La miseria di Napoli/Parte I - Gl'ipogei/Capitolo III. La prostituzione
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CAPITOLO TERZO.
La prostituzione.
Giunti a questo capitolo, è facile che molti, e se son donne moltissime, chiudano il libro, dicendo che certi argomenti non devonsi trattare pubblicamente. Ma a male pubblico, pubblico rimedio; ne rimedio può applicarsi a questa tremenda piaga sociale, se le donne stesse, che sono in gran parte causa della piaga, non portano allo studio di essa tutti i lumi della loro mente e del loro cuore.
Che significa la prostituzione come oggi organizzata? Significa aver appartata con leggi ideate e formulate dai soli uomini una classe d’iloti, il cui solo destino è di soddisfare ai più brutali istinti dell’uomo; e finchè le donne, che per combinazioni favorevoli si sottrassero a cotanta ignominia, non alzano la voce, protestando contro tale soperchieria dell’uomo, e non istendono la mano di sorelle alle sventurate cadute, non si può sperare pentimento da una parte, nè riabilitazione dall’altra.
Che fanno invero le donne, le quali sono additate e accettate come modelli di moralità e di purità, per venire in soccorso delle cadute? La loro condotta somiglia a quella del Fariseo, che veduto l’uomo ammalato sulla via passò per altra parte. Esse non si danno un pensiero al mondo della loro sorte: basta un solo fallo, perchè nessuna voglia la peccatrice in casa, nè come istitutrice e nemmeno come serva. Eppure tutte in proprio cuore sanno che nessuna donna cade la prima volta, se non per amore, o a cagione della suprema miseria e della fame. Prendete il mesto registro di qualunque Ufficio di Sanità e vi troverete tre categorie di casi: 1° Seduzione ed abbandono; 2° Miseria; 3° Istigazione dei mariti e dei genitori.
Dall’altra parte, queste sante signore, che non vorrebbero nemmeno che in loro presenza fossero nominate quelle infelici, come si conducono verso gli autori dei loro mali?
La riputazione di libertini non basta per escluderli dalle loro sale.
Se poi a tale riputazione aggiugnesi la nobiltà del casato, lo splendore del grado e la fortuna, costoro vi sono festeggiati, e le rispettabili madri scelgono di grand’animo fra essi i mariti delle loro figlie. Certamente una madre s’affligge di aver figli libertini; ma come adoperano esse per impedire che eglino tali divengano?
Esse, in ogni altra questione morale, inculcano nel loro cuore le massime di non rubare e di non mentire, di non ubbriacarsi, di non giocare. Ma dov’è l’insegnamento di mantenere le passioni sensuali sotto l’imperio della ragione? Dove la madre, la quale chiarisca il proprio figlio che monachismo e libertinaggio peccano ugualmente contro le leggi di natura? Che quelle passioni senza l’amore sono peccalo mortale, peccato che ha assai più attrazione per l’uomo che per la donna? Molto più urgente adunque la necessità di prevenirlo nell’età delle più fiere tentazioni. Ma la madre non se ne occupa punto per falso pudore. E il padre, se pur se ne impensierisce, contentasi d’indicare al figlio le case più sane e i giorni della visita: oppure con mezzi indiretti gli procura qualche sana ed innocente creatura, promettendo agl’infami genitori una somma sufficiente per ingannare altr’uomo o per indurlo a torsela in isposa ad ogni modo. I genitori non si sgomentano, se il loro figliuolo diventa immorale e libertino; non s’attristano eccessivamente, se esso seduce o abbandona ragazze oneste, purchè non ne sposi una senza dote, o di grado sociale inferiore al proprio. La storia della prostituzione è vecchia, si dice; ed anche ogni genere di male è vecchio; il canibalismo, l’omicidio e via via, e contro ogni altro male la società reagisce, cerca rimedio, inventa pene, applica riforme proporzionate alla civiltà propria, ma per la prostituzione si procede in ragione inversa. Sembra che le legislazioni di tutti i paesi abbiano per iscopo supremo, non di combattere il vizio, ma di provvedere che i viziosi godano l’impunità.
Fino all’anno 1864, l’Inghilterra andò immune da così immorale legislazione; pur troppo in quell’anno le leggi, già vecchie sul Continente, ottennero sanzione furtiva dal Parlamento.
Scoppiò immediatamente la protesta, e scoppiò dalle labbra d’una nobilissima donna e madre, Giuseppina Butler, che trovò subito collaboratore un segretario di Stato, un discepolo del Mazzini, James Stansfeld; e questi due nobili pionieri trovarono centinaia e migliaia di seguaci, e fra essi donne delle altissime sfere, che superata la naturale ripugnanza, e l’opposizione accanita di coloro, ai quali non garba che gli schiavi si ribellino agli oppressori, presero la parola in pubbliche adunanze e scrissero e firmarono proteste per la stampa e mandarono petizioni al Parlamento; e ogni anno i nuovi abolizionisti crescono in numero e in convinzione come in America, ove, dopo lotta tremenda che durò trent’anni e ne emerse la gran guerra civile, fu finalmente abolita la schiavitù dei Negri; e così cesserà questa schiavitù delle donne bianche.
E se l’abolizione della prostituzione tardasse, chi persiste nell’infame commercio ne subisca la pena e l’ignominia.
In Italia la stessa crociata ebbe cominciamento, iniziata anche qui dai discepoli del Mazzini, e sancita da uno dei più grandi patriotti e illustri medici della Penisola. Se non che, gli abolizionisti in Inghilterra non si restringono a una semplice agitazione contro le leggi; ma in molte città si stabiliscono Comitati di salvamento (Rescue Committee). Questi Comitati, composti nella maggior parte di donne, procuransi con ogni mezzo possibile aiuti pecuniarii, provvedendo lavoro e asilo per le ragazze pericolanti; e togliendo le cadute all’azione illegale ed arbitraria della Polizia.
E queste lacrimevoli vittime, una volta perdute, e senza speranze di riabilitazione, vengono volontaria ai membri del Comitato per aiuto e protezione.
A Devonport, ove il signor Marshall e sua moglie apersero un asilo temporaneo, proprio accanto all’Ufficio di Sanità, nel primo anno, oltre le molte donne da loro cercate e salvate, cento novantuna vittime presentaronsi ad esso, varianti in età da’ tredici a’ quarantasei anni.
Leggendo il giornale tenuto da coteste persone, c’è da piangere su certi casi. M. H., di sedici anni, senza mezzi di sussistenza, còlta dall’agente nel momento del suicidio, condotta all’asilo e provveduta.
H. E., di quattordici anni, morente di fame e quasi ignuda.
E. M., di venti anni, dopo passati due giorni nelle strade senza cibo, venne da sè all’asilo.
E.P., risoluta di torsi la vita a diciott’anni, piuttosto che farsi prostituta.
E. N., di sedici anni, orfana, sulla strada per quattro notti, senza cibo per ventiquattro ore.
E. A. B., di tredici anni, venne dalla provincia i Londra con altre due compagne. Elleno vendettero i loro abiti; adocchiate dalla Polizia speciale, condotte alla visita; due immantinente registrate come prostitute. All’Ufficio stesso alcune delle anziane, commosse dalla tenera età della A. B., la condussero all’asilo.
E. C., di diciotto anni, orfana, perseguitata dalla Polizia speciale, si presentò all’asilo con queste parole: «Non ho tetto, non ho cibo, non vorrei gettarmi al male, salvatemi.»
A. A. M., figlia d’un avvocato, orfana, morente di fame, disse che la Polizia non le diede pace e non potè stare in nessun sito, la Polizia minacciando le persone che l’alloggiavano. Per dieci giorni e notti ramingo sulle vie. Fu tenuta nell’asilo, finchè ricuperò le forze; ora è istitutrice rispettata e contenta in una famiglia di Cornovaglia. E non sembra questa un’opera degna del cuore della donna? Non procurerebbe alla donna le lodi, onde il Cristo, in cui esse fanno professione di credere, rimeritò il buon Samaritano? E come possono mettersi all’opera, se ricusano di conoscere le cause e gli effetti di così orrenda piaga sociale?
Non mi proposi, ne sarebbe ora il caso, di ripetere le argomentazioni degli abolizionisti e degli anti-abolizionisti. Basti dichiarare che io mi schierai sotto la bandiera dei primi: indottavi da considerazioni a priori, confermate da fatti che mi accadde di vedere.
Il right honorable James Stansfeld, dopo aver protestato contro la legge dal punto di vista morale e costituzionale, dimostra l’assoluta inutilità di essa dal punto di vista igienico. In un opuscolo sulla Statistica esposta annualmente dal Governo inglese intorno all’azione di questa legge, si prova la fallacia e il sofisma di tali statistiche: si prova che la diminuzione nelle malattie, e apparentemente nella prostituzione, devesi ad altre cause, non alle leggi, e che essendo le leggi applicate in Inghilterra solamente in sedici distretti, se in essi il numero delle prostitute diminuì, gli è perchè le infelici per isfuggire alle atroci regole se ne andarono altrove.
Dall’altra parte sussiste l’evidenza, che rendendo innocue le conseguenze di un vizio al vizioso si rieccita la tentazione e si moltiplica il numero dei viziosi. Ma se avessi mai titubato su questa materia, prima della mia visita a Napoli, se per avventura diedi troppa importanza alla questione igienica e parvemi più autorevole il voto dei medici di quello dei filantropi, dopo la visita rimasi convinta non solo dell’immoralità di quelle leggi stimolatrici del vizio, ma altresì della loro inutilità rispetto all’igiene.
Coll’ordine speciale del Ministro dell’Interno sono stata abilitata ad esplorare l’Ufficio Sanitario ed i suoi registri, ad interrogarne i medici e gli uffiziali addetti, a visitare il Sifilicomio e le case delle tre categorie, in cui sono relegate queste infelici.
Or la penosa investigazione da una parte, e le visite notturne nei bassi quartieri della città, altrove descritti, m’impressero nell’animo che Napoli offre agio allo studioso di questa desolante materia di verificare uno stato di cose derivato dall’impero della legge, eseguita a puntino; e dall’altra parte, lo spettacolo non meno ributtante delle città marittime d’Inghilterra, posteriormente alla legge sulla prostituzione.
A Napoli vi ha la prostituzione legale, che fruita larga somma al Governo; e finchè governava il Ministero ultimo, non un soldo distraevasi per rendere abitabile un solo asilo a favore di quelle sventurate, le quali si rifiutassero alla mesta e penosa professione o cercassero di uscirne.
Le meretrici registrate sono in piena balìa delle infami tenitrici di postriboli e della Polizia; quelle e questa solamente frenate dal maggiore o minor senso di giustizia dell’Ispettore capo dell’Ufficio Sanitario.
Colui che sopraintendeva all’Ufficio durante il mio soggiorno, e mi fu largo di notizie e di lumi, e difatti mi conduceva nelle dolorose gite, era per buona sorte uomo giusto e pietoso, nè mai lagnanza di veruna delle disgraziate giacque negletta; all’incontro, ad ognuna faceva seguito una severa inchiesta.
Quando, per esempio, una di loro esprimeva il desiderio di voler ritirarsi o tornare a’ suoi parenti o ridursi in altro paese, egli non permetteva mai che il suo debito verso la casa ne la impedisse: dimostrando sempre che quelle inumane megere trafficatrici si erano già lucrato il cento per cento sulle loro clienti; ed egli non permetteva mai che la Polizia registrasse per forza una ragazza, la quale potesse in qualsiasi forma provare di possedere mezzi di sussistenza, o anche un protettore.
Ma è giusto e prudente abbandonare così numerosa classe in pieno arbitrio d’un sol uomo?
Della pubblicità e dell’atrocità delle visite è impossibile parlare, nè credo che vi abbia chi dopo di avervi assistito una sola volta sentasi da tanto di sottomettersi ad una seconda prova.
Un solo quesito vorrei porre: dove il vantato beneficio igienico, quando lo stesso speculum serve per sani e per infetti?
Passando al Sifilicomio, nulla c’è a dire intorno alla cura, alla mondizia, alla disciplina; le quali cose, del resto, potrebbero ottenersi avendo sale separate negli ospedali comuni. Ma anche in ciò non si ottiene lo scopo speciale, per cui, al costo di più d’un milione all’anno, si fondarono i Sifilicomii. Vuolsi con essi impedire il contagio: se non che i figli nati di donne, mandate a partorire nei Sifilicomii perchè infette, sono immediatamente spediti all’Orfanotrofio dell’Annunciata, col pericolo d’infettare le balie, le quali allattano sempre due, e talvolta tre bambini. Interrogai molte delle ammalate; trovai generalmente un cinismo che sarebbe ributtante, se non si riflettesse che codeste sventurate sono ridotte al bivio — o cinismo o suicidio.
La risposta di una mi fece impressione. Era una bella contadina di circa venticinque anni. Questa, mi disse uno dei chirurghi, ha subito una operazione e per miracolo non è morta, eppure ritornò allo stesso mestiere. Ella vòltasi con fiero piglio: «Io che altro posso fare? Non son costretta a prendere il libretto nell’istante, in cui mi licenziate? Non debbo servirmene se voglio? Mi dareste voi lavoro onesto, se anche fossi morente di fame?» Il chirurgo non rispose, nè poteva rispondere.
Sulla scala incontrai fra le nuove venute di quel giorno una bellissima ragazza, che non aveva ombra d’indizio delle cause che avrebbero dovuto condurla in quel luogo. Non dimostrava quattordici anni.
La fermai e le parlai. Mi disse che cominciò a undici anni ad esercitare il mestiere, ch’era malata, e veniva di propria volontà ad esservi curata, non avendo ancora l’età che autorizza la Polizia a spingervela. Io le domandai se fosse orfana, e risposemi di no, soggiungendo che sua madre le fece patire la fame. Domandai da capo se, potendo trovare lavoro non troppo faticoso, avrebbe abbandonato il mestiere. «Vi pare! — rispose: — fra tre mesi avrò il libretto.» Questa risposta mi fece inorridire più di qualunque altra intesa da quelle disgraziate. E ci volevano le ripetute gite nei fondaci, nei bassi e nei sotterranei per non risguardare quella ragazza come un essere anormale; ma ripensando ai covili, ove tutta una famiglia dorme nello stesso letto, e varie famiglie nella stessa stanza, mi persuasi che ella non aveva perso il senso morale, ma che non aveva mai potuto conoscerlo vivendo in un ambiente, ove, come abbiamo detto altrove, la prostituzione è un mestiere come un altro; mestiere unico per non morire d’inedia. Le ragazze, sedotte per la prima volta, ignare tuttavia del male o del bene, si dànno naturalmente a quel commercio, che procura loro cibo e comparativo agio.
Fino a sedici anni la Polizia non può intromettersi, non può registrare una ragazza; sicchè elleno vivono a casa o nelle strade, d’onde le sfrenate oscenità che ad ogni passo s’incontrano. Nè solamente queste fanno spettacolo pubblico di vizio, ma le poverissime, che si vendono per un grano o due, dormono sul lastrico o negli alloggiamenti. Domandai all’Ispettore come mai tale pubblicità sussista in un paese, ove leggi speciali sono in vigore. Mi rispose questi, che ci vorrebbe un reggimento di poliziotti per dare loro la caccia ogni notte, e sarebbe mestieri fabbricare nuove prigioni per rinchiudervele, e che i suoi subalterni facevano quel che potevano.
Le prostitute registrate non superano le tremila; superano il doppio le clandestine. Anche qui l’Ufficio Sanitario non pretermise cura per iscoprirle. L’Ispettore più d’una volta si dolse con certi giovani, richiamando la loro attenzione sulle malattie fisiche, a cui essi espongonsi. Costoro risposero: «Che volete! il libretto ci spoetizza.» Povera poesia! Egli mi disse un giorno: «Spesso, e in passato ancora più d’adesso, giovani del basso popolo innalzavano voti a San Gennaro per ottenere certi favori, cioè la guarigione di una malattia o certi guadagni, per isposare una trovatella o una prostituta.» E ogni volta che ciò accade, e l’Ispettore osservò la condotta di parecchie di tali spose, gli venne provato che esse divengano mogli esemplari, e sono di tale una severità colle proprie figlie quale non si riscontra in altre madri del basso ceto. Il Regolamento esercita un’altra pessima influenza sulle povere. Alludo a povere, operaie oneste, e non lazzarone, le quali guadagnano a stento la vita, lavorando quanto le contadine della Venezia e della Lombardia.
Andai un giorno in un vicolo abitato da esse per verificare il motivo che allontanava i ragazzi e le ragazze dalle scuole elementari. Mi fu posta sotto gli occhi l’impossibilità di vestirli e di calzarli, e mi si narrarono le difficoltà e le spese occorrenti per ottenere dal Municipio le fedi di nascita necessarie. Non si può nemmeno varcare la soglia della porta municipale senza mancia al bidello.
Il vicolo sboccava proprio in Toledo, e durante il colloquio passava una carrozza di prostitute che andavano alla visita. «Quelle sì, — dissero le mie interlocutrici, — sono le beniamine del Governo, hanno case, vesti, carrozza, ospedale per riceverle malate. E se di prima classe, i medici le visitano fino in casa. E con esse i nostri mariti sciupano la nostra sostanza, ed esse ce ne alienano i cuori. Dobbiamo provvedere noi e sopperire a ogni cosa per i figli, fin che piccoli. E quelle signore ci seducono anche i maschi quando adulti. E il loro lusso e il loro ozio sono spettacolo micidiale alle nostre figliole. E le padrone di quelle case adoperano ogni arte per indurle a imitarne l’esempio.»
Che rispondere a tali lamenti?
Come spiegare la distinzione fra il tollerare, il sancire, il premiare e promuovere il vizio?
Insomma al Regolamento delle prostitute non viene e non può venir fatto, neppure con spionaggio alla francese, di arrestare e confinare una terza parte di costoro. E quand’anche potesse, troveremmo il Regolamento ugualmente immorale e fautore d’immoralità. Ma non potendo, l’infausto Regolamento si chiarisce inetto al fine prefisso. Non rimane pertanto via di mezzo. È necessaria la sua abolizione immediata, e contemporaneamente bisogna trar partito di tutti i mezzi del Governo, delle Istituzioni di carità e degl’individui benevoli, per rimuovere le cause che conducono le donne al mal passo, e per punire i viziosi e i manutengoli che ve le spingono.
Riordinato il sistema generale del pauperismo in Italia, questa famiglia d’infelici rinverrà naturalmente il proprio posto nella categoria, a cui lo Stato deve pensare e provvedere, senza che una legge particolare la contempli.