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112 | emilio salgari |
i più bei rappresentanti, coi Comanci, della razza rossa dell’America settentrionale.
In pochi istanti si disposero dinanzi all’entrata del rifugio, in modo da impedire al terribile animale ogni scampo, poi uno, più ardito degli altri, vi penetrò tenendo imbracciato il suo winchester.
I suoi compagni erano rimasti fuori colle scuri alzate, sulle quali armi forse contavano meglio che sui fucili.
Il Corvo, poichè apparteneva alla razza di Nube Rossa, scaricò dentro il covo tutti i dodici colpi della sua arma, sparando all’impazzata, ma ad un tratto si sentì precipitare addosso una massa enorme che lo strinse furiosamente fra le zampe poderose.
Il vecchio Jonathan, quantunque avesse ricevuto non poche palle fermatesi nella sua cotenna, aveva sorpreso il cacciatore, avvinghiandolo strettamente.
Il disgraziato aveva mandato un urlo spaventevole ed aveva subito cercato di svincolarsi. La bocca del grizzly, armata di lunghi denti gialli, forti come l’acciaio, si era prontamente chiusa intorno al suo cranio.
Si udì un crac lugubre e l’uomo si abbandonò.
La sua testa era stata schiacciata come una nocciuola e la materia cerebrale era schizzata come il sugo d’un limone.
Compiuta la sua vendetta, il terribile animale lasciò cadere il nemico e si scagliò furiosamente fuori, urlando spaventosamente, risoluto ad aprirsi il passo e a rifugiarsi nella grande foresta.
Ne aveva però troppi contro quel disgraziato portiere del gigantesco big-tree.
Gl’indiani, che avevano assistito alla morte quasi fulminea del loro compagno, e che erano smaniosi di vendicarlo, in un baleno lo circondarono assalendolo coi tomahawak e le carabine.
Colpi di fucile e colpi di carabina grandinavano sul vecchio abitante delle selve.
Invano avventava zampate a destra ed a sinistra, ed invano metteva in opera i suoi denti formidabili.
Crivellato dalle palle, sfondato nei fianchi dai colpi di scure che gli aprivano spaventose ferite, cadde coperto di sangue.
Un urlo spaventevole, che fece rintronare la foresta, fu il suo ultimo grido, poi allungò tutta la sua gigantesca corporatura, mentre i colpi di tomahawak continuavano a grandinargli addosso con selvaggio furore.
Il portiere del big-tree, non ostante la sua forza colossale, i suoi unghioni, i suoi denti, la sua ferocia ed il suo coraggio straordinario, era morto!...
Gl’indiani, appena atterrato il colosso, si precipitarono dentro il rifugio mandando urla di trionfo e disperdendo a calci tutte le ossa che si trovavano raccolte là dentro.
— Corpo d’un cannone sventrato!... — esclamò Turner. — Ecco che