Pazienza, anderò via. Ambe saran contente.
Potran coi loro amanti trattar liberamerite.
Perdo la mia fortuna. Tu perdi a un tempo stesso
Cento scudi di dote, ch’egli m’avea promesso.
(a Felicita)
Ma pur che viva in pace il mio caro padrone,
Ogni buona speranza sen vada in perdizione.
Potrò dir che servito l’ho con amore e zelo.
Andiam, sarà di noi quel che destina il cielo.
Rosina. (Quasi mi fa da piangere). (da sè)
Giuseppina. (Che tu sia maladetta!
Come, per farsi mento, la tenerezza affetta!) (da sè)
Fabrizio. Non so dove mi sia. Non so che non farei.
Con voi, frasche, pettegole, con voi mi sfogarei.
(a Giuseppina e Rosina)
Rosina. (Fugge via senza dir niente.)
Giuseppina. Con me? con me, signore?
Fabrizio. Andate via.
Giuseppina. Credete
Ch’io sia com’è Rosina? Voi non mi conoscete.
(a Fabrizio)
Valentina. La signora Geppina è giovane di merto.
Ha una mente felice, ha un intelletto aperto.
(ironico)
Giuseppina. Voi avete uno spirito pronto, sublime e franco,
Abile a tramutare il color nero in bianco.
Valentina. Non arriverò mai al suo felice ingegno,
Di sostener capace ogni più forte impegno.
Giuseppina. Arriverete un giorno di tanta impertinenza,
Di tanta presunzione, a far la penitenza.
Fabrizio. Come! così si parla? (a Giuseppina)
Valentina. Signor, non vi sdegnate.
Saran della signora le gelosie troncate.
Di già da questa casa risolto ho allontanarmi,
Ed averà finito di dire e d’insultarmi.