X. I martiri dello stomaco

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IX XI

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X.

I martiri dello stomaco.


La Giovanna (una delle venditrici del mattino) è una bestia da tiro. Suo marito, il pescatore, sembra un bruto. La loro casa è un porcile, benchè non posseggano il porco: ma le mirice, cioè i tamarischi, vi crescono attorno, e il mare vi alita la sua purità.

Egli, il marito, è pescatore di spiaggia: d’estate coglie le telline; d’inverno, le poveracce. Per tale pesca conviene arare col ferro la rena, andando indietro come fa il diavolo, e stando immersi sino alla cintola. (Sua moglie usa un altro vocabolo). Ma se questa parte del corpo è sempre in molle, l’altra si vendica poi ignorando l’esistenza dell’acqua — se non fu quella battesimale.

La Giovanna, la bestia, corre poi a vendere il pesce col cestello difeso da frasche di acacia, scalza, discinta, violenta. Il volto pallido ed emaciato, reca ancora gli ultimi segni di una sfiorita bellezza, quella bellezza della pura linea antica, che quivi è comune. Ora se la prende con l’olio che è caro; ora coi [p. 134 modifica]signori che fanno il bagno per diletto, mentre suo marito vi deve star per forza, in molle. Si adira anche col mare che una volta aveva telline, cannelli, rombi; ora non c’è che rena e ghiaia.

— E fruga, e fruga. Tuo marito ha guastato fin la cria dei frutti di mare.

— E cosa sta a fare quello lassù, allora, se non sa nè meno far nascere i pesci? Per far cantare i preti? Ecco, intanto, da mezzanotte a quest’ora quello che ha raccolto quel disgraziato, mentre voi, boia di signori, dormivate!

Ma, sopratutto se la prende con la sua maternità, che seguita a fiorire una volta all’anno.

Quanto alla domanda «che cosa sta a fare Iddio», io non ero in grado di rispondere. Quanto alla fioritura annua della sua maternità, mi permisi alcune osservazioni discrete e sagaci e: — Per esempio, quando siete andata col vostro marito a cogliere la brulla nella valle (vanno questi pescatori con una barca nei paduli del Po, segano la tenace acuta brulla, ne caricano la barca tanto che a piena si può issare la vela rossa; ritornano, stendono detta erba al sole, la seccano e così è fatto il combustibile per l’inverno: dono gratuito della terra selvaggia alla selvaggia [p. 135 modifica]gente; ma conviene stare due giorni in barca, accovacciati entro la brulla che opera come una fustigazione, ed un giorno nel padule, riarso e salso), voi ne siete partiti in due e siete tornati in tre. Usate prudenza un’altra volta! — E crollai il capo, rimproverando e stringendo le labbra.

Ma ella mi guardò in atto di sfida e mi puntò l’indice contro, con un sorriso schernevole: quindi mutando la direzione del dito, cioè elevandolo al cielo, disse:

— Soltanto in questo il Signore ha adoperata un po’ di giustizia anche coi poveri! Io, però, vorrei sapere, boia di signori, come è che voialtri non ne avete più di uno o due di figliuoli, due, uno...., uno, due, e mai di più. Noi, invece....

— Quanti figliuoli avete?

— Chi si ricorda? Una gran massa! Bisogna venire a contarli all’avemaria quando vengono a dormire, ed a mezzogiorno, quando vengono a vedere se da mangiare c’è qualche cosa. Di giorno chi li vede mai? Viviamo tutti come le bestiole. Addio. Bella vita stare lì in poltrona col libro in mano! Eh! mi ha da sentire quello lassù, se ci incontreremo! (E minacciava il gran vuoto, azzurro, dove è collocato Iddio).

Quindi si allontanò per le dune.

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*


Ora, un mezzogiorno io passavo lungo il sentiero del bellissimo fiume presso alla foce, e mi accompagnava melanconicamente un dabbene signore, il quale da tempo è infermo di nefrite.

Ad un tratto una voce chiamò arditamente.

— Signore, o lei, signore, che venga qua a vedere!

Era la Giovanna, dietro la folta siepe dei tamarischi, che mi chiamava, e agitava un gran mestolo di legno. E poi aggiunse:

— Questa volta ci siamo tutti! venga a vedere, signore!

Andammo. Nascosta quasi dai tamarischi s’elevava dal suolo, appena col colmo del tetto, una serie di abitazioni di trogloditi: una specie di ghetto, come qui chiama il popolo questi diroccati abituri.

Dove il muro dava un po’ d’ombra, sedeva a terra il marito della Giovanna, e fra le gambe si teneva una grande terrina nera di coccio; e la testa — era china — si levò verso di noi appena per sorriderci; un riso rudimentale, che avrebbe potuto segnare il passaggio evolutivo fra il bruto e l’uomo.

Un gruppo di marmocchi gli spuntava e gli si arrampicava intorno (pari alla figura di un [p. 137 modifica]antico dio fluviale). Ognuno intingeva un cucchiaio di stagno nella broda, curando che fosse ben raso, ma i più piccoli, per l’ingordigia del mangiare, ne versavano metà in bocca e metà su l’unica veste, oramai grommata di mocci e di pappa.

Sul limitare della capanna, la Giovanna aveva posato uno di quei lattoni da petrolio e ne vaporava il fumo e l’acre odore della cipolla soffritta.

— Ecco quello che si mangia noi, guardate, — ella disse, e prendeva così con la mestola la broda, e la faceva lentamente ricadere schizzando: — bucce di pomidoro, patate che avanzano ai porci, strozzapreti fatti col rèmolo, fagioli e acqua di mare, per non consumare il sale! Anche quella, boia d’un mondo, non si può portar via! Bisogna rubarla, e sì che ce ne è del mare! Avete visto? E poi il prete dice che anche noi siamo cristiani.

— E il condimento?

— Sì! Bel condimento! con un soldo d’olio si dà la benedizione in croce per due volte. Ma oggi stia buono che l’è festa: m’hanno dato per carità delle cotiche rancide, e l’ha un odore! Non vede come è buona? Più ne butto (e scodellava intanto), più ne mangerebbero. Bisognerebbe farne un mastello, come si fa per il maiale.

[p. 138 modifica]— E non gli fa male? — chiesi accennando l’uomo.

— Male? — ella rispose per lui. — Lascia che mangi, questo disgraziato.

— Male? Male fa a non mangiare, — disse l’uomo. — Oh lei, quel signore, — aggiunse ammiccando al mio compagno, — vuole favorire? Giovanna, porta qua una scodella.

— No, grazie, — disse il mio compagno, sorpreso d’essere stato sorpreso.

— Ma che cosa vuoi che un signore mangi quella roba lì! — rimproverò la Giovanna.

— To’! Vedo che guarda, — disse naturalmente l’uomo. — E poi l’è miga vera? Di fuori io sono povero e loro sono signori; ma dentro, nella cassa, — e indicava la macchina organica, — non c’è poi questa gran differenza!

— Non capisci che loro guardano perchè noi si mangia come le bestie? — corresse lei.

— Ah, se è per questo, — e il pescatore riprese il suo cucchiaio, come dire: «guardate pure».

— Io guardavo infatti, — mi avvertì sottovoce il compagno. — Lei non lo crederà, — proseguì dopo essere rimasto alcun tempo col capo chino, rivolto a me, — ma io darei cento volte il mio patrimonio, la mia riputazione, tutto, per poter mangiare; quella broda lì. A [p. 139 modifica]lei, scommetto, fa nausea, eh? Per me invece è un profumo delizioso!

— A questo punto?

— A questo punto, oh sì! Sono confessioni seccanti, mah! Io, — riprese, — sono condannato al latte. Una delle due: o morire, o, se voglio prolungare la vita, latte. E questo perchè? Perchè i miei reni non operano più! Quando vedo nelle vetrine dei salumai certe fiamminghe piene di arnioncini da vendere, io mi sento impazzire! Poterne sostituire un paio coi miei! Voi altri trovate tante ragioni per criticare la conformazione del mondo e della società: il mondo è perverso, la vita è triste, ecc. Io? io se potessi sostituire i miei reni ammalati con quelli sani di un suino, io sarei un essere felice e il mondo sarebbe un paradiso! Come? lei ha i reni sani e non salta di gioia? dico a lei, sa? Lei fra poco va a casa, vero?

— Sì, — dissi io sorpreso da quella specie di convulso che era nelle sue parole.

— Trova il pranzo pronto. Vi sarà una minestra, un piatto di pesce, un arrosto, che so io....

— Lo spero.

— E non si sente felice? Ah, lei mi guarda come si guarda un pazzo. Io vorrei, veda, che gli uomini che pretendono di studiare la vita [p. 140 modifica]avessero prima una certa conoscenza con la patologia....

Compresi che la vista di quella gente che mangiava così beatamente gli faceva male e cercai di allontanarlo. Rispose:

— Macchè! in citta è il mio passatempo fermarmi davanti alle trattorie d’infimo grado. A me un piatto di trippa offre la stessa seduzione che ad un libertino il molleggio di un’anca ben fatta. Quel miserabile lì, veda, è un uomo felice. Osservi come fa passare lentamente la sua broda per tutte le papille gustatorie, come mastica quella grossa pasta! È buona, eh? — chiese rivolto all’uomo.

L’uomo sorrise.

— Questa volta, — spiegò, — la ha un saporino che va proprio bene! — e volgeva gli occhi alla sua Giovanna con grottesca riconoscenza.

— Se ve la portassero via....

— Ah, diventerei cattivo!

— Senza mangiare, dunque, non vi stareste?

— Meglio le botte come al somaro, che senza mangiare.

— E passa, eh?

— Se passa! — esclamò per lui la Giovanna: — ma dopo un’ora non c’è più niente! Pare molto, ma che cos’è? — e ripigliò col mestolo, — è acqua calda.

[p. 141 modifica]— E quando viene l’avemaria, — disse l’uomo, — ecco un’altra volta quel cane nello stomaco che comincia a urlare, che ha fame....

— Ma ringraziate il Signore che vi ha dato la salute, — dissi io.

— Ah, vorrei vedere che non ci fosse quella! — saltò su la Giovanna, e brandì il mestolo contro il Signore, che abita nel cielo.

L’uomo fece quietare la donna e disse rivolto a noi due:

— Tutto il male per noi sta qui: se c’è la colazione non c’è la cena; se sì rimedia un paio di scarpe, manca la camicia; si arriva a comprare un sacco di polenta e manca l’olio. Insomma, sempre manca qualche cosa. Io domando: per che cosa ci ha messo il Signore a questo mondo, noi altri poveri? Io non lo so. Non c’è abbondanza che di questi qui, — e indicò i figliuoli. — Ma che fatica farli.... (ed espresse con opposito verbo la operazione dell’alimentare).

— Quella donna in fondo è logica, — osservò il mio compagno. — Il Signore, o chi per lui, ha il dovere di dare a questa materia umana in istato grezzo, almeno la salute. Vivono come bestie; ma se ci pensa un poco, vivono più fisiologicamente di noi, quindi hanno una resistenza organica che noi non possediamo più. Che cosa vale, che un consiglio [p. 142 modifica]comunale o governativo vi fabbrichi un regolamento d’igiene; che gli scienziati studino gli agenti patogeni delle malattie, quando la nostra vita sociale ci costringe a violare continuamente le leggi del vivere naturale? Qualche volta la natura è seccata: prende a caso qualche violatore e lo stronca; rompe o stroppia un’arteria, ed ecco di un dominatore fatto un automa balbettante; ecco un lambicco dell’organismo che non lavora più, e vi trovate di fronte ad un miserabile, come è il caso mio. Io non mi dolgo mica contro la natura! Essa è fin anche troppo longanime: mi duole che se la sia presa con me individualmente, mentre ci sono tanti altri più colpevoli di me.

— Sentite, — ripigliò poi rivolto all’uomo e alla donna e contemplando i volti dei bimbi, nutriti più di luce e di pura aria di mare che di cibo, — io non voglio farvi la carità: io vi voglio dare soltanto quello che io ho in avanzo e non mi serve a niente, mentre voi non mi potete dare quello di cui ho bisogno (l’uomo, la donna, io stesso ascoltavamo senza ben comprendere). Ecco a te, ecco a te, — e così via. (Levava di tasca alcune monete d’argento e le dava con noncuranza bizzarra ai bimbi, che timidamente, e prima guardavano il babbo e la mamma, osavano prendere, la moneta misteriosa).

[p. 143 modifica]— Sangue del Signore! — sclamò la Giovanna.

All’uomo pareva che venisse da piangere. Non poco ci volle a persuaderli che non era per burla. Poi nacque — antico effetto dell’oro — diverbio fra l’uomo e la donna. La donna voleva comprare le provviste per l’inverno; l’uomo fare prima di tutto una grande mangiata.

— Sì, sì, ha ragione lui, — disse il mio compagno; — sentiamo questa mangiata, come sarà.

— Ecco! Una gran terrina così, — spiegò l’uomo, e allargava le braccia, — piena di lasagne fatte in casa, con l’uovo, e sopra tanto butirro, tanto soffritto di lardo e tanto di quel formaggio che pizzica. Poi un mezzo castrato arrosto o in umido, a piacimento.

— Con le corna e tutto, — aggiunse la Giovanna.

— Ah, — esclamò l’infermo, e levò anche lui, minacciando, la mano verso il grande azzurro dove è collocato Iddio. Perchè questo è il gesto che talora fanno gli uomini, anche se sono grandi o sapienti.