La capitana del Yucatan/19. L'assalto dei negri
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CAPITOLO XIX.
L’assalto dei negri.
Cordoba si era precipitato giù dai sacchi che gli avevano servito da letto e si era affacciato alla porta della batey, tenendosi però prudentemente celato dietro una enorme caldaia rovesciata, per non ricevere qualche scarica di mitraglia.
Una dozzina di negri quasi nudi, non avendo che un paio di mutande ed un cappellaccio di foglie di palma, armati alcuni di tromboni ed altri di machette, s’avanzavano attraverso i solchi della piantagione, gesticolando come scimmie ed urlando come ossessi.
Non si poteva dubitare sulla loro direzione; si dirigevano verso la batey coll’evidente intenzione di scovare lo spagnuolo e di prenderlo.
— Che siano i negri che vegliavano dinanzi alla galleria? — si chiese Cordoba, con inquietudine. — I due coraggiosi che abbiamo fatto fuggire possono essersi accorti che noi eravamo degli spiriti di carne ed ossa ed aver seguìto le nostre tracce.
— Signore, — disse in quell’istante lo spagnuolo, che gli si era messo vicino. — Non conoscete quei due negri armati di quei mostruosi tromboni?...
— Mi sembra che siano...
— Manco ed il suo compagno, signor tenente.
— Ah!... I furfanti!... Saranno furiosi per lo spavento provato.
— E probabilmente risoluti a vendicarsi.
— Eccoci in un bell’impiccio, amico Quiroga!...
— Fortunatamente non sono in tale numero da farci paura, signore.
— No, se non avessi un timore.
— E quale?
— Che precedano una banda di creoli.
— Finora non si vedono.
— Possono essere ancora nel bosco.
— Cosa facciamo?
— Voi mirate Manco ed io il vecchio.
— E poi?
— Poi fuggiamo a tutte gambe, e ci gettiamo nella foresta, onde evitare il pericolo di farci nuovamente assediare. Badate alle trombonate di quei bombardieri.
— Non temete: sono bene riparato. —
I negri s’avanzavano sempre urlando e dimenandosi, come già fossero ormai certi di avere in mano i due fuggiaschi e per fare qualche cosa, cominciarono a far tuonare i loro tromboni, quantunque fossero ancora tanto lontani da non avere la minima speranza che i proiettili potessero giungere fino alla batey.
Manco ed il suo compare, dinanzi a tutti, facevano sfoggio di coraggio, a parole, minacciando di far saltare l’intero fabbricato a colpi di trombone e giurando che avrebbero ridotti in polvere i due fuggiaschi se non si fossero prontamente resi. Giunti però a cento passi dalla batey, tutta la loro spavalderia scomparve e passarono prudentemente in coda, lasciando che andassero innanzi gli altri.
— I poltroni! — mormorò Cordoba. — Credo che non occorre storpiare nessuno per vedere tutti quei valorosi a scappare coi loro tromboni. Quiroga!...
— Signore!...
— Risparmiamo quei poveri diavoli.
— Se potessero averci nelle mani non risparmierebbero noi, anzi vi assicuro che si affretterebbero ad appenderci pei piedi al primo albero, per poi arrostirci vivi o per scannarci come vitelli con un buon colpo di machette. Conosco la crudeltà di quei furfanti.
— Allora mandiamone un paio all’altro mondo o limitiamoci a porli fuori di combattimento. —
I negri si erano arrestati per ricaricare i loro tromboni, prima di avvicinarsi alla batey. Cordoba e lo spagnuolo puntarono i loro fucili e fecero fuoco quasi contemporaneamente.
Il prode Manco ed il suo vecchio compare, quantunque si fossero prudentemente tenuti dietro ai loro compagni, caddero urlando disperatamente, come se già fossero moribondi, mentre cadeva pure uno della prima fila, ma questo senza mandare un gemito.
Gli altri, spaventati da quella doppia scarica, fuggirono all’impazzata attraverso i solchi della piantagione, senza pensare a scaricare i loro tromboni e si cacciarono nella foresta.
— Che gambe!... — esclamò Cordoba, ridendo. — Toh... cosa fanno Manco ed il vecchio?... Gridano come oche mentre sono certo di non aver colpito nè l’uno nè l’altro.
— Il mio uomo però è caduto e credo che non si alzerà più mai, — disse lo spagnuolo. — Gl’insorti non risparmiano noi spagnuoli quando cadiamo nelle loro mani ed io non risparmio loro quando lo posso.
— Oh!... I furbi!... —
Quell’esclamazione era stata strappata a Cordoba vedendo i ... quindi trascinati in fondo, e rotolati ora a manca, ora a destra due valorosi negri strisciare lungo i solchi per allontanarsi inosservati. Nè l’uno nè l’altro sembravano feriti; per tema di dover subire il fuoco di una seconda scarica si erano lasciati cadere al suolo, fingendosi moribondi.
— Il diavolo vi porti, poltronacci!... — esclamò il lupo di mare. — Ehi, amico Quiroga, prendiamo il largo prima che giungano dei rinforzi. —
Attraversarono la batey ed uscirono dall’altra parte, cacciandosi in mezzo ad alcuni filari di canne che erano sfuggite all’incendio.
Un quarto d’ora dopo essi si trovarono ancora in mezzo alle palme, ai caobas, ai cedri, ai banani, ai manghi ed ai tamarindi della foresta, senza che i negri avessero osato di inseguirli e forse senza che avessero potuto scorgerli.
Volendo frapporre fra loro e gl’insorti il maggior spazio possibile, si arrestarono un solo minuto per dissetarsi ad un torrentello, poi ripresero la corsa internandosi sempre nella foresta e tenendo costantemente una direzione invariabile, cioè dirigendosi verso il sud-est per poter giungere al campo del capitano Pardo.
Quella marcia rapida durò quattro ore, poi entrambi sfiniti pel caldo, per la stanchezza e per la fame si fermarono sulle rive di una savana, sulle cui acque si vedevano volteggiare miriadi di beccaccini e di trampolieri.
— Auff!... Non ne posso più!... — esclamò il lupo di mare, lasciandosi cadere su di una radice che serpeggiava al suolo come un rettile gigantesco. — Se non troviamo qualche cosa da porre sotto i denti, io non farò più un passo.
— Io non vedo che un caimano che sonnecchia laggiù, su quel banco di fango, — disse lo spagnuolo. — I negri non si fanno pregare a mangiare la coda di quegli anfibi; però dubito che voi possiate vincere la ripugnanza che ispirano quelle brutte bestie.
— Dite piuttosto il profumo diabolico che le impregna e che non saprei tollerare. Puah!... Carne che puzza di muschio ad un chilometro di distanza!... Non ci vuole che lo stomaco d’un negro per mandarla giù!
— È vero, signore.
— Cerchiamo di scovare qualche cinghiale; una volta erano numerosi nelle savane.
— Gl’insorti, costretti a vivere di sola selvaggina, li hanno distrutti. Ah!...
— Cosa avete?...
— Io credo che voi siate fortunato.
— Avete veduto delle bistecche?...
— Vedo quelle macchie basse ad agitarsi.
— Allora della selvaggina si nasconde là in mezzo.
— Lo sospetto.
— Badate che invece non siano insorti imboscati.
— No: ascoltate!...
— Dei grugniti!... Vi sono dei cinghiali!...
— Stiamo in guardia; quegli animali hanno delle zanne d’acciaio e non temono l’uomo.
— Lo so, ma non è il momento di esitare. Nascondiamoci dietro questi cedri e prepariamoci a fare una buona scarica. —
Il lupo di mare ed il suo compagno, sapendo già che non vi era da scherzare con quegli animali, si cacciarono in mezzo ad un piccolo spazio racchiuso fra quattro enormi cedri che potevano, in caso di un attacco, servire di barriera ed attesero che la selvaggina si mostrasse.
I grugniti aumentavano ed i rami dei cespugli si agitavano in tutte le direzioni. Pareva che una banda numerosa fosse entrata nella macchia per cercare le succulenti radici che formavano il principale nutrimento di quegli irascibili e deliziosissimi — messi allo spiedo — animali.
— Hum!... — mormorò Cordoba. — Vi è il pericolo di passare un brutto quarto d’ora.
— Guardate!... — disse lo spagnolo. — Escono dalla macchia. —
Parecchi cinghiali, quindici o venti per lo meno, guidati da un vecchio maschio le cui setole erano ormai diventate grigie, erano usciti dirigendosi lentamente verso le rive della savana.
Erano tutti di grossa taglia e armati di lunghe zanne, che battevano l’una contro l’altra, producendo un rumore minaccioso e che suonava poco gradito agli orecchi dei due cacciatori.
— Aspettate che qualcuno si sbandi, — disse lo spagnuolo, abbassando prontamente il fucile di Cordoba. — Se facciamo fuoco in questo momento, li avremo tutti addosso e ci faranno a pezzi.
— Aspettiamo, — rispose Cordoba. — Quantunque la sia dura avere una fame d’antropofago e vedere tanti deliziosi prosciutti senza poterli gustare.
— Ci va di mezzo la nostra pelle, signore. —
I cinghiali, dopo essersi dissetati, cominciarono a disperdersi lungo le rive della savana. Alcuni si erano immersi nel fango rovesciando le canne palustri per mangiarne le radici, mentre altri si erano ricacciati fra le macchie.
Il vecchio maschio invece era rimasto sulla riva come si fosse messo in sentinella.
Cordoba e lo spagnuolo attesero un quarto d’ora, poi, quando videro che la banda si era già assai discosta, alzarono i fucili mirando il vecchio. Stavano già per far scattare il colpo, quando lo videro alzarsi bruscamente mandando un grugnito più forte del solito, rizzare le setole, agitare disordinatamente le lunghe orecchie, quindi scagliarsi verso un cespuglio che era poco lontano.
— Che ci abbia scorti? — chiese Cordoba, alzandosi.
— No, — rispose lo spagnuolo, che lo aveva imitato. — Non è con noi che sta per prendersela. Eh!... Udite?...
Un sibilo acuto si era udito a poca distanza dal gruppo di cedri, il sibilo d’un rettile in collera.
— Ora comprendo, — disse lo spagnuolo. — Ha scorto un serpente e sta per assalirlo. Là!... Lo vedete?... —
Il lupo di mare si alzò sulla punta dei piedi e attraverso i rami che lo nascondevano scorse un grosso serpente il quale si era già lestamente arrotolato, mostrando però minacciosamente la sua lancetta mobilissima ed i suoi due denti velenosi.
— È un serpente a sonagli, — disse lo spagnuolo.
— E non ha paura il vecchio cinghiale? — chiese Cordoba, stupito.
— Finirà col mangiare il crotalo, signore.
— Se viene morsicato morrà.
— V’ingannate; contro i porci il veleno dei serpenti non ha effetto.
— Ecco una cosa che difficilmente crederò, amico.
— Non avete mai saputo come si fa a purgare una piantagione quando è invasa dai serpenti?...
— No.
— Si conducono alcune scrofe coi loro piccini ed in pochi giorni s’incaricano di distruggerli tutti. Ah!... Guardate!... Guardate, signore!... —
Il crotalo scorgendo il suo nemico aveva svolte rapidamente le sue spire e si era alzato quanto era lungo, mentre la sua coda, battendo il suolo, faceva risuonare i sonagliuzzi cornei. Sibilava furiosamente ed i suoi piccoli occhi parevano mandassero fiamme.
Il vecchio cinghiale non pareva gran che inquieto per l’atteggiamento del rettile. Sicuro di se stesso, certo della vittoria, si era fermato a tre passi di distanza, guardandolo e battendo rumorosamente le lunghe zanne.
Ad un tratto si slanciò. Il rettile, pronto come un lampo, s’allungò per colpire ed iniettare il terribile veleno, ma il cinghiale si piegò bruscamente e ricevette il morso in una ripiegatura del ventre, nella parte protetta dallo strato grasso.
Il crotalo, dopo quel primo morso cercò di raccogliersi su se stesso. Il cinghiale non gli lasciò il tempo. Le sue mascelle si aprirono e si chiusero attorno al capo dell’avversario, mentre coi piedi anteriori pestava con furore la coda, schiacciandola completamente.
Quando vide che aveva cessato di vivere, si accovacciò mandando un grugnito di soddisfazione e si mise a divorarlo tranquillamente, senza preoccuparsi della ferita ricevuta, ferita mortale per qualunque altro animale e per l’uomo soprattutto, e assolutamente inoffensiva per lui.
Cordoba, che aveva seguito con interesse quello strano combattimento, che dava piena ragione alle previsioni dello spagnuolo, alzò il fucile e fece fuoco.
Il vecchio cinghiale, interrotto così brutalmente nel suo pasto, s’alzò di scatto mandando un urlo acuto strappatogli un po’ dal dolore prodottogli dalle ferite ed un po’ dalla rabbia e vedendo la nube di fumo ondeggiare ancora fra le piante, si scagliò verso quella parte con una rapidità incredibile.
Lo spagnuolo lo attendeva per dargli il colpo mortale. Vedendolo a soli pochi passi, alzò il fucile, ma nel fare quell’atto urtò contro una liana ed il colpo partì in alto.
— Fuggite!... — gridò Cordoba.
Lo spagnuolo lo avrebbe ben volentieri obbedito se ne avesse avuto il tempo. Il cinghiale, che era stato solamente ferito dalla palla del lupo di mare, in un baleno gli rovinò addosso, atterrandolo e cercando d’azzannarlo.
— Aiuto! — gridò il povero soldato.
— Ci sono, — rispose Cordoba.
Aveva cacciato un’altra cartuccia nel fucile ed era balzato innanzi. Appoggiare la canna in un orecchio del cinghiale e fare fuoco fu la cosa d’un istante.
Lo sparo si confuse in un urlo, l’ultimo. L’animale, fulminato dal proiettile, era ruzzolato da un lato rimanendo immobile.
— Grazie, signore, — disse lo spagnuolo.
— Siete ferito? — chiese premurosamente Cordoba.
— No, ma se tardavate un solo istante non so come mi avrebbe conciato.
— Eh!...
— Cosa?
— Carrai!...
— I compagni del maschio?
— Un uragano!... —
La banda dei cinghiali, prontamente radunatasi, passava in quel momento attraverso la foresta a galoppo sfrenato, tutto fracassando sul suo passaggio e venne ad arrestarsi a cinquanta passi dai due cacciatori mandando dei grugniti minacciosi, poi fece un rapido dietro fronte e scomparve in mezzo agli alberi colla velocità di un treno ferroviario.
— Carramba! — esclamò Cordoba, respirando a pieni polmoni. — Credevo che tutti quei bestioni si gettassero su di noi per vendicare il vecchio maschio.
— Anch’io, — rispose lo spagnuolo. — Sono coraggiosi, nondimeno talvolta un nonnulla basta a spaventarli ed a metterli in fuga.
— Il diavolo se li porti e ci lascino far colazione tranquilli. Ce la siamo guadagnata mettendo a repentaglio la nostra pelle; abbiamo quindi il diritto di gustarla senza altre noie. Ah!... Se la marchesa fosse qui!... Come sarebbe contenta di questo pasto da cacciatori, in mezzo a questa foresta! Mille lampi!... Alla malora Pardo e quei piratacci di yankees.
— La ritroveremo, signore, — rispose lo spagnuolo che stava tagliando al cinghiale una gamba deretana per metterla ad arrostire. — Io sono certo di giungere presto al campo degli insorti.
— E quando saremo giunti, cosa faremo?
— Lo si vedrà, signore.
— Ritorneremo all’Yucatan senza nulla avere fatto.
— Per agire più tardi. Quando noi sapremo cosa sarà accaduto di donna Dolores, vedremo cosa si dovrà fare per strapparla a Pardo. —
Lo spagnuolo, tagliata la coscia del cinghiale, aveva raccolto dei rami secchi ed aveva acceso il fuoco, mettendo ad arrostire quel succolento pezzo di selvaggina, dopo d’averlo infilzato nella bacchetta d’acciaio del fucile.
La fame dei due cacciatori era tanta, che non attesero che l’arrosto fosse cucinato perfettamente. Coi coltelli che possedevano lo fecero a pezzi, servendosi per piatto d’una gigantesca foglia di banano e si misero a divorare col maggior appetito.
Avevano già mandati giù alcuni bocconi, quando una voce gridò in tono allegro:
— Si può prendere posto alla tua tavola, camerata Quiroga? Sono quindici ore che ti cerco. —
Lo spagnuolo udendosi chiamare per nome s’era alzato precipitosamente, intanto che Cordoba, non sapendo ancora con chi avesse da fare, lasciava cadere il boccone che stava portando alle labbra per afferrare il fucile.
Un uomo vestito di tela bianca, con un cappellaccio di paglia ed a piedi nudi, era improvvisamente comparso fra gli alberi.
Era un giovanotto di forse venti o ventidue anni, dalla pelle assai abbronzata, dai lineamenti angolosi, con baffetti neri appena nascenti, due occhi nerissimi ed irrequieti. Non aveva fucile; alla cintola portava invece una lunga navaja, arma formidabile, specialmente nelle mani dei baschi e dei catalani.
— Tu, Padilla!... — esclamò il soldato, con vivo stupore.
— Se i tuoi occhi sono ancora in ottimo stato, devi vedere che sono io in carne ed ossa, — rispose il nuovo venuto.
Poi guardando Cordoba, disse, levandosi il cappello:
— Forse il comandante in seconda del Yucatan?
— Sì, — rispose il lupo di mare facendo un gesto di sorpresa. — Ma... Come mi conoscete?... Io non vi ho mai veduto.
— Lo credo, signore, — rispose il giovanotto, con un sorriso — e pel semplice motivo che io non sono mai stato nè al Messico, nè a bordo del Yucatan.
— E come sapete voi che io sono il tenente Cordoba?
— Mi avevano detto che eravate in compagnia del mio camerata.
— Mi cercavate forse?
— Sì, signore.
— Da parte di chi?
— Della signora marchesa del Castillo e del capitano Carrill.
— Per mille pesci cani!... Voi avete veduto la marchesa? Dove si trova?
— Ora sarà già giunta ai cayos di S. Felipe.
— A S. Felipe!... Alle isole?...
— Sì, signore.
— È forse fuggita dalle mani di Pardo?...
— Non ha avuta questa fortuna. È stata mandata colà per essere consegnata ad una nave americana.
— E quando giungerà quella nave? — chiese Cordoba, che era diventato pallido.
— Lo si ignora, credo però che fareste bene a tornare subito a bordo del Yucatan ed a salpare pei cayos di S. Felipe.
— È ciò che faremo subito, — disse Cordoba. — Sapete se Pardo tenterà qualche cosa contro l’Yucatan?
— Credo che stia organizzando una forte spedizione per cercare di prenderlo.
— Ah! La vedremo!... Quando avete lasciato il campo?
— Ieri sera alle undici, avendo dovuto attendere che tutti dormissero per fuggire.
— Speravate d’incontrarci?
— Se non qui, certo nei dintorni del fortino.
— Mangiate un boccone con noi, poi partiamo senza ritardi. Bisogna giungere ai cayos prima dell’arrivo della nave americana o la marchesa sarà perduta.
Sapete guidarci alla baia di Corrientes?
— Sono cubano della provincia di Pinar del Rio, perciò conosco tutte le coste occidentali dell’isola.
— Affrettiamoci. —
Fecero colazione senza perdere altro tempo, tagliarono alcuni pezzi di cinghiale che arrostirono onde si conservassero più a lungo, poi si misero subito in marcia dirigendosi verso il sud, onde evitare gl’insorti che occupavano il fortino e fors’anche i dintorni.
Durante la marcia il camerata di Quiroga informò Cordoba di quanto era accaduto alla marchesa e dei tentativi fatti da Pardo per farle cedere il carico del Yucatan, tentativi assolutamente vani come già i lettori sanno.
Durante tutta la giornata il tenente ed i due soldati marciarono con gran lena verso il sud, non facendo che delle brevissime fermate per riposare qualche po’.
Alla sera, dopo d’aver percorso oltre trenta chilometri attraverso a boschi senza fine ed a paludi, s’accampavano a breve distanza dal mare, in cima ad un poggio coperto di folte piante.
L’indomani, dopo una notte tranquilla, ripartivano per attraversare la penisoletta di Corrientes che divide la baia omonima dalle acque dell’ensenada di Cortez, ed alle quattro del pomeriggio, sfiniti da quella rapida corsa, giungevano sulla sponda opposta.
— L’Yucatan non deve essere lontano, — disse Cordoba.
— L’avete ancorato all’estremità dell’ensenada? — chiese il camerata di Quiroga.
— Entro un fiumicello nascosto da paletuvieri.
— So dove si trova.
— Siamo lontani?
— Più vicini di quello che credete. —
In quell’istante a breve distanza si udirono a rintronare alcuni spari e delle palle fischiarono agli orecchi di Cordoba e dei suoi due compagni.
— Mille pesci cani! — urlò il lupo di mare. — Gl’insorti di già qui?... Il mio Yucatan! —
Alcuni uomini erano sbucati improvvisamente fra i paletuvieri, coi fucili ancora fumanti. Un grido di stupore ed insieme di gioia sfuggì ai loro petti:
— Il signor Cordoba!...
— Carrai!... — gridò il lupo di mare. — I miei marinai!... Amici, siamo salvi. —