Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA.

Altra camera con varie porte.

Valentina e Tognino.

Tognino. Signora Valentina. (incontrandosi)

Valentina.   Che cosa c’è, Tognino?
Tognino. Ho da dirvi una cosa.
Valentina.   Che sì che l’indovino?
Queste due signorine, amabili, garbate,
Han di me delle cose al vecchio raccontate.
Non è così?
Tognino.   Egli è vero. Han fatto la lor parte.
Ed io tutto ho sentito tirandomi in disparte.
Valentina. Mi ha detto anche la serva, che parimenti ha udite
Parlar contro di me le due sorelle unite.

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Ma non ha ben capito l’accusa qual sìa stata.

Tognino. Hanno detto ai padrone che siete innamorata.
Che da voi Baldissera venuto è stamattina,
E che attrappare il vecchio fra di voi si destina.
Valentina. Ed egli l’ha creduto?
Tognino.   Parvemi da’ suoi detti,
Ch’ei le rimproverasse per simili sospetti.
Parvemi che scacciate partissero con duolo;
Ma fremer l’ho veduto, quando rimasto è solo.
Vedo che vi è motivo di temer, di sperare.
Ed io per vostra regola vi vengo ad avvisare.
Valentina. Davver, caro Tognino, ch’io vi sono obbligata,
E all’attenzione vostra non mi vedrete ingrata.
Ma fatemi un piacere: trovate Baldissera,
Ditegli che da me non venga innanzi sera.
Anzi che per parlare fra noi con libertà.
Di mia sorella in casa ad aspettarmi andrà.
Tognino. Volentieri, vi servo con tutto il genio mio.
Ma un favore, una grazia vo’ domandarvi anch’io.
Trovomi in un impegno con certi amici miei;
Con onor, se potessi, uscirmene vorrei.
Abbiamo stabilito pranzare in compagnia:
Deggio anch’io, come gli altri, portar la parte mia;
Non avendo quattrini, non so come mi fare,
Voi sola, Valentina, mi potete aiutare.
Valentina. Volentieri, Tognino, siete padron di tutto.
Vi darò, se volete, un pezzo di prosciutto.
Vi darò del buon vino, del meglio che vi sia.
Tutto quel che volete; la chiave è in mano mia.
Tognino. Ma che nessun di casa lo sappia.
Valentina.   O questa è buona!...
E chi l’ha da sapere? non son io la padrona?
Tognino. Due salviette vorrei e due posate ancora.
Valentina. Due posate? per chi?
Tognino.   Per me e la mia signora.

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Valentina. Hai la signora adunque?

Tognino.   L’ho certo; già si sa.
Senza un po’ di donnetta, allegri non si sta.
Valentina. Bravo, bravo, Tognino, godi, buon pro ti faccia.
Una man lava l’altra, e tutte due la faccia.
Fa per me quel che puoi, ch’io lo farò per te;
Già il padron non sa nulla, e fidasi di me.
Tognino. Vo a trovar Baldissera.
Valentina.   Digli quel che ti ho detto,
Digli che da Felicita questa sera lo aspetto;
E che mi voglia bene, ch’io gliene voglio tanto.
Lo farai di buon core?
Tognino.   Vi servirò d’incanto, (parte)

SCENA 11.

Valentina, por Felicita.

Valentina. Fino dal primo giorno la mia massima fu,

Ognor dal mio partito tener la servitù.
Se alcuno col padrone discreditarmi intende,
Ho tutta la famiglia che mi ama e mi difende.
Felicita. Oh di casa. (di dentro)
Valentina.   Chi è?
Felicita.   Sorella, siete qui? (di dentro)
Valentina. (Mia sorella Felicita. Mi secca tutto il dì.)
Sempre viene a scroccare. Vuol sempre qualche cosa,
Ed io con quel degli altri faccio la generosa), (da sè)
Venite pur, sorella. Avete soggezione?
Felicita. Temeva che vi fosse quell’arpia del padrone.
Valentina. Come state. Felicita?
Felicita.   Io sto come può stare
Una povera vedova che non ha da mangiare.
Valentina. Sempre venite a piangere.
Felicita.   Oh ca... che mi fareste
Dire degli spropositi. Se voi non lo sapeste!

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Non si vede persona venire alla mia porta.

E, quando non c’è pane, nessuno me ne porta.
Valentina. Perchè non lavorate?
Felicita.   Cosa ho da lavorare?
Quando ho fatto una calza, che arrivo a guadagnare?
Con quattro, cinque soldi si sguazza allegramente.
Valentina. Eh sorella...
Felicita.   Parlate.
Valentina.   Vi piace a non far niente.
Felicita. Uh povera minchiona! avete un bel ciarlare,
Voi che siete padrona di bere e di mangiare.
Anch’io vorrei provarmi di far la mia fortuna.
Se avessi un tal padrone, minchion come la luna.
Ma ci vuol sorte al mondo.
Valentina.   Da ridere mi viene;
Bisogna aver, sorella, volontà di far bene.
Felicita. Oh che donna di garbo, da far delle bravate!
Vi vuol poco, signora, a far quel che voi fate.
Valentina. Ho fatto più di voi; lavoro come un cane,
E mai non son venuta a domandarvi un pane.
Felicita. Oh oh, quando vivea il gramo mio marito,
Quante volte veniste a saziar l’appetito!
Valentina. A saziarmi? Ignorante! venni da voi pregata,
E del vostro contegno mi son formalizzata.
Quel poco che avevate, l’avete scialacquato,
E faceste il consorte morir da disperato.
Felicita. Certo; me l’ho goduta. E voi come c’entrate?
Valentina. S’io non c’entro per nulla, e voi non mi seccate.
Felicita. Non dubiti, madama, ch’io più non ci verrò.
Valentina. Ci venga, o non ci venga, non vo’ morir per ciò.
Felicita. (Dopo che in casa mia le do la libertà
Di venir coll’amante, mi usa tal civiltà).
(da sè, in modo di esser sentita)
Valentina. Se in casa qualche volta venghiamo a incomodarvi,
Mi par di quel ch’io faccio ch’aveste a contentarvi.

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Felicita. Certo, chi sente lei, mi mantien, poverina!

Mi mandaste in due mesi un sacco di farina.
Valentina. E il barile di vino ve lo siete scordato?
E l’affitto di casa non ve l’ho io pagato?
Quando vien Baldissera a merendar con noi,
Roba per quattro giorni non ci resta per voi?
Felicita. Già; se fate tantino1, voi mi rimproverate.
Valentina. E voi sempre chiedete, e mai vi contentate.
Felicita. Quant’è che non mi date un briciolo di pane?
Prima che darlo a me, voi lo dareste a un cane.
Valentina. Dire in coscienza vostra potete una tal cosa?
Sono stata finora per voi poco amorosa?
Ingrata vi direbbe a vostra confusione,
Se potesse parlare, lo scrigno del padrone.
Felicita. Meco voi non dovreste parlare in tal maniera,
Pensando quel che ho fatto per voi, per Baldissera.
Valentina. Appunto questa sera da voi dovea venire,
Ma non ci verrà più, lo manderò a avvertire.
Felicita. Baldissera doveva venir da me?
Valentina.   Mi preme
Parlar con esso; io pure sarei venuta insieme.
Mi bastava star seco un quarto d’ora appena.
Felicita. Se venite di sera, potete stare a cena.
Valentina. Forse s’avria cenato, ma non ci vengo più.
Felicita. Lasciam queste fandonie, e mandiamola giù.
Questa sera vi aspetto. Ho sete, Valentma,
Dammi un bicchier di vino.
Valentina.   Vino ancor di mattina?
Felicita. Oh, acqua non ne voglio.
Valentina.   Se vuoi la cioccolata....
Felicita. Beviamola, se c’è.
Valentina.   L’ho sempre preparata.
Col pretesto di dire, la fo per il padrone,
La tengo tutto il giorno a mia disposizione.

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Felicita. Amo la cioccolata, il caffè, il rosolino,

Ma più d’ogni altra cosa mi dà piacere il vino.
Valentina. Ora ne abbiam del buono.
Felicita.   Cara sorella mia,
Dammene una bottiglia, che me lo porto via.
Valentina. Volentieri, anche due. Questa sera verrà
Baldissera a trovarmi... Oh diamine! chi è là?
(osservando fra le scene)
Felicita. Baldissera. (osservando fra le scene)
Valentina. È tornato?2
Convien dir che Tognino non l’abbia riscontrato.

SCENA 111.

Baldissera e dette.

Baldissera. (Maladetta fortuna!) (da sè)

Valentina.   Non vedeste Tognino?
Baldissera. Non l’ho veduto. (Ho sempre contro di me il destino?)
Valentina. Mi parete confuso. Ditemi, cosa è stato?
Baldissera. Nulla, mi duol la testa. (Oh fante indiavolato!)
Felicita. Se venite stassera, e se cenar bramate,
A portar il bisogno più tosto anticipate.
(a Baldissera)
Baldissera. Che parlate di cena? (a Felicita)
Valentina.   Vi dirò, Baldissera:
Volea da mia sorella vedervi in questa sera.
Mandai per avvisarvi Tognino, il servitore3,
Perchè in casa si è fatto di noi qualche rumore;
E ha il padron concepito per ciò qualche sospetto.
Felicita. Dunque da me verrete, quando il padrone è a letto.
Baldissera. Se costui nulla nulla mi secca e mi molesta,
Gli do, corpo di bacco, un maglio sulla testa.
Voglio tagliar la faccia a quei che han riportato.
Che si guardino tutti da un uomo disperato.

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Felicita. (È un diavolo costui. Guarda ben, Valentina).

(piano)
Valentina. Siete molto furioso. Che avete stamattina?
Baldissera. Mi scaldo per amore.
Valentina.   Via, calmatevi un poco.
Già son vostra, il sapete.
Baldissera.   (Ah maladetto gioco!) (da sè)
Valentina. Andate, Baldissera, perchè se il vecchio viene,
S’egli vi trova meco, non averò più bene.
Baldissera. (Ha un anel nelle dita, ch’è nuovo, a parer mio).
(da sè, osservando l’anello che ha Valentina in dito)
Valentina. Andiam, venite meco. (a Baldissera)
Baldissera.   (Beccarmelo vogl’io). (da sè)
Poco fa mi è venuto da comprare un anello
Per pochissimo prezzo, ma galantino e bello.
Se avessi avuto il modo, me l’averei comprato.
Valentina. È più bello di questo? (gli mostra l’anello che ha avuto)
Baldissera.   Questo chi ve l’ha dato?
Valentina. Il padrone.
Baldissera.   Cospetto!
Valentina.   Che son questi cospetti?
Baldissera. E non volete poi ch’io dica e ch’io sospetti?
Valentina. Di che?
Baldissera.   Non dico nulla.
Felicita.   Come! geloso siete?
Se sarete geloso, il proverbio il sapete.
Valentina. Spiacevi che il padrone me l’abbia regalato?
Baldissera. No, ma in dito portandolo, troppo quel don vi è grato.
Se la mia Valentina mi ama con cuor sincero.
In me d’ogni sospetto distruggerà il pensiero:
E se di me fa stima più che del suo padrone,
Lascierà quell’anello a mia disposizione.
Valentina. Sì, la tua Valentina di cuore a te lo dona.
Caro il mio Baldissera. (gli dà l’anello)
Felicita.   Uh povera minchiona!

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Tu lo getti in canale; ma il mondo così va.

Quel che di qua si piglia, si butta per di là.
Baldissera. Che vorreste voi dire? (a Felicita)
Felicita.   Oh, io non dico niente.
Baldissera. Se mi salta la rabbia...
Valentina.   Zitti, che sento gente.
Povera me! il padrone...
Baldissera.   Troviam qualche pretesto.
Valentina. Fate ch’ei non vi veda. Nascondetevi, presto.
Baldissera. Dove?
Valentina.   Là in quella camera.
Felicita.   Ed io?
Valentina.   Colà voi pure.
Felicita. Con costui? (accennando Baldissera)
Valentina.   Nascondetevi, non facciam seccature.
Presto, ch’ei fa le scale.
Felicita.   Andiam, grazietta bella.
(a Baldissera)
Valentina. Ehi, bada ben, Felicita.
Felicita.   Non dubitar, sorella.
(entra nella camera)
Baldissera. Mi raccomando a voi. (a Valentina)
Valentina.   Eh, saprò regolarmi.
Baldissera. (Mi preme, or che ho l’anello, di venderlo e rifarmi).
(entra nella camera)

SCENA IV.

Valentina, poi Fabrizio.

Valentina. Dai segni e le parole certo poi dir conviene,

Che il caro Baldissera mi stima e mi vuol bene.
Or sentirò se il vecchio di lui non dice niente;
Dica pur quel che vuole, l’aggiusto facilmente.
Fabrizio. Oh, vi ho trovato alfine. (un poco alterato)
Valentina.   Son qui, che mi comanda?
Fabrizio. Si dovrebbe rispondere, quando il padron domanda.

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Valentina. Mi ha chiamato?

Fabrizio.   Ho chiamato. Sì, tre volte ho chiamato.
(alterandosi)
Valentina. S’io v’avessi sentito, non avrei ritardato, (con ardire)
Fabrizio. Si diventa anche sordi, quando vi è qualche intrico.
Valentina. Di che cosa parlate?
Fabrizio.   Eh, so io quel che dico.
Valentina. Vi è qualcosa di nuovo?
Fabrizio.   Favorisca, signora.
Chi è venuto da lei stamane di buon’ora?
Valentina. È venuto... è venuto... che so io? il muratore,
Il fornaio, il facchino, il sarto ed il fattore.
Fabrizio. È venuto, è venuto! parlatemi sincera.
Non è da voi venuto un certo Baldissera?
Valentina. Ah ah, ve l’hanno detto! Ecco, se a questa porta
Viene a pisciar un cane, tosto a voi si riporta.
S’io dico una parola, s’io faccio un gesto solo,
Vanno tutto al padrone a raccontar di volo.
Non fan che sindicare tutte le azioni mie,
Ed il padron che ascolta, dà pascolo alle spie.
Fabrizio. Queste spie che vi spiacciono, dunque mi han detto il vero.
E se voi vi scaldate, vi sarà il suo mistero.
Valentina. Certo! a ragion mi scaldo; non può venir da me
Chiunque mi pare e piace? Tutto ho da dir? perchè?
Chi sono in questa casa? Son schiava incatenata?
Di fare i fatti miei libertà mi è negata?
Non starei con un principe a tal condizione;
Trovatevi una donna, ch’io troverò un padrone.
Fabrizio. Ecco; basta ch’io parli, la sua risposta è questa:
Trovatevi una donna. Mi romperei la testa.
Valentina. Rompetevi anche il collo.
Fabrizio.   Ingrata, menzognera.
Subito; vo’ sapere chi è questo Baldissera.
Valentina. Senza scaldarvi il sangue, subito ve lo dico:
Codesto è un galant’uomo, è un giovane pudico;

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Un uom di buona grazia, che ha nobili talenti,

Nato di buona casa e d’ottimi parenti.
Fabrizio. Ha moglie?
Valentina.   Signor no.
Fabrizio.   Da voi per cosa viene?
Valentina. Perchè fin da ragazzi ci siam voluti bene.
Fabrizio. E in faccia mia lo dite? Perfida! in faccia mia?
Valentina. Non si può voler bene senza che mal vi sia?
Fabrizio. Eh cospetto di Bacco! ciò si può dire ai sciocchi.
A me voi non porrete la polvere negli occhi.
Valentina. Oh, voi siete un grand’uomo! uom veramente astuto!
Lo volete sapere, perchè è da me venuto?
Fabrizio. Perchè?
Valentina.   Tutto l’arcano voglio vi sia svelato.
È venuto da me, perch’egli è innamorato.
Fabrizio. Meglio, corpo di bacco!
Valentina.   Eh ben! che male c’è?
Fabrizio. È di voi innamorato?
Valentina.   Chi vi ha detto di me?
Si vede ben che siete un uom pien di malizia.
All’amor che vi porto, voi fate un’ingiustizia.
Sì poco vi fidate di mia sincerità?
Povera sfortunata! Vo’ andarmene di qua.
Se son gli affetti miei tutti gettati al vento.
Meglio è ch’io me ne vada, e soffra un sol tormento.
Sentirmi tutto il giorno rimproverare a torto,
Soffrire inutilmente le cose ch’io sopporto,
Essere malveduta da tutti in queste porte,
È una pena d’inferno, una continua morte.
Fabrizio. Ma se voi stessa... Io certo... finora io vi credea...
Son le vostre parole, che vi dimostran rea.
Valentina. Rea, signore, di che? rea sarà una zitella,
Perchè di dar procura marito a una sorella?
La povera Felicita, che vedova è rimasa,
Signor, la conoscete, frequenta in questa casa.

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Non ha nessuno al mondo che le procuri il vito,

Bisogno ha di soccorso, bisogno ha di marito,
Io so che Baldissera sarebbe al di lei caso,
Di prenderla per moglie alfin l’ho persuaso;
Ma le miserie sue, signor, già vi son note,
La povera infelice nulla può dargli in dote.
Sperai dal mio padrone, per me tanto amoroso,
Aver qualche soccorso per contentar lo sposo.
Volea di ciò pregarvi, ma con mio duolo io vedo,
Che nel cuor del padrone quella non son ch’io credo.
Voi di me sospettate, voi mi credete infida,
E vuole il mio decoro che da voi mi divida.
Andrò dove mi porta la sorte inviperita
A mendicare il pane colla sorella unita.
Fabrizio. Valentina. (placidamente)
Valentina.   Signore. (fingendosi addolorata)
Fabrizio.   È ver quel che mi dite?
Valentina. Me lo chiedete ancora? di dubitare ardite?
(con un poco di sdegno)
Fabrizio. No, non dubito, o cara. Conosco il vostro affetto.
Per la vostra sorella qualcosa io vi prometto.
Bastano cento scudi?
Valentina.   Eh, che un’ingrata io sono.
Con voi non istò bene.
Fabrizio.   Vi domando perdono.
Valentina. Cento scudi mi offrite?
Fabrizio.   Sì, l’offerta è sincera.
Valentina. (Saran buoni anche questi per darli a Baldissera). (da sè)
Fabrizio. Siete in collera meco?
Valentina.   Non ho ragion, signore?
Sempre nuovi sospetti sento a svegliarvi in cuore.
Ma sì, vi compatisco, causa ne son coloro
Che vengon tutto il giorno a far l’uffizio loro.
Vi intuonano l’orecchio con mille chiaccherate,
Di me vi dicon male, son lingue scellerate.

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Ma se davver mi amaste, con lor cambiando tuono,

Li mandereste tutti al diavol quanti sono.
Fabrizio. Sì, al diavol quanti sono li manderò, vel giuro.
Lo so che voi mi amate, lo so, ne son sicuro.
Di quel pensier ch’io nutro, presto verremo al fine;
E a chi di voi mi parla...
Valentina.   Ecco le nipotine. (con ironia)

SCENA V.

Giuseppina, Rosina e detti.

Giuseppina. (Non temete niente, la scena ha da esser bella).

(piano a Rosina)
Rosina. (Ma io non ho coraggio.) (piano a Giuseppina)
Giuseppina.   (Parlerò io, sorella).
(come sopra)
Fabrizio. Qual affar, signorine, vi porta in questa stanza?
Giuseppina. Ci porta, per dir vero, un affar d’importanza.
Non è vero, Rosina?
Rosina.   Per me poco mi preme.
Mia sorella ha voluto ch’io ci venissi insieme.
Valentina. Certo, se la signora si è presa tanta cura,
Convien dire che sia la cosa di premura. (con ironia)
Giuseppina. La cosa veramente tanto non preme a noi,
Quanto dovrebbe premere al zio Fabrizio e a voi.
Valentina. A me, signora mia?
Giuseppina.   A voi. Non è creanza
Che facciate aspettare quell’uomo in quella stanza.
(accenna la camera dov’è Baldissera)
Valentina. (Ecco un novello imbroglio). (da sè)
Giuseppina.   E il zio, che ha carità.
Dovrebbe coll’amante lasciarla in libertà.
Fabrizio. Come? che cosa dite? Parlate chiaramente.
Giuseppina. Ditelo voi, sorella. (a Rosina)
Rosina.   Oh, io non dico niente.

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Valentina. Guardate il grande arcano! Io dirò io primiera:

Là dentro in quella camera vi è il signor Baldissera.
Fabrizio. Come! un uom nascosto?
Valentina.   E ben, che male c’è?
Giuseppina. Non c’è male nessuno. Ella lo sa il perchè.
Valentina. Lo so, e lo sa egualmente anche il signor Fabrizio.
Fabrizio. Non so nulla. Il nasconderlo, so che un pessimo indizio.
Se di vostra sorella vuol essere consorte,
Perchè viene a celarsi qui dentro a queste porte?
Giuseppina. Sentite? lo fa credere sposo della sorella, (a Rosina)
Rosina. Par che per sè lo voglia.
Giuseppina.   Per sè, la sfacciatela.
Valentina. Piano, piano, signore, meco non tanto ardire;
Ch’io son chi sono alfine, e vi farò pentire.
Fabrizio. Come negar potete, se chiaro è il tradimento?
Valentina. Signor, con sua licenza. Ritorno in un momento.
(entra nella suddetta camera)

SCENA VI.

Fabrizio, Giuseppina e Rosina.

Fabrizio. Nipote, io son tradito. Nipote mia, son morto.

Vo’ che colei perisca, e che mi paghi il torto.
Giuseppina. Fidatevi, signore, di questa buona pelle. (ironico)
Rosina. Se non andaste in collera, ve ne direi di belle.
Fabrizio. Perfida, disgraziata. La vo’ scarnificare.
Voi quel briccon vedeste là dentro a rinserrare?
Rosina. Io, per dir quel ch’è vero, entrar non l’ho veduto.
Giuseppina. L’abbiam dall’altra parte nel parlar conosciuto.
Fabrizio. Nel parlar? con chi parla? con lui chi è rinserrato?
Giuseppina. Parierà da sua posta.
Rosina.   Pareva un disperato.
Fabrizio. Se vien, se mi risponde... l’ammazzo a dirittura.
Rosina. Ah per amor del cielo, non mi fate paura.

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Giuseppina. Eccolo qui. (Fabrizio si mette in furia)

Rosina.   Tenetelo. (a Giuseppina)
Giuseppina.   Fermate, signor zio...

SCENA VII.

Baldissera e detti, poi Felicita, poi Valentina.

Baldissera. Chi mi cerca?

Fabrizio.   Briccone!
(furiosamente, trattenuto da Giuseppina)
Baldissera.   Un galantuom son io.
Fabrizio. Perfido, scellerato, che fai tra queste soglie?
Baldissera. Son, con vostra licenza, venuto a prender moglie.
Fabrizio. Lo dici in faccia mia? dov’è la disgraziata?
Felicita. Portatemi rispetto; son femmina onorata.
Fabrizio. Veh! (rimane incantato vedendo Felicita)
Giuseppina.   Felicita è qui?
Rosina.   Tal cosa io non sapea.
Valentina. Ecco, signor padrone, ecco di che son rea.
Non dovea veramente prendermi l’ardimento
Di far che si sposassero nel vostro appartamento;
Ma la povera donna, da tutti abbandonata.
Per carità qua dentro da me fu ricovrata.
So ch’io doveva dirlo, so che soggetta io sono.
Questo è quel mancamento di cui chiedo perdono;
Ma questa lieve colpa mi saria perdonata
Da un padron generoso che mi ha beneficata.
Se non fosse il malanimo di due nipoti ardite,
Per odio, per vendetta a rovinarmi unite:
Han ragion tutte due, hanno ragion d’odiarmi,
Perchè ne’ fatti loro io non dovea mischiarmi.
S’io le lasciassi fare l’amor con libertà,
Meco non tratterebbero con tanta crudeltà;
Ma perchè della casa veglio all’onore, astuta,
Da queste signorine fui sempre malveduta.

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Pazienza, anderò via. Ambe saran contente.

Potran coi loro amanti trattar liberamerite.
Perdo la mia fortuna. Tu perdi a un tempo stesso
Cento scudi di dote, ch’egli m’avea promesso.
(a Felicita)
Ma pur che viva in pace il mio caro padrone,
Ogni buona speranza sen vada in perdizione.
Potrò dir che servito l’ho con amore e zelo.
Andiam, sarà di noi quel che destina il cielo.
Rosina. (Quasi mi fa da piangere). (da sè)
Giuseppina.   (Che tu sia maladetta!
Come, per farsi mento, la tenerezza affetta!) (da sè)
Fabrizio. Non so dove mi sia. Non so che non farei.
Con voi, frasche, pettegole, con voi mi sfogarei.
(a Giuseppina e Rosina)
Rosina. (Fugge via senza dir niente.)
Giuseppina. Con me? con me, signore?
Fabrizio.   Andate via.
Giuseppina.   Credete
Ch’io sia com’è Rosina? Voi non mi conoscete.
(a Fabrizio)
Valentina. La signora Geppina è giovane di merto.
Ha una mente felice, ha un intelletto aperto.
(ironico)
Giuseppina. Voi avete uno spirito pronto, sublime e franco,
Abile a tramutare il color nero in bianco.
Valentina. Non arriverò mai al suo felice ingegno,
Di sostener capace ogni più forte impegno.
Giuseppina. Arriverete un giorno di tanta impertinenza,
Di tanta presunzione, a far la penitenza.
Fabrizio. Come! così si parla? (a Giuseppina)
Valentina.   Signor, non vi sdegnate.
Saran della signora le gelosie troncate.
Di già da questa casa risolto ho allontanarmi,
Ed averà finito di dire e d’insultarmi.

[p. 400 modifica]
Fabrizio. No, che via non andrete; no, non vi lascio andare,

A costo ch’io dovessi ancor precipitare.
Meco restar dovete; non serva, ma signora.
Padrona infin ch’io vivo, e dopo morto ancora.
E voi, o in un ritiro dovrete intisichire,
O a lei, se vi comanda, star sotto ed obbedire.
(a Giuseppina)
Giuseppina. Obbedire a una serva?
Fabrizio.   Serva? mi maraviglio.
È donna di governo, è donna di consiglio.
Giuseppina. Da una vile servaccia non soffro questi torti.
Che vada a comandare al diavol che la porti. (parte)

SCENA VIII.

Fabrizio, Valentina, Baldissera, Felicita.

Fabrizio. Temeraria! cospetto! Farò... lo so ben io.

Valentina. Chetatevi.
Fabrizio.   Non posso.
Valentina.   Almen per amor mio.
Fabrizio. Ah sì, per amor vostro farò quel che volete,
Voi armar il mio sdegno e disarmar potete.
So che siete una giovane dabben, savia, onorata;
So che le male lingue vi avean perseguitata.
Se per vostra sorella nutrite un vero affetto,
Fatele pur del bene, che anch’io ve lo permetto.
Anzi quei cento scudi che per lei vi ho promesso,
Eccoli in questa borsa, ve li vo’ dare adesso.
(tira fuori una borsa)
Valentina. Obbligata, signore. (volendo prender la borsa)
Felicita.   La sposa tu non sei.
(trattenendo Valentina)
Baldissera. Se io sono il marito, quei scudi sono miei.
(allungando la mano)
Fabrizio. Li abbia l’un, li abbia l’altro, per ciò son destinati.

[p. 401 modifica]
Baldissera. Dateli a me, signore, che non saran mal dati.

(allungando la mano, e Fabrizio gli vede l’anello in dito)
Fabrizio. Come! che cosa vedo? L’anel che vi ho donato
Di Baldissera in dito? (a Valentina)
Valentina.   Signor, gliel’ho prestato.
Fabrizio. Perchè?
Valentina.   Perchè codeste due povere persone
Non avevan l’anello per far la sua funzione.
Felicita. (Gran diavolo costei!) (da sè)
Fabrizio.   Dunque perchè nel dito,
Invece della sposa, lo veggo del marito?
Valentina. Perchè avendo Felicita la man un po’ magretta,
La verga dell’anello le riesce un po’ larghetta.
Non è vero? (a Felicita)
Felicita.   È verissimo.
Fabrizio.   Se fatta è la funzione,
A voi di quell’anello può far restituzione.
Valentina. Lasciamo che Felicita lo porti un par di giorni,
Per farselo vedere almen ne’ suoi contorni.
Fabrizio. Se è largo, il perderà.
Valentina.   No, con un filo il cerchio
Restringere si puote ancora di soverchio.
Vorrei che lo vedessero certi parenti suoi.
Caro padron...
Fabrizio.   Lo tenga, se così piace a voi.
Eccovi i cento scudi... (alza la borsa)
Baldissera.   Grazie alla sua bontà.
(prende la borsa velocemente)
Fabrizio. È lesto. (a Valentina)
Valentina.   Compatire convien la povertà.
Fabrizio. Siatele buon marito. (a Baldissera)
  Siate una buona moglie.
(a Felicita)
Quando vi pare e piace, venite in queste soglie.
(a tutti due)

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Quel che vuol Valentina, voglio che fatto sia:

Questa è la mia padrona, questa è la gioia mia.
Ella sola, e non altri, comanda in questo tetto;
E dee chi non vorrebbe soffrire a suo dispetto.
Conosco il di lei merito, per comandare è nata.
Cara la mia Ninetta, oh che tu sia indorata! (parte)
Baldissera. Brava, la mia ragazza. (a Valentina)
Felicita.   Brava, sorella mia.
Valentina. Per quel ch’egli mi ha detto, non aver gelosia.
(a Baldissera)
Baldissera. No, no, non son sì pazzo; seguita pur così.
Vorrei che queste borse venissero ogni dì.
Felicita. Voglio la parte mia. (a Baldissera)
Baldissera.   Bene, ma in altro loco
Dividerem; venite (vo’ a divertirmi al gioco).
(in atto di partire)
Valentina. Parti senza dir nulla? (a Baldissera)
Baldissera.   Parto, perchè tem’io
Della gente di casa. Ci rivedremo; addio. (parie)
Felicita. Voglio la mia metà. S’egli mi tiene un pavolo,
S’egli mi vuol far stare, fo un strepito del diavolo.
(parte)
Valentina. Ecco quel che ha prodotto l’odio di questa gente;
Può Baldissera in casa venir liberamente.
E per meglio deludere il credulo Fabrizio,
Mi puote questa favola giovar del sposalizio.
Lo so che col padrone sono una donna ingrata,
So che sarò pur troppo dal mondo condannata,
Ma questa è la premura, questo è l’amor fraterno.
Che hanno pei lor padroni le donne di governo.

Fine dell’Atto Secondo.


Note

  1. Così l’ed. Pitteri, e poi le altre, invece di un tantino.
  2. Di questo verso martelliano manca un settenario.
  3. Ed. Zatta: Tognino servitore.