La chioma di Berenice (1803)/Coma Berenices/Versi 55-58

Coma Berenices - Versi 55-58

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Isque per aetherias, me tollens, advolat umbras,
     Et Veneris casto conlocat in gremio. 56
Ipsa suum Zephyritis eo famulum legarat,
     Grata Canopiis incola litoribus, 58

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varianti.

Verso 55. Ediz. 1488 Hisque per aetherias. Tutti auras per umbras, tranne la principe, Stazio, Scaligero, Vossio, e l’Acate Volpi. Ed io pur trovo la nostra lezione anche ne’ 4 mss. Ambrosiani, e la chioma fu veramente rapita di notte. Cantero, e Valcken. avolat per advolat. — Verso 56. Niuno fiatava, solo quel maestro Teodoro Marcilio monomette casto consociat gremio. — Verso 58. Principe, mss. Y gratia. Anna Le-Fevre gnata. Vossio, Nic. Heinsio, Volpio, Doering, Valcken. in loca per incola. Canopiis ha infinite varianti tutte di poco momento.

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note.

Isque per etc. sino a tutto il verso 58. 1.° Fu sotto il dominio de’ re d’Egitto il promontorio Zefirio ove Stefano pone il tempio d’Arsinoe Zefiride, della quale parlò Callimaco, epigramma v, chiamandola or Zefiride, or Arsinoe ed or Venere. Da un altro epigramma di Posidippo recitato nel vii libro di Ateneo si sa che questo tempio fu cousecrato da Callicrate ammiraglio per propiziare la Diva a’ naviganti. Posidippo chiama il promontorio Zefirio terra di Filadelfo. 2.° Tolomeo nella geografia pone in Pentapoli d’Africa le due città dette una Berenice, l’altra Arsinoe, ed il promontorio Zefirio. Un altro promontorio Zefirio, è negli Abruzzi anticamente Locri de’ quali Virgilio, eneid. iii. 399.

     Hic et Narycii posuerunt moenia Locri.

E Servio chiosa a questo verso. «Erano i Locri compagni d’Ajace Oileo detti altri Epizefirj, altri Ozoli. [p. 113 modifica] Discompagnati nella navigazione da una burrasca del mediterraueo gli Epizefirj approdarono in Italia: gli Ozoli in Pentapoli di Libia, e tennero il promontorio Zefirio. Altri Locri Ozoli erano in Grecia presso Delfo Da questi vennero i Nasamoni di cui parla Tacito, ed i Naricj di cui Virgilio». Nè avrei creduto al gramatico s’ei non citava Tacito, ne’ cui libri rimasti non vedo orma di queste storie, e doveano essere ne’ perduti. Ma de’ Locri d’Africa, ov’era il promontorio d’Arsinoe Zefiritide, parla anche Virgilio xi. 265.

          — Libicone habitantes litore Locros?

3.° Berenice moglie di Tolomeo Lago, ed Arsinoe sorella e moglie di Filadelfo furono indiate, ed associate a Venere, di che ti è bastantemente detto nella nostra considerazione sopra le deificazioni. Zefiritide dunque Arsinoe, e Venere sono una stessa persona la quale ha Zefiro, idoleggiato cavallo alato, per ministro, e chiamasi Locride, perchè il tempio di lei era nel mare posseduto un tempo da’ Locri, e quindi si esclude la lezione spuria Chloridos, soggètto di molti assurdi commenti.

Resta ora a sapere chi sia quella Venere della quale sul grembo casto Zefiro colloca le chiome. Ecco l’osservazione acutissima del Conti. = Poetica è l’ipotiposi della traslazione. S’impiega il Zefiro fra tutti i venti il più soave, perchè mollemente e rispettosamente innalzi la chioma di Berenice, Venere in quanto Zefiritide gliel comanda; e non potendo egli passare alle stelle fisse che per la regione planetaria egli tosto colloca le chiome nel grembo della Venere celeste. = Ma per questa osservazione, ove anche fosse vero che Callimaco intendesse per casta la Venere del terzo cielo, dov’ella secondo le idee [p. 114 modifica] Platoniche alberga, e d’onde dev’essere passato Zefiro, non si scioglie la domanda se questa è la stessa Venere Arsinoe, o una diversa divinità. Per me dubito che sia la stessa, e le ragioni leggile nella nostra considerazione sopra la Venere celeste.

Ora spiegheremo questi quattro versi partitamente.

Isque per aetherias, me tollens, advolat umbras,
     Et Veneris casto conlocat in gremio;
Ipsa suum Zephiritis eo famulum legarat,
     Grata Canopiis incola litoribus.

Per ætherias umbras. Per l’aere ombroso dalle tenebre notturne. La chioma essendo stata rapita di notte, ottimamente lo Scaligero restituì la lezione antica: vedi variantL

Conlocat in gremio veneris. Perchè tutto ciò ch’era tocco e palpato da Venere acquistava l’immortalità. Il Volpi ed il Doering confermano questa esposizione con i versi di Teocrito idil. xv verso 108. Vedi considerazione nostra sulle deificazioni.

Famulum. Zefiro è come s’è veduto alle note precedenti messaggero di Venere. — Apulejo metam. lo fa messaggero di Psiche e di Amore. Così il Leoue Nemeo é detto da Manilio iv verso 360 Ideae matris famulus. Heinsio, Valckenario. Ministri della stessa Dea sono in Catullo carm. lxiii verso 76 (o forse in quel greco poeta da cui egli trasse quell’inno) i leoni, quand’ella ne scioglie uno dal carro, inviandolo ad impaurire il giovinetto Ati. Ne’ frammenti greci ch’io credo d’un antico inno alle Grazie, da me un tempo tradotti, veggonsi le Ninfe fluviali ancelle ad un convito dato in Tempe da [p. 115 modifica] Venere a tutti gli Dei, e le Ore ministre del carro e de cavalli del Sole.

     Odorata spirar l’aura dai crini
     Molli ancor per ìa fresca onda del Xanto,
     Sentiano i venti, perche venne Apollo.
     A lui furtive sorridean di Anfriso,
     De’ pastorali amor conscie le Ninfe,
     Alla mensa ministre. Infanto le Ore
     Sciogliean dall’aureo cocchio i corridori,
     E risciacquando nel Penéo le briglit
     Spremean la spuma . . .

Maestro di questi bellissimi idoli in Grecia fu Omero Iliad. v verso 749.

     Del cielo allor spontanee cigolarono
     Le porte, dove stan custodi l’Ore
     Cui l’Olimpo ed il cielo ampio è fidato,
     E chiusa sia per lor la densa nube
     E disserrata.

Immagine con più eleganza che semplicità imitata dal Sannazzaro de Partu Virginis lib. iii.

     Succintae occurrunt Horae properantibus alis,
     Insomnes Horae; namque his fulgentia Divûm
     Limina. et ingentis custodia credita coeli.

E maestro nostro, finor da noi ciechi mal conosciuto, fu l’Alighieri in Italia. Paradiso cant. xxx ove chiama l’Aurora ancella del Sole.

          E come vien la chiarissima ancella
          Del Sol più oltre.

E le Ore nel Purgatorio xii verso 81.

          — Vedi che torna
          Dal servigio del dì l’ancella sesta

[p. 116 modifica] Così Purgat. xxii verso 118.

     E già le quattro ancelle eran del giorno
     Rimase addietro, e la quinta era al temo
     Drizzando pure in su l’ardente corno.

Terzina imitata dall’amico mio Vincenzo Monti nel canto iii del Bassville.

     E compito del dì la nona ancella
     L’ufficio suo, il governo abbandonava
     Del timon luminoso alla sorella.

Ma io non ho letto mai concetto più sublime e più splendido di quello del padre nostro Alighieri, Parad. x verso 29 dove chiama il Sole

     Lo Ministro maggior della natura,
     Che del vi’alor del cielo il mondo impronta,
     E col suo corso il tempo ne misura.

Sebbene tale Oraziano mi bisbigliava jer l’altro ch’ei torrebbe d’avere più fatto le due strofe

     Qualem ministrum fulminis alitem etc.

anziché tutto quel canto di Dante. Ma il tempo mio è, pur troppo! quello degli Epicurei, ed il buon gusto è dote sovente de’ letterati cortigiani, il genio degli spiriti generosi.

Grata incola litoribus canop. Ho sbaglialo io scrivendo nell’argomento che la chioma fu appesa al tempio di Venere Zefiritide. Quel tempio era nel promontorio; e qui si parla d’Alessandria dove fu appesa la chioma. Arsinoe mandò Zefiro a trasportare in cielo la chioma, come quella che era stata abitatrice e regina del lito d’Alessandria, e grata del culto degli Egizj. Ma questa lezione fu abbandonata dal Vossio in poi; ch’ei sostituì in loca all’incola, e strepita chiamando la lezione antica [p. 117 modifica] turpe mendum, et miratur hactenus non suboluisse tot tantisque interpretibus. Ma parmi che l’eo dell’esametro riesca superfluo ove si accolga la lezione in loca. Ed incola femminino , sebbene infrequente non manca d’aurei esempj. Fedro lib. i fav. 6: Quaedam (rana) stagni incola. Aggiungi che guest’espressione ricorda agli Egizj che la loro Dea era stata pochi anni addietro viva e presente. — Fra molti antichi che parlano di Canopo sceglierò questo passo di Ammiano Marcellino che a me pare il più esatto. Canopus in duodecimo distinguitur lapide (ab Alexandria), quem, ut priscae memoriae tradunt Menelai gubernator sepultus ibi cognominavit. Ibi unum est ex septem ostiis Nili dignitate Alexandrino proximum. Ne parla anche Tacito, Annali ii cap. 60. I liti Canopei del testo sono dai più interpretati per tutto l’Egitto, dal Valckenario per Alessandria. Per me sarei piìù in questo parere, seppure non si volesse credere che le chiome fossero veramente consecrate in Canopo nel tempio di Ercole, celebrato da Ariano nel lib. ii de’ fatti di Alessandro; il qual Ercole Egizio memorato da Erodoto nell’Euterpe, viene da Diodoro Siculo, lib. i, collocato dieci mila anni anteriore all’Ercole Greco. Poteano anche essere collocate nel tempio di Giove Serapide di cui restano anche a dì nostri le rovine. Canopo era luogo di delizie per gli Egizj; onde Virgilio Pellaei gens fortunata Canopi. Vedi anche Strabone. Dov’era Canopo é a’ nostri tempi Abouckir nobilitato dalle ultime guerre nell’Egitto. I geografi Strabene e Stefano lo scrivono κανοπος, e κανοβου, onde venne ne’ mss. di questo nostro poemetto la lezione Canobitis e Canobiticis.