queste compagne mie ben avran cori
da gire anch’esse ad incontrar la morte:
né giá disdice a vergine ben nata,
per difender la patria, uscire armata.

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19
     Quel dí che Barbarossa arse Milano,
mio nonno guadagnò quest’armi in guerra;
Gherardo mio fratel le chiudea in vano,
ché le porte gittate abbiam per terra:
e s’al cor non vien meno oggi la mano,
se ’l nemico s’appressa a questa terra,
speriam che col suo sangue e la sua morte
ei proverá se sian di tempra forte. —
20
     Accese i cor di generoso sdegno
il magnanimo ardir de la donzella,
onde con l’armi fuor senza ritegno
correa la gioventú feroce e bella.
Con maestoso modo e di sé degno
il Potta la raffrena e la rappella:
— Dove andate, canaglia berettina,
senza ordinanza e senza disciplina?
21
     Credete forse che colá v’aspetti
trebbiano in fresco e torta in su ’l tagliere?
Adattatevi in fila, uomini inetti,
nati a mangiar le altrui fatiche e bere. —
Così frenando i temerari affetti,
distingueva in un tratto ordini e schiere.
Gherardo in tanto in opportuno punto
era correndo a la Fossalta giunto:
22
     ché Bordocchio Balzan ch’avea condotto
la prima squadra, allor quivi arrivato,
s’era con molto ardir giá spinto sotto
a la torre, onde il passo era guardato:
quei de la torre aveano il ponte rotto
da un canto, e ’l varco stretto indi serrato,
e ’l difendean da merli e da finestre
con dardi, mazzafrusti, archi e balestre.

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23
     Il capitan de la petronia gente,
ch’era un omaccio assai polputo e grosso,
gridava da la ripa del torrente
ai suoi, ch’eran fermati, a piú non posso.
— Perché non seguitadi alliegramente?
Avídi pora di saltar un fosso?
O volídi restar tutti a la coda?
Passadi, panirun pieni di broda. —
24
     Cosí dicea, quand’ecco in vista altera
vide giugner Gherardo a l’altra riva;
onde a destra piegar fe’ la bandiera
contra ’l nemico stuol, ch’indi veniva;
e confidato ne l’amica schiera,
i cui tamburi giá da lunge udiva,
spinse da l’alta sponda i suoi soldati
dal notturno cammin stanchi e affannati.
25
     Allor Gherardo a’ suoi diceva: — O forti,
ecco Dio che divide e che confonde
questi bedani; udite i lor consorti
che sono del Panáro anco a le sponde.
Prima del giugner lor, questi fien morti,
pochi e stanchi, e ridotti entro a quest’onde.
Seguitatemi voi; ché larga strada
io vi farò col petto e con la spada. —
26
     Cosí dicendo, urta ’l cavallo, e dove
la battaglia gli par piú perigliosa,
si lancia in mezzo a l’onda, e ’n giro move
la spada fulminante e sanguinosa.
Non fe’ il capitan Curzio tante prove
sotto Lisbona mai né su la Mosa,
quante ne fe’ tra l’una e l’altra ripa
Gherardo allor su ’l popolo dal Sipa.

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27
     Uccise il Bertolotto, e ’l corpo grasso
spirò ne l’acqua fresca e fu l’orrore
de l’acqua ch’abborriva, in su quel passo,
de l’orror de la morte assai maggiore.
Uccise appresso a lui mastro Galasso,
cavadenti perfetto e ciurmatore;
vendea ballotte e polvere e braghieri:
meglio per lui non barattar mestieri.
28
     Senza naso lasciò Cesar Viano,
fratel del podestá di Medicina;
e d’un dardo cader fe’, di lontano
trafitto, un figlio del dottor Guaina;
indi ammazzò il barbier di Crespellano,
che portava la spada a la mancina;
e mastro Costantin da le Magliette,
che faceva le gruccie a le civette.
29
     Un certo bell’umor de’ Zambeccari
gli diede una sassata ne la pancia,
e a un tempo Gian Petronio Scadinari
gli forò la braghetta con la lancia;
la buona spada gli mandò del pari,
come se fosse stata una bilancia,
ch’a l’uno e l’altro tagliò il capo netto,
e i tronchi ne la rena ebber ricetto.
30
     Qual giá su ’l Xanto il furibondo Achille
fe’ del sangue troian crescer quell’onda,
o Ippomedonte a le tebane ville
fe’ de l’Asopo insanguinar la sponda,
tal il giovane fier l'onde tranquille
fa rosseggiar del sangue ostil che gronda:
ma da la tanta copia infastidita
diede la Musa a pochi nomi vita.

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31
     L’oste dal Chiú, Zambon dal Moscadello,
facea tra gli altri una crudel ruina;
una zazzera avea da farinello,
senz’elmo in testa e senza cappellina:
si riscontrò con Sabatin Brunello,
primo inventor de la salciccia fina,
che gli tagliò quella testaccia riccia
con una pestarola da salciccia.
32
     Bordocchio intanto il fiume avea passato,
soverchiand’ogn’incontro, ogni ritegno;
quando del Potta, che venía, fu dato
da la torre a Gherardo e agli altri il segno.
Se n’avvide Bordocchio, e rivoltato
di ripassare a’ suoi facea disegno;
ma ne l’onda il destrier sotto gli cade,
e rimase prigion fra cento spade.
33
     Quei ch’erano con lui dianzi passati
dal figlio di Rangon tutti fûr morti,
e giá gli altri fuggian rotti e sbandati,
del mal consiglio lor, ma tardi, accorti;
quando in aiuto da’ vicini prati
vider venir correndo i lor consorti,
che del Panáro a la sinistra sponda
passâr piú lenti, ov’è piú cupa l’onda.
34
     Gian Maria de la Grascia, un furbacciotto
ch’era di quella squadra il capitano,
come vide fuggir dal campo rotto
quei di Bordocchio insanguinando il piano,
rinfacciò lor con dispettoso motto
la fuga vile e l’ardimento insano;
e furioso i suoi quindi spingendo,
fe’ de’ nemici un potticidio orrendo.

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35
     Radaldo Ganaceti era su ’l ponte
con molti suoi per impedir il passo,
e insieme col destrier tutto in un monte
fu da la sponda ruinato al basso.
Voltò Gherardo a quel rumor la fronte,
e in aiuto de’ suoi venía a gran passo,
quando comparve ’l Potta al suon di mille
corni, gridi, tamburi e trombe e squille.
36
     Si raccoglie il nemico, e si ritira
al terror di tant’armi, al suono, ai lampi;
ma l’incalza Gherardo, e al vanto aspira
d’aver col suo valor rotti due campi:
corre a destra, a sinistra, urta, raggira
il destriero, e di sangue inonda i campi:
rotta ha la spada, e porta ne lo scudo
cento saette, e mezzo ’l capo ha ignudo.
37
     Ma tratta da l’arcion ferrata mazza,
Fantin Vizzani e Prospero Castelli,
Astor de l’Armi e Taddeo Bianchi ammazza
e ’l cavalier Martin de gli Asinelli.
A questi spada, scudo, elmo e corazza
fece levar, ch’eran dorati e belli,
per onorarsen poi: ma veramente
fu peccato ammazzar sí nobil gente.
38
     Spinte il Potta in aiuto in tanto avea
le prime insegne ai Gemignani stracchi;
ed egli verso il ponte, ove parea
che piú fossero i suoi deboli e fiacchi,
sopra una mula a piú poter correa,
che mordendo co’ piè giucava a scacchi;
quando ferito fu d’una zagaglia
quel de la Grascia, e uscí de la battaglia.

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39
     Poiché mirò de’ capitani suoi
l’un fatto prigionier, l’altro ferito
la progenie antichissima de’ Boi,
e si vide ridotta a mal partito,
que’ valorosi, che facean gli eroi,
senza aspettar chi lor facesse invito,
chi a cavallo, chi a piè per la campagna
si diedono a menar de le calcagna.
40
     Ma ratto fu con una ronca in mano
il Potta lor, come un demonio, addosso
e tanti ne mandò distesi al piano,
che ne fu il ciel de la pietá commosso.
Quel fiume crebbe sí di sangue umano,
che piú giorni durò tiepido e rosso,
e dove prima il Fiumicel chiamato,
fu da poi sempre il Tepido nomato.
41
     Tutto quel dí, tutta la notte intiera,
i miseri Petroni ebber la caccia;
ne coperse ogni strada, ogni riviera
Manfredi Pio, che ne seguí la traccia.
Con trecento cavalli a la leggiera
con tanto ardire il giovane li caccia,
che su ’l primo sparir de l’aria scura
si trovò giunto a le nemiche mura.
42
     La porta San Felice aperta in fretta
fu a’ cittadini suoi, ch’erano esclusi;
ma tanta fu la calca in quella stretta,
che i vincitori e i vinti entrâr confusi.
Quei di Manfredi un tiro di saetta
corser la terra, e vi restavan chiusi,
s’ei da la porta, ove fermato s’era,
non li chiamava tosto a la bandiera.

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43
     Spinamonte del Forno e Rolandino
Savignani e Aliprando d’Arrigozzo
de’ Denti da Balugola e Albertino
Foschiera e Calatran di Borgomozzo,
affannati dal caldo e dal cammino,
trovâr non lunge da la porta un pozzo;
e una secchia calâr nuova d’abete
per rinfrescarsi e discacciar la sete.
44
     La carrucola rotta e saltellante,
e la fune annodata in quella mena,
e l’acqua ch’era assai cupa e distante,
feron piú tardi uscir la secchia piena:
le si avventaron tutti in un istante,
e Rolandino avea bevuto a pena,
quand’ecco a un tempo da diverse strade
fûr lor intorno piú di cento spade.
45
     Scarabocchio, figliol di Pandragone,
Petronio Orso e Ruffin dalla Ragazza
e Vianese Albergati e Andrea Griffone
venían gridando innanzi: — Ammazza, ammazza; —
ma i potteschi giá pronti in su l’arcione,
d’elmo e di scudo armati e di corazza,
strinser le spade e rivoltâr le facce
a l’impeto nemico e a le minacce.
46
     E Spinamonte, che la secchia presa
per bere avea, spargendo l’acqua in terra
e tagliando la fune ond’era appesa,
se ne serví contro i nemici in guerra;
con la sinistra man la tien sospesa
per riparo, e con l’altra il brando afferra.
L’aiutano i compagni, e fangli sponda
contra il furor che d’ogni parte inonda.

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47
     Lotto Aldrovandi e Campanon Ringhiera
gridavano ambidue: — Canaglia matta,
lasciate quella secchia ove prim’era,
o la bestialitá vi sará tratta. —
— Fatevi innanzi voi, disse il Foschiera;
notate la consegna che v’è fatta. —
E ’n questo dire, un manrovescio lascia,
e taglia a Campanone una ganascia.
48
     Non fu rapita mai con piú fatica
Elena bella al tempo di Sadocco,
né combattuta Aristoclèa pudica,
al par di quella secchia da un baiocco.
Passata a Calatran fu la lorica,
sí che nel ventre penetrò lo stocco,
d’un fiero colpo di Carlon Cartari,
falciatore sovran de’ macellari.
49
     Rolandino ferí d’un sopramano
Napulion di Fazio Malvasia,
ed egli a lui storpiò la manca mano
con una daga che brandita avia.
Se di Manfredi un poco piú lontano
era il soccorso, alcun non ne fuggía:
restò ferito quel de la Balugola,
e del tanto gridar gli cadde l’ugola.
50
     Manfredi in su la porta i suoi raccoglie,
e l’inimico stuol frena e reprime,
e poiché dal periglio si discioglie,
torna, e ripassa il Ren su l’orme prime;
né potendo mostrar piú degne spoglie,
in atto di trofeo leva sublime
sopra una lancia l’acquistata secchia,
ché presentarla al Potta s’apparecchia;

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51
     parendo a lui via piú nobile e degno
de la vittoria aver su ’l chiaro giorno
corsa Bologna, e trattone quel pegno
che sarebbe a’ nemici eterno scorno.
Da la Samoggia un messo a darne segno
a Modana spedí senza soggiorno;
e tosto la cittá si mise in core
di girgli incontro e fargli un bell’onore.
52
     Era vescovo allor per avventura
de la cittá messer Adam Boschetto,
che di quel gregge avea solenne cura,
e ’l mantenea d’ogni contagio netto;
non dava troppo il guasto a la Scrittura,
ed era entrato al popolo in concetto
che in cambio di dir vespro e matutino
giucasse i benefici a sbarraglino.
53
     Questi, poiché venir dal messaggiero
con quella secchia udí l’amica gente,
tolta per forza a un popolo sí fiero
di mezzo una cittá tanto possente,
si mise anch’egli in ordine col clero
per girla ad incontrar solennemente,
e si fe’ porre intorno il piviale,
ch’usava il dí di Pasqua e di Natale.
54
     Un superbo robon di drappo rosso
si mise il Potta e una beretta nera,
che mezzo palmo largo e un dito grosso
avea l’orlo d’intorno a la testiera;
gli Anziani appo lui col lucco in dosso
seguivano a cavallo in lunga schiera
sopra certe lor mule afflitte e grame,
che pareano il ritratto della fame.

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55
     Gli portava dinanzi un paggio armato
la spada nuda e la rotella bianca,
e avea dal destro e dal sinistro lato
i due primi Anzian, teste di banca;
lo stendardo del popolo spiegato
portava il conte Ettòr da Villafranca,
giovinetto che Marte avea nel core
e ne la bocca e ne’ begli occhi Amore.
56
     Due compagnie di lance e di corazze,
una dinanzi e l’altra iva di dietro.
I cursori del popol con le mazze
facevan ritirar le genti indietro,
che correan tutte a gara come pazze
a la vicina porta di San Pietro,
per veder quella secchia a la campagna,
credendosi che fosse una montagna.
57
     In ultimo cinquanta contadine
con le gonelle bianche di bucato,
ne le canestre lor di vinco fine
portavan pane, vin, torta in buon dato,
uova sode, frittate e gelatine,
al famoso drappello affaticato
che venía con la secchia; e cosí andando
giunsero a la Fossalta ragionando.
58
     Quivi trovâr che ’l prete de la cura
gía confortando ancor gli agonizzanti;
gli assolvea da’ peccati, e ponea cura,
fra i paterni ricordi onesti e santi,
se ’n dito anella avean per aventura,
o ne le borse o nel giubbon contanti;
e per guardargli da gli furti altrui,
gli togliea in serbo e gli mettea co’ sui.

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59
     Manfredi in tanto apparve, e conducea
distinta a coppia a coppia la sua schiera.
Portar la secchia in alto egli facea
da Spinamonte innanzi a la bandiera;
e di mirto e di fior cinta l’avea,
sí che spoglia parea pomposa e altera.
Subito il Potta il corse ad abbracciare
dicendogli: — Ben venga mio compare. —
60
     Indi gli chiese come avea potuto
con quella secchia uscir fuor di Bologna,
che non l’avesse ucciso o ritenuto
quel popolo per ira o per vergogna.
Disse Manfredi: — Iddio sa dare aiuto
a chi si fida in lui, quando bisogna:
il nemico a seguirci ebbe due piedi,
e noi quattro a fuggir, come tu vedi. —
61
     Fêr poi le Cataline il lor invito
su l’erba fresca d’un fiorito prato,
e perché ognun moriva d’appetito,
in un’avemaria fu sparecchiato.
Finita la merenda, e risalito
a cavallo ciascuno al loco usato,
ripresero il cammino in vêr la porta,
raccontando fra lor la gente morta.
62
     Sotto la porta stava Monsignore
con lo spruzzetto in man da l’acqua santa,
e intonando la laude in quel tenore,
che fa il cappon quando talvolta canta.
Quivi smontaro tutti a farli onore,
e l’inchinâr con l’una e l’altra pianta,
e a suon di trombe se n’andâr con esso
a render grazie a Dio del gran successo.

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63
     Ma la secchia fu subito serrata
ne la torre maggior dove ancora stassi,
in alto per trofeo posta e legata
con una gran catena a’ curvi sassi;
s’entra per cinque porte ov’è guardata,
e non è cavalier che di lá passi
né pellegrin di conto, il qual non voglia
veder sí degna e gloriosa spoglia.