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La cattura del cubano 169

L’indomani, dopo una notte tranquilla, ripartivano per attraversare la penisoletta di Corrientes che divide la baia omonima dalle acque dell’ensenada di Cortez, ed alle quattro del pomeriggio, sfiniti da quella rapida corsa, giungevano sulla sponda opposta.

— L’Yucatan non deve essere lontano, — disse Cordoba.

— L’avete ancorato all’estremità dell’ensenada? — chiese il camerata di Quiroga.

— Entro un fiumicello nascosto da paletuvieri.

— So dove si trova.

— Siamo lontani?

— Più vicini di quello che credete. —

In quell’istante a breve distanza si udirono a rintronare alcuni spari e delle palle fischiarono agli orecchi di Cordoba e dei suoi due compagni.

— Mille pesci cani! — urlò il lupo di mare. — Gl’insorti di già qui?... Il mio Yucatan! —

Alcuni uomini erano sbucati improvvisamente fra i paletuvieri, coi fucili ancora fumanti. Un grido di stupore ed insieme di gioia sfuggì ai loro petti:

— Il signor Cordoba!...

Carrai!... — gridò il lupo di mare. — I miei marinai!... Amici, siamo salvi. —


CAPITOLO XX.


La cattura del cubano.


Gli uomini che Cordoba aveva scambiati per insorti, erano marinai del Yucatan in perfetta tenuta di combattimento, come se si recassero ad eseguire qualche pericolosa ricognizione od andassero ad affrontare il nemico.

Erano una trentina, guidati da un contro-mastro, un giovane alto quanto un granatiere di Pomerania e robusto come un toro e che aveva già dato prove non dubbie d’un coraggio a tutta prova e d’un'abilità ed intelligenza non comuni.

Cordoba in pochi salti aveva raggiunto i suoi bravi marinai, i quali non parevano meno sorpresi di lui di quel fortunato incontro.

— Dove andavate voi? — chiese egli, fermandosi dinanzi al contro-mastro.

— Ma... in cerca di voi, mio tenente, — rispose il marinaio.

— Di me?...

— Avevamo saputo che eravate assediato in un fortino assieme alla Capitana.