La chioma di Berenice (1803)/Considerazione IV

Considerazione IV. Sacrificj di chiome

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Gaio Valerio Catullo - La chioma di Berenice (I secolo a.C.)
Traduzione di Ugo Foscolo (1803)
Considerazione IV. Sacrificj di chiome
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considerazione iv

Sacrifici di Chiome.

Versi 8-10. Caesariem... multis dearum... pollicita est.

Le chiome erano in tutela di Venere, delle Grazie, della Gioventù e delle Muse cantate perciò da Pindaro ben chiomate, e di Minerva, che andava oltramodo lieta de’ propri capelli. Medusa insuperbendo dell’amore di Nettuno vantò la sua capigliatura gareggiando con la Dea la quale convertì i capelli di Medusa in serpenti e pose quella testa sull’egida a terror de ’nemici. E Tibullo Eleg. iv, v. 25:

          Perque suos impune sinet Dictynna sagittas
               Adfirmes, crines perque Minerva suos.

E si vede nelle iscrizioni che le donzelle poneano la loro capigliatura sotto la tutela di Minerva. Tesoro gruteriano, mlxvii, 4.


minervae
memori . tvlli
a . superiana . res
titutione . siri
facta . capillorvm


A Minerva le vergini argive consecravano prima di maritarsi una ciocca di capelli (Stazio, Tebaid., lib. ii, 253); e da Giulio Polluce (Onomast. iii, 3) sappiamo che nelle nozze erano consecrati i capelli a Diana, alle Parche ed a Minerva. Presso i Trezenii (Luciano, De dea Syria) ad Ippolito. Del rito de’ capelli delle spartane prima delle nozze vedi Plutarco (in Licurgo). — Eran le chiome serbate a Bacco. Eneid. vii, 3S9:

          Evoe Bacche, fremens: solum te virgine dignum
          Vociferans; elenim molleis tibi sumere thyrsos,
          Te lustrare choros, sacrum tibi pascere crinem.

* E Stazio, Tebaide, lib. viii, 402: Crinem hic pascebat Baccho.* I [p. 173 modifica] naviganti in burrasca propiziavano Nettuno votando il crine (Gioven. Sat. x, 81), e salvi lo appendevano (Luciano, in Ermotimo sulla fine): e Petronio (Satyr., cap. ciii) lo chiama nanfragorum ultimum votum<ref>. I sette capitani contro Tebe (Eschilo, ne’ Sette, v. 42 e seg.),dopo avere giurato l’eccidio di quella città bagnandosi le mani nel sangue, appesero le loro chiome; poiché lo scoliaste greco a quel passo ove ricorre la voce Μνημεῖα, monumenti, ricordi, chiosa: τρίχας, crini, βοστρύχους, ciocche. — I Leviti Ebrei (Num. 8), i sacerdoti Gentili e le Vestali consecrandosi si recideano i capelli (Plin., lib. x, 43). I Cureti sacerdoti di Giove de’ quali vedrai nella Considerazione vii, traevano questo nome (Strabone, lib. x) dal loro capo tosato.

Si consecravano anche a’ fiumi (Eschilo, Persiani, v. 486; Omero, Iliad., xx, 140; Pausan., lib. v, p. 683; ibid., p. 638): ed è insigne ne’ monumenti inediti illustrati dal Winckelmann la gemma ov’è inciso Peleo che promette al fiume Sperchio la chioma di Achille, se questi ritornava salvo da Troia (vol. 1, fig. 125). Si consecravano le chiome a’ morti Eschilo (Coefore, sul principio) dice chioma luttuosa, πλόκαμον πενθητήριον, quella che Oreste doveva offerire al sepolcro del padre. Elettra (ibid., v. 178): χαίτην κουρίμην χάριν πατρός; soavissima espressione. E Properzio, lib. i, eleg. xvii, 21:

Illa meo caros donasset funere crines.


Né i figlj, e le amanti soltanto; ma le madri, e le sorelle. Ovid. ove non fu all’infelice Canace concesso di far l’esequie al figliuolo, Eroid., xi, v. 115:

          Non mihi te licuil lacrymis perfundere justis,
               in tua non tonsas ferre sepulchra comas.

Nelle metamorfosi, lib. iii, 505, alla morte di Narciso.

 Planxere sorores

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Naïdes, et sectos fratri imposuere capillos.

Saffo ci tramandò in un epigramma la pietà di parecchie donzelle che si recisero le care trecce per la morte di Timade, vergine loro compagna. Gli Amori piangono in Bione (Idil. i, v. 81) κειράμενοι χαίτας ἐπ’ Ἀδώνιδι, mozzi i crini per Adone: costume attestato da molte iscrizioni sepolcrali, ed inviolato dal tempo, poiché le donne greche dei miei giorni celebrano l’esequie a’ loro amanti recidendosi i capelli.

Né v’ha scrittore antico, che non ti parli sovente e passionatamente di chiome. Apollo e Bacco, bellissimi fra gli Dei sono cantati intonsi (Ovidio, metam. lib. iii, 421):

          Et dignos Bacco, dignos et Apolline crines.

Anzi Apollo in Apollonio Rodio (lib. ii, v. 709) andava sin da fanciullo fastoso delle sue trecce ricciute e rannodate. Giove accennando col capo i fati dell’universo empie tutto l’Olimpo dell’ambrosia de’ suoi capelli. Vedi anche Callimaco (Inno ad Apollo, v.38). Ottaviano Cesare dedicò nel tempio del padre la Venere di Apelle sorgente dal mare, che spremea l’onda dalle sue lunghe chiome: Ov. de art. iii, 224, imitato dal Poliz. cant. i, st. 101.

          Nuda Venus madidas exprimit imbre comas.

Di che vedi Plinio, lib. xxxv, cap. 10. Chi perdea la chioma, perdea la beltà.

               Infelix modo crinibus nitebas
               Phoebo pulchrior et sorore Phoebi!
               At nunc laevior aere vel rotando
               Horti tubere quod creavit unda,
               Ridentes fugis et times puellas,
               ut mortem citius venire credas
               scito iam capitis perisse partem.

Pari alla costernazione di questo garzonetto di Petronio dev’essere stata quella di Smerdia, amato da Policrate [p. 175 modifica] di Samo, e dal vecchio Anacreonte. Il tiranno, avvisando che il fanciullo fosse lusingato dal canto del poeta lo fece radere per gelosia (Eliano, storie varie, lib. ix, 4; Ateneo lib. xii, 9). Licurgo, severissimo contro tutte le mollezze, lasciò inviolate le chiome, perch’ei diceva che accrescevano bellezza a’ belli e faceano più terribili i brutti (Plutarc. in Licurg.). Ma Paolo apostolo (Ad Corinth. i, cap. xi, 14) vieta le chiome, perch’ei promoveva una setta d’uomini che hanno ad essere dimessi e di aspetto e di cuore. Onde il teologo Inglese Carlo Maetio (Sylva quaest. insignium) nega a’ cristiani ciò che Licurgo non negava a’ lacedemoni. Rispose Iacopo Revio nel libretto Libertas Christiana circa usum capillitii defensa; e la questione divenne acre, e fu nel secolo passato sorgente di sofismi teologici e d’ingiurie. Ma di che argomento non sono eglino benemeriti i teologi? Ben fa Lorenzo Sterne, ὀ πακαρίτης, che, quantunque parroco anch’egli, beffa fumando i teologi Didio e Futatorio (The life and opinions of Tristram Shandy, vol. iv, cap. 27).

Or poiché la chioma fu sì cara cosa per gli antichi, Berenice die’ gran pegno di amore al marito votando la sua. Temendo forse Domiziano che i popoli non fossero al suo tempo sì creduli come sotto a’ primi Tolomei, (sebbene avrebbe trovato e poeti e sacerdoti ed astronomi, che di capelli avrebbero fatto stelle) consecrò ad Esculapio in Pergamo dentro una pisside d’oro la chioma di Flavio Earino, avvenentissimo giovinetto (Stazio, Selve, iii). Ma non le chiome solo: i giovinetti consecravano la prima lanugine del mento a’ numi dotati di eterna gioventù (Callim., in Delo, v. 298; Gioven., satir. iii, v. 1S6; Marziale, lib. iii, epigr. 6). La religione a’ tempi degli imperadori prese qualità dalla universale corruzione. Xifilino nota, sebben ora non mi sovvenga dove, che i [p. 176 modifica] ludi giovenili, di cui Tacito fa motto (Annal., xiv, 15), vennero istituiti per la commemorazione della prima barba da Nerone deposta: il che imitò da Ottaviano che tenne per festivo il giorno della barba e lo decretò pubblico (Dione, cap. 80). Ma Nerone, degno suo successore, non pago dell’anniversario, consecrò ad aeternam rei memoriam la sua lanugine a Giove Capitolino dentro una pisside d’oro contornata di gemme (Svetonio, in vi Caes. cap. 12). Per isdegno contro gli dèi, voleva anche Caracalla abbruciare i suoi capelli sull’ara, mentre stava sacrificando; ma stendendo la mano per istrapparseli si trovò calva la testa (Erodiano, Storia, lib. iv, 12). E calvo era. Le medaglie lo rappresentano chiomato: ma o quelle chiome sono parrucche, di cui vedi nella considerazione ix, o (sia detto con pace degli antiquarj) le medaglie mentono. Luciano nel libro pro imaginibus, poco dopo il principio, narra che la famosa Stratonica moglie di Seleuco e poi del figliuolo di lui Antioco, della quale canta anche il Petrarca (Trionfo d’Amore ii, v. 115 e sg.), promise due talenti al poeta che meglio lodasse le sue chiome. Tutto il mondo sapeva che per malattia,

          Quod solum formae decus est, cecidere capilli;

pur vi furono poeti che cantarono:

          Quis expedivit psittaco suum χαιρε?
          Magister artis ingeniique largitor
          Venter:

ed il ventre insegnava il canto ad Ulisse (Odiss. lib. xvii, 286, ed altrove), e le linde adulazioni ad Orazio (lib. ii, epist. 2). Così la paura avrà consigliato alle province di battere medaglie ben-chiomate al calvo imperadore. Ben disse Giovenale (Sat., iv, v. 70) che nulla v’ha di sì stravagante, che i potenti non credano di se stessi, e che gli adulatori non facciano credere.


Note