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398 | ATTO SECONDO |
Rosina. Tenetelo. (a Giuseppina)
Giuseppina. Fermate, signor zio...
SCENA VII.
Baldissera e detti, poi Felicita, poi Valentina.
Fabrizio. Briccone!
(furiosamente, trattenuto da Giuseppina)
Baldissera. Un galantuom son io.
Fabrizio. Perfido, scellerato, che fai tra queste soglie?
Baldissera. Son, con vostra licenza, venuto a prender moglie.
Fabrizio. Lo dici in faccia mia? dov’è la disgraziata?
Felicita. Portatemi rispetto; son femmina onorata.
Fabrizio. Veh! (rimane incantato vedendo Felicita)
Giuseppina. Felicita è qui?
Rosina. Tal cosa io non sapea.
Valentina. Ecco, signor padrone, ecco di che son rea.
Non dovea veramente prendermi l’ardimento
Di far che si sposassero nel vostro appartamento;
Ma la povera donna, da tutti abbandonata.
Per carità qua dentro da me fu ricovrata.
So ch’io doveva dirlo, so che soggetta io sono.
Questo è quel mancamento di cui chiedo perdono;
Ma questa lieve colpa mi saria perdonata
Da un padron generoso che mi ha beneficata.
Se non fosse il malanimo di due nipoti ardite,
Per odio, per vendetta a rovinarmi unite:
Han ragion tutte due, hanno ragion d’odiarmi,
Perchè ne’ fatti loro io non dovea mischiarmi.
S’io le lasciassi fare l’amor con libertà,
Meco non tratterebbero con tanta crudeltà;
Ma perchè della casa veglio all’onore, astuta,
Da queste signorine fui sempre malveduta.