La chioma di Berenice (1803)/Coma Berenices/Versi 71-72
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(Pace tua fari hic liceat, Rhamnusia Virgo,
Namque ego non ullo vera timore tegam; 72
varianti.
Verso 71. Tutti quanti fari haec. Seguo la principe, e l’antica edizione 1487.
note.
Pace tua. Tutto il lamento della chioma per l’abbandono del regio capo mira a far sentire maggiore il sacrificio, e quindi più meritevole la regina dell’onore concesso a lei da’ Numi. Il lamento incalza sino ad anteporre il primo stato all’apoteosi; e per fare più verisimile questo desiderio la chioma affronta sino l’ira di Nemesi Dea punitrice degli arroganti.
Rhammusia. Nemesi fu regina di Rannute terra dell’Attica così chiamata da’ boschetti di Ranno ῥάμνος, arbusto. Eretteo figliuolo di lei sacrò alla madre un simolacro sotto le sembianze di Venere ( Svida ). Crebbe poi il culto della regina come quello della prima Berenice e di Arsinoe (considerazione nostra ix). I poeti poi favoleggiarono che Giove amò Nemesi. Altri la chiamarono figlia di Giove e della dea Necessità; e fu simbolo delle umane vicissitudini. Erano quindi notati gli iniqui detti de’ potenti da Nemesi che si vendicava umiliandoli (Callim. inno in Cerere verso 67 ). Fu anche detta figliuola dell’Oceano e della Notte, forse per l’instabilità delle cose mortali e per l’oscurità de’ nostri destini. Il vero si é che il culto e la celebrità di questo nume é posteriore di molto di quel che si crede. Omero non la nomina mai, né Virgilio nell’Eneide. Servio crede che il poeta alluda a Nemesi in que’ versi lib. iv. 519.
Testatur moritura Deos, et conscia fati
Sidera: tum, si quod non aequo foedere amantis
Curae Numen habet, justumque memorque precatur.
Ma questo non è l’unico né il maggiore de’ granchi presi dal gramatico. Sebbene fosse poi data a Nemesi la tutela de’ fedeli amanti e la vendetta degli orgogliosi, Nemesi a’ tempi di Enea non era che una delle tante Veneri. Ecco l’origine della rinomanza della Dea. I barbari nella prima guerra Persica sbarcati a Maratona venti miglia distante da Rannute, ridendosi delle forze ateniesi, insolenti per le proprie, vollero prima della battaglia erigere un trofeo di marmo pario per la vittoria futura (Pausania in Atticis). Sconfitti a Maratona i persiani, attribuirono la rotta alla Dea, e cominciò a celebrarsi, ed a diffondersi per tutta la Grecia il culto di Nemesi, forse per politica degli ateniesi che vollero così procacciarsi un Nume proprio e tutelare. Di quel marmo pario fu poi fatta la statua di cui parla Bacone nell’operetta d’oro de Sapientia Veterum, sebbene egli si taccia e l’autore, e l’età, e le cagioni. Eustazio ( Iliad. ii ) racconta che quella statua era di tanta beltà da non invidiare quelle di Fidia. Ma se l’avesse attribuita a Fidia avrebbe mostrato più di esattezza. Teneva nella destra mano una fiala ove si vedeano sculti gli etiopi ( Pausau. loco cit. ), nella sinistra un ramo di pomo. Sul ramo era scritto αγαροκριτος παριος εποιησεν: Agarocrito Pario fece (Esichio). Or sappiamo da Plinio lib. xxxvi. 5, che Fidia amava oltramodo questo Agarocrito suo discepolo, e che anzi gli fece onore di molte opere sue attribuendole a lui. Svida è nel parere di Plinio, anzi Pausania attribuisce la statua a Fidia. Era coronata; nella corona erano effigiali minuti simolacri di vittoria, e cervi, forse per indicare le vane speranze e la fuga de’ barbari. Bacone porta diversa opinione intorno a questi simboli, e sarà quella forse la più probabile. — Queste cose mi dà la storia. Mi conferma nel parere che il culto di Nemesi non sia più antico della prima guerra Persica; il vecchio Esiodo che nel poema ἔργα καὶ ἡμέραι, al verso 200 la nomina; ma il testo risponde sdegno generoso pari a quel del poeta ebreo irascimini et nolite peccare. Nella Teogonia verso 223 la annovera fra le figliuole della Notte, ed ivi non risponde che ad Ira; poiché Esiodo canta Nemesi strage degli uomini mortali; ma egli lascia la cura alle Parche, vers. 219 e seg., di perseguitare le colpe degli uomini e degli Dei. Infatti la voce Νέμεσις suona indignazione, e talora è presa per invidia. Onde è che presso Eschilo ne’ Sette sotto Tebe, verso 241, questa voce è usata per quello sdegno che nasce dall’invidia. Il che viene confermato anche nell’epigramma xxii di Callimaco. Osserva Plutarco nell’opuscolo dell’oracolo Pitico, ed Isaco Tzetze sopra Licofrone al principio, che Nemesi è chiamata del pari Leda ed Elena. Ed in Atenagora sul principio dell’apologia si legge che Elena Adrastea era del pari con Ettore adorata da’ Trojani. Or Adrastea è Nemesi; e così la chiama Euripide, Reso, verso 342. Ἀδράστεια suona inevitabile, onde questa giustizia di Nemesi é punitrice diversa dalla giustizia distributiva di Temide. Che si chiamasse poi Leda ed Elena appare dallo scoliaste greco di Callimaco inno in Diana ove il poeta dicendo rd verso 232: ἀμφ´ Ἑλένῃ Ῥαμνουσίδι θυμωθεῖσαι, per Elena Rannusia adirati l’interprete antico chiosa: in Ramnute d’Attica Giove dormì con Nemesi: nacque l’ovo; Leda il raccolse, e covatolo, nacquero i Dioscuri ed Elena. Igino e Pausania raccontano la stessa favola la quale ha sembianza di poca antichità, perchè Omero dà la fecondità de’ due fratelli e di Elena al Cigno divino ed a Leda; e venne la nuova tradizione, al mio parere, covata dalla gelosia degli Ateniesi contro a’ Spartani. Fu detta anche Nemesi Opi, nome dato a Diana ed a tutti gli Dei ajutatori, e teologicamente Opi era presa per la Providenza. Nè può persuadermi dell’antichità del culto di questa Dea quell’inno a Nemesi apposto ad Orfeo. Ognun sa quanto sono sospetti e l’autore e la età di quelle poesie. Un altro inno greco a Nemesi, assai poco noto, si trova stampato nel dialogo di Vincenzo Galilei sopra la musica antica e moderna, Fiorenza fol. 1581. È anche stampato dopo le poesie di Arato, Oxford 1672, con alcuni scolj di Chilmead. Le due edizioni sono tratte da due differenti mss. e quella d’Inghilterra fu trovata fra le carte dell’Usserio in Irlanda con le note dell’antica musica, e pare che il canto fosse sul modo Lidio. Sono venti versi jambi; e le sentenze non differiscono gran fatto dagli inni d’Orfeo e d’Onomacrito. Si attribuisce a Mesdomo da Giovanni di Filadelfia scrittore dell’età di Giustiniano: il mss. dell’Usserio lo attribuisce ad un poeta Dionigi. Ma possono essere anche due autori, e più anche, di sì fatti inni. Sappiamo da Ammiano Marcellino che i romani accingendosi alla battaglia sacrificavano a Nemesi, forse per la tradizione della rotta de’ Persiani. Nel iv libro delle leggi Platone dice che la Dea Nemesi aveva una particolare ispezione sulle offese fatte dai figli ai padri.
Virgo. I greci e i latini chiamano spesso vergini le donne maritate di fresco. Gamelie vergini sono Venere, Giunone, e le Grazie; Dee tutte che presiedono alle nozze. Anche Orazio, lib. ii ode viii.
Te senes parci, miseraeque nuper
Virgìnes nuptae . . . .
Virgilio della moglie di Minosse, egl. vi verso 47.
Ah virgo infelix! . . .