Atto III

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Atto II Nota storica
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ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

Camera in casa di Lavinia.

La Cecca e Berto con la chitarra.

Cecco. Tu sei davver davvero

Peggio assai d’un ragazzo;
Tu fai per l’allegria cose da pazzo.
Berto. Quand’ho ben lavorato,
Quando mi son spicciato
Dalle faccende mie,
Per la testa non vuò malinconie.
Cecco. Ora pensar dovresti
Al nostro matrimonio.
Berto.   E non ci penso?
Eccomi qui dalla padrona apposta
Per concluder le nozze adesso adesso.
Cecco. E vieni qui colla1 chitarra appresso?
Berto. Saputo ho che la Lena
Ha cantato testè col chitarrino.
Voglio cantar anch’io.
Cecco.   Eh malandrino,
Alla povera Lena
L’hai fatta brutta.
Berto.   Si sa che ho burlato,
E con Pippo di già mi son scolpato.
Cecco. La Lena non sa niente;
Poverina, è furente e disperata.
Berto. Or or da Pippo sarà consolata.
Essi e noi questa sera
Ci abbiamo2 da sposare;
Intanto i’ vuò cantare,

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E fino che s’aspetta la padrona,

Voglio dirti, Cecchina, una canzona.
  È tanto tempo che ti voglio bene,
  Ed ora te lo dico, vita mia;
  E il cor che Cecca nello petto tiene,
  Amor comanda che di Berto sia.
  Cecca bella, fammi un vezzetto,
  Cecca bella, guardami un po’.
  Se nascondi a me quel visetto.
  Più la luce del sol non vedrò.
  Cecca bella, fammi un vezzetto,
  Cecca bella, guardami un po’. (parte

SCENA II.

Cecca sola.

Egli è pazzo davvero.

Ma alfine l’allegria
È una dolce pazzia che non dispiace.
Berto mio non è audace,
Fastidioso non è, non è vizioso,
Spero che abbia a riuscir buono e amoroso.
Benchè da tante e tante
Sentito ho a dir ch’erano i loro amanti
Gioie, oracoli, stelle; e maritati,
Diavoli in pochi dì son diventati.
  Di rose porporine
  Rosseggia il bel giardino;
  Ma celansi le spine,
  E qualche serpe ancor.
  Talor così l’affetto
  Appar nel dolce viso,
  Ma covasi nel petto
  L’inganno traditor. (parte

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SCENA III.

Lavinia e Costanzo.

Lavinia. Amabile Costanzo,

Il tenervi sinora
Per amor mio fra quelle spoglie occulto,
È alla mia tenerezza un grave insulto.
Costanzo. Temei la mia sfortuna.
Lavinia.   Il vostro grado
Vi dovea lusingar.
Costanzo.   Ma ai beni vostri
Non rispondono i miei.
Lavinia.   Val più dell’oro
L’amor: la fedeltà vale un tesoro.
Costanzo. Posso dunque sperar?
Lavinia.   Sperar potete.
Costanzo. Vostro sposo sarò?
Lavinia.   Sì, lo sarete.
Costanzo. Temerò sempre, fin che giunga al segno...
Lavinia. Ecco la destra, del mio cuore in pegno.

SCENA IV.

Il Conte Ripoli e detti.

Conte. Eccovi, amabil dea,

Eccovi di ritorno il vostro Enea.
Lavinia. Voi serbate nel cor la bella immagine;
Ma il ritorno d’Enea tardo è a Cartagine.
Conte. Perchè?
Lavinia.   Perchè venuto
È Jarba sconosciuto.
Mi trovò abbandonata;
Onde mi ha...

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Conte.   Incenerita?

Lavinia.   No, sposata.
Conte. Furie del cieco Averno,
Mostri del nero abisso,
Orsi, tigri, leoni,
Della barbarità crudel deposito,
Su, venite, vuò fare uno sproposito.
Dov’è quel moro infido?
Vuò svenarlo sugli occhi alla mia Dido.
Costanzo. (E un bel pazzo costui). (da sè
Conte.   L’empio dov’è?
Fatelo venir qui.
Dov è il moro rivale?
Lavinia.   Eccoli lì. (accenna Costanzo
Conte. Questi! (a Lavinia
Lavinia.   Quello.
Conte.   Egli è il moro!
Lavinia. Quegli è il vostro rivale.
Conte. Questi è un vile bifolco, è uno stivale.
Costanzo. Con rispetto parlate.
Lavinia.   In lui vedete
Un cavalier che mi ama,
Che si è finto pastor per la sua dama.
Conte. Oh valoroso eroe,
Che rinnovar sapeste
La bella un dì peripezia d’Alceste.
Rendavi il Ciel felice,
Qual Demetrio scoperto a Cleonice3.
A un sì tenero amor chi può star saldo?
Tutto a sì bella azion mi passa il caldo.

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SCENA V.

La Lena e detti.

Lena. Oh signora...

Lavinia.   Che hai? Sei adirata?
Lena. Certo, son disperata.
Lavinia. Perchè?
Lena.   Perchè il briccone
Di Pippo disgraziato
Coll’Elisa è impegnato; e mi ha promesso,
E poi, meschina, mi abbandona adesso.
Lavinia. Mi dispiace davver.
Lena.   Son sassinata.
Conte. Ecco un’altra Didone abbandonata.
Lena. Se potessi di lui
Vendicarmi, il farei.
Quasi, quasi direi...
Lavinia.   Parla.
Lena.   La mano
Se la volesse... e il core...
Io darei... sì davvero... a quel pastore.
(accenna Silvio
Conte. Veggo che vi dispiace il restar sola.
Ma questo qui non fa per voi, figliuola.
Lavinia. Sotto di quelle spoglie
Vi è un cavalier compito.
Costanzo ha nome, e sarà mio marito.
Conte. Sarà? Dunque non è.
S’egli non è, signora,
Posso i miei torti vendicare ancora.
Costanzo. Vendicateli pure,
Se avete core in petto.
Fuori di queste stanze andiam, vi aspetto, (parte

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SCENA VI.

Lavinia, il Conte e la Lena.

Lavinia. Sentite? Ei vi ha sfidato.

Conte. Eh ditegli, signora, che ho burlato...
Lavinia. Sì, sì, già ve lo credo.
Conte.   Io Per amore
Guerra non voglio far. Ho cento belle
Che mi corrono dietro; e posso sciegliere
La ricchezza, il decoro e la beltà,
E son sicuro della fedeltà.
Lavinia. Sì, le ricche, le belle
Facili a ritrovare io vi concedo;
Ma le fedeli poi tanto non credo.
  Fra tante e tante
  Vaghe donzelle
  Che v’innamorano,
  Poche son quelle
  Che a un solo amante
  In petto serbano
  Fedele il cor.
  Con dolce vezzo
  Pria vi lusingano,
  Poscia4 al disprezzo
  Sovente passano;
  E più non curano
  Del vostro amor. (parte

SCENA VII.

Il Conte e la Lena.

Conte. Di questo io me ne rido:

E so essere anch’io fido, e non fido.

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Ma voi, ragazza mia,

Siete dolente molto.
Lena.   Signor sì,
Son mezza morta.
Conte.   Via, venite qui;
Farò quel che potrò.
Se afflitta siete, io vi consolerò.
Lena. Certo, se voi voleste,
Consolarmi potreste.
Conte.   Comandatemi.
Lena. Ma lo farete poi?
Conte.   Certo.
Lena. Sposatemi.
Conte. Sposarvi? Egli è un imbroglio.
(Ecco l’usato scoglio
Che troviam noi nelle ragazze belle:
Parlano di sposar, le tristarelle). (da sè
Lena. E così?
Conte.   Pronto sono
A darvi del mio amore
Ogni altro testimonio,
Fuori di questo sol del matrimonio.
Lena. (Oh meschina di me!
Tutti finora mi han desiderata,
Ed ora son da tutti disprezzata). (da sè
Conte. Protezion ne averete
Quanta, quanta volete;
Sarò di voi modestamente amico.
Lena. Andate via; non me n’importa un fico.
Conte. Non mi sprezzate, o bella;
Tutto per voi farò.
Per cavalier son qui! marito no.
  Donne care, se il volete,
  Questo cor lo dono a tutte;
  Siate belle, siate brutte,

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  Se mi amate, io vi amerò.

  Sol d’amor chiedo in mercede
  Libertà d’amar chi voglio.
  Serbar fede - mi è un imbroglio5;
  Una sola amar non so. (parte

SCENA VIII.

La Lena, poi Pippo.

Lena. Pazienza! Me la merito, lo so;

Pippo briccone, mi vendicherò.
Pippo. Grazie a lei dell’avviso.
(verso la scena di dove entrò il Conte
Già ho inteso qualche cosa.
(Così, senza volermi almen sentire,
Andarsi per vendetta ad esibire?) (da sè
Lena. (Eccolo il disgraziato.
Oh, non lo voglio più). (da sè
Pippo.   (La traditore,
Sì, me la pagherà). (da sè
Lena. (Se lo vedo morir, non v’è pietà). (da sè
Pippo. (Ma! l’ha fatto, può darsi,
Solo per ricattarsi). (da sè
Lena.   (Ei finalmente
All’Elisa non disse: io ti vuò bene). (da sè
Pippo. (No, soffrir non conviene
Il torto che mi fa). (da sè
Lena. (Basta, se non è reo, si scolperà). (da sè
Pippo. (Vuò mostrar non pensarvi). (da sè
Lena.   (Finger voglio
Di non curarlo niente). (da sè
Pippo. (Ah, se la miro...) (da sè

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Lena.   (Ah, se parlar l’ascolto...

Starò lontan). (da sè
Pippo. (Non vuò guardarla in volto). (da sè
Lena.   Pastorelli, io son da vendere;
  Chi di voi mi vuol comprar?
  A chi n’ha pochi da spendere,
  L’amor mio saprò donar.
Pippo.   Pastorelle, ancor da vendere,
  Son qua io, vi vuò comprar.
  Quel ch’io posso, voglio spendere,
  Tutto il cuor vi vuò donar.
Lena.   Chi mi compra?
Pippo.   Chi si vende?
  Chi mi viene a consolar?
(a due   Ah, che in seno, dal veleno
  Io mi sento a divorar.
Pippo.   Lena ingrata.
Lena.   Pippo indegno.
(a due   Tu m’hai fatto disperar.
  Ah, che il core - dal livore
  Io mi sento a tormentar.
Lena.   Disgraziato, - sciagurato,
  Dall’Elisa non si va?
Pippo.   Era Berto travestito,
  Te lo giuro in verità.
Lena.   Era Berto?
Pippo.   Te lo giuro.
Lena.   Travestito?
Pippo.   In verità.
Lena.   Pippo mio... s’ell’è così...
  Lena a te si venderà.
Pippo.   Ah cagnaccia, - crudelaccia,
  Silvio, il Conte, ti averà.
Lena.   Non ci penso, li ho burlati;
  Te lo giuro in verità.

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Pippo.   Non ci pensi?

Lena.   Te lo giuro.
Pippo.   Li hai burlati?
Lena.   In verità.
(a due   S’è così... s’è per me...
  La tua fè... vieni qua...
  Che il mio cor ti comprerà.
Pippo.   Quanto vuoi di quegli occhietti?
Lena.   Un tantin del tuo bel cor.
  Quanto vuoi di quei labbretti?
Pippo.   Un pochin di buon amor.

Pippo.
Lena.
a due

Quanto vai quella manina?
    Questa man si può cambiar.

  Dammela a me,

  Prendila tu;
  Più bel contratto
  Mai fatto - non fu6.
  Saltami il core,
  Balzami il petto:
  Viva il diletto,
  Viva l’amor.
  Ninfe e pastori,
  Via, giubilate,
  Meco cantate:
  Viva l’amor. (partono

SCENA ULTIMA.

Tutti.

Lavinia. Venite, o mio Costanzo;

Fra di noi si confermi il matrimonio.
Conte. Ecco, vi vuò servir di testimonio.
Berto. Farà grazia anche a noi? (al Conte
Conte.   Sì, volentieri.

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Berto. Tu sei mia. (a Cecca

Cecca.   Tu sei mio. (a Berto
Conte.   Nume bendato,
Scendi, vieni, invocato, a questa soglia.
(Me ne han fatto venire una gran voglia), (da sè

Lena.
Pippo.
a due

Sposi già siamo
    Lieti e contenti.

  Belli i portenti

  Sono d’amor.
  Ha superato
  Nume bendato
  Tutta la tema,
  Tutto il rossor.
  TUTTI
  Viva Amore, ogni uno dica,
  Viva Amore, in sì bel giorno;
  E si senta d’ogni intorno
  A cantare: evviva Amor.


Fine del Dramma Giocoso.


Note

  1. Zatta, qui e sempre: con la.
  2. Geremia: S’abbiamo.
  3. Alludesi al Demetrio (1731) del Metastasio, creduto Alceste.
  4. Così Zatta, Nell’ed. Geremia: Poi.
  5. Zatta: mi è d’imbroglio.
  6. Zatta: Mai fatto fu.