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400 ATTO SECONDO
Fabrizio. No, che via non andrete; no, non vi lascio andare,

A costo ch’io dovessi ancor precipitare.
Meco restar dovete; non serva, ma signora.
Padrona infin ch’io vivo, e dopo morto ancora.
E voi, o in un ritiro dovrete intisichire,
O a lei, se vi comanda, star sotto ed obbedire.
(a Giuseppina)
Giuseppina. Obbedire a una serva?
Fabrizio.   Serva? mi maraviglio.
È donna di governo, è donna di consiglio.
Giuseppina. Da una vile servaccia non soffro questi torti.
Che vada a comandare al diavol che la porti. (parte)

SCENA VIII.

Fabrizio, Valentina, Baldissera, Felicita.

Fabrizio. Temeraria! cospetto! Farò... lo so ben io.

Valentina. Chetatevi.
Fabrizio.   Non posso.
Valentina.   Almen per amor mio.
Fabrizio. Ah sì, per amor vostro farò quel che volete,
Voi armar il mio sdegno e disarmar potete.
So che siete una giovane dabben, savia, onorata;
So che le male lingue vi avean perseguitata.
Se per vostra sorella nutrite un vero affetto,
Fatele pur del bene, che anch’io ve lo permetto.
Anzi quei cento scudi che per lei vi ho promesso,
Eccoli in questa borsa, ve li vo’ dare adesso.
(tira fuori una borsa)
Valentina. Obbligata, signore. (volendo prender la borsa)
Felicita.   La sposa tu non sei.
(trattenendo Valentina)
Baldissera. Se io sono il marito, quei scudi sono miei.
(allungando la mano)
Fabrizio. Li abbia l’un, li abbia l’altro, per ciò son destinati.