La capanna dello zio Tom/Capo XXX

XXX. Il magazzino degli schiavi

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
XXX. Il magazzino degli schiavi
Capo XXIX Capo XXXI

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CAPO XXX.


Il magazzino degli schiavi.


Un magazzino de’ schiavi! Taluno de’ miei lettori potrà formarsi per avventura un’idea orribile di cotal luogo; fantasticarsi un luogo buio, tetro, immondo, un Tartarus informis, ingens, cui lumen ademptum. Niente di tutto questo, candido amico mio; a’ dì nostri gli uomini hanno imparata l’arte di fare il male con molta delicatezza e maestria per non offendere li occhi e li orecchi della rispettabile società. La proprietà umana si vende ad alto prezzo sopra i mercati; quindi è ben nutrita, ben alloggiata, tenuta ben monda, acciò, messa in vendita, possa far bella mostra di sè. Un magazzino di schiavi, nella Nuova-Orleans, è una casa decente, che differisce ben poco dalle case ordinarie; e qui si veggono tutto il giorno, lunghesso il muro esteriore, disposti in ordine, alcuni uomini e donne, come insegna di negozio.

Sarete invitati cortesemente ad entrare, esaminare, ed ivi troverete buon numero di mariti, di mogli, di fratelli, di sorelle, di padri, di madri, di fanciulletti, per essere «venduti separatamente o in lotti,» secondo meglio torna all’acquisitore; e questa anima immortale, riscattata un giorno dal sangue, dall’agonia del figliuolo di Dio, nell’ora in cui la terra si squarciò, le roccie si spezzarono, e le tombe si scoperchiarono, può esser venduta, scambiata con altra qualsiasi merce di droghe o salumi, secondo le eventualità del commercio o il capriccio del mercante.

Uno o due giorni dopo il colloquio tra Maria e miss Ofelia, Tom, Adolfo e una mezza dozzina circa d’altri schiavi appartenenti alla casa Saint-Clare, furono condotti al magazzino del signor Skeggs, che, nella via......... tiene un deposito di quelli schiavi che debbono esser messi in vendita il giorno appresso.

Tom, come li altri suoi compagni, avea seco una grossa cassa piena di biancheria. Furon messi a dormire in un lungo camerone, dove trovarono radunati molti altri uomini d’ogni età, d’ogni statura, d’ogni gradazione di colore, i quali ridevano, schiamazzavano all’impazzata.

— «Ah! ah! così va bene! coraggio, figliuoli miei! — disse il signor Skeggs, il custode. — Sempre così allegri! ah sei tu, Sambo!» [p. 325 modifica]diss’egli, volgendosi con aria di approvazione a un grosso negro, il quale suscitava, colle sue vili buffonerie, le risa sgangherate che Tom avea udite nell’entrare.

Come facilmente si può immaginare, Tom aveva tutt’altra voglia che di concorrere a quella allegrezza; e perciò, deposta la sua cassa nell’angolo più appartato, vi siedette sopra, e appoggiò il capo al muro.

I mercanti di carne umana si adoprano sistematicamente a tutt’uomo per tener li schiavi in baldoria, per renderli meno riflessivi, meno conscii, diremmo quasi, della loro condizione. Finchè il negro, venduto sul mercato del Nord, non giunge nel Nord, il padrone mette in opera ogni espediente per depravarlo, per indurirlo. Il mercante mette insieme la sua mandra nelle Virginia, nel Kentucky, e la conduce in luoghi salubri, perfino ai bagni termali, collo scopo di ingrassarla. Qui li schiavi son ben pasciuti; e perchè qualcuno inclina alla malinconia, si tiene comunemente fra essi un suonator di violino, e si ingiunge loro di ballare. Se qualcheduno, troppo memore di sua moglie, de’ suoi figli, della sua casa, ricusa di ballare, non infinge allegrezza, è notato come riottoso, pericoloso, e si espone a tutti i mali trattamenti che un padrone inumano, sciolto dal freno di ogni legge, può infliggergli. Si comanda ad essi d’esser gaio, desto, gioviale, specialmente alla presenza dei compratori, sia colla speranza di trovare un buon padrone, sia colla minaccia del castigo, se mai la merce rimane invenduta.

— «Che fai tu qui? — chiese Sambo, avanzandosi verso Tom, non sì tosto il signor Skeggs uscì di camera. — Sambo era un negro, alto, aitante della persona, pieno di mille bindolerie da buffone. «Stai facendo la meditazione?»

— «Domani sarò venduto all’incanto» rispose Tom tranquillamente.

— «Venduto all’incanto! Oh! oh! Che gran male! vorrei anch’io trovare lo spaccio! e certo, vi farei ridere. Ma questo giovane deve essere venduto anch’egli domani?» chiese Sambo ponendogli domesticamente la mano sulla spalla.

— «Vi prego a lasciarmi solo!» disse alteramente Adolfo, e svincolandosi con affettazione di ribrezzo.

— «Oh! oh! ragazzo mio! Guardate che nero-bianco! vero color di crema e tutto olente! — soggiunse Sambo, facendo atto di annasarlo. — Starebbe bene in una bottega di tabaccaia; basterebbe egli solo a profumarla.»

— «Scostatevi, vi ripeto!» gridò Adolfo infuriato.

— «Oh come siete aspri, voi neri-bianchi! Guardatevi! — E Sambo si diede ad imitare burlevolmente i modi di Adolfo; — siete gente di qualità. Si vede che avete appartenuto a buona famiglia.»

[p. 326 modifica]— «Sicuramente! — riprese Adolfo; — il mio padrone avrebbe potuto comprarvi tutti.»

— «Badate a noi, figliuoli miei - disse Sambo; guardate che bei gentlemen siamo noi.»

— «Appartenevo alla famiglia Saint-Clare» soggiunse Adolfo con orgoglio.

— «Vorrei essere impiccato se il tuo padrone non si reca a fortuna a sbarazzarsi di te. Ti metteranno probabilmente in vendita a fascio con stoviglie rotte e simili arnesi» — disse Sambo con sogghigno provocante.

Adolfo, infuriato più che mai, si cacciò addosso al suo avversario tempestandolo con pugni e con calci. Gli altri schiavi si misero a fischiarlo e a sbellicar dalle risa; il custode comparve all’uscio della camera.

— «Che vi è, ragazzi? all’ordine, all’ordine;» diss’egli, facendosi innanzi con un lungo scudiscio alla mano.

Tutti fuggirono in diverse direzioni, tranne Sambo; avvantaggiandosi del favore che egli godeva presso il padrone come buffone patentato, stette fermo, inclinando destramente il capo ogni qualvolta il frustino accennava a lui.

— «Oh padrone, noi siamo tranquilli; chi mette tutto sossopra sono i nuovi venuti.» Il custode si spinse allora verso Tom e Adolfo, e distribuì loro, senza altra spiegazione, un buon paio di pugni e di calci; quindi, disposta ogni cosa perchè stessero quieti e dormissero, uscì dalla camera.

Mentre ciò avveniva nel dormitorio degli uomini, il lettore sarà forse curioso di gettare uno sguardo nella camera corrispondente, destinata alle donne. Vedi qua e là sdraiate sul pavimento queste infelici, in diversi atteggiamenti; donne d’ogni colore, dall’ebano più terso al quasi bianco, di tutte le età, dall’infanzia sino alla vecchiaia. Qui è una vezzosa giovinetta di dieci anni, la cui madre fu venduta ieri appunto, e che ora piange disperatamente, perchè è costretta a dormir sola, lungi dalla materna tutela. Qui è una negra vecchia e logora, le cui braccia istecchite e le dita callose ti indicano aver dessa sopportate dure fatiche, aspettando di esser venduta al domani tra li articoli di intima merce; altre quaranta o cinquanta giacciono qua e là a terra colle tempia fasciate stranamente da cenci di varie stoffe. Ma in un angolo, in disparte della turba, si veggono due donne di non comune apparenza. Una di esse è una mulatla decentemente vestita, dai quaranta ai cinquanta anni, dagli occhi accorti e soavi e dalla piacevole fisonomia. Porta intorno al capo una specie di turbante, fatto con un fazzoletto di madras rosso, bellissimo; la veste, di buona stoffa, le si attaglia graziosamente alla persona, e ben dimostra che è stata fatta da mano industre e diligente. Le si stringe con ansia [p. 327 modifica]al fianco una giovinetta di quindici anni — sua figliuola. È dessa mulatta, della qualità più fina, tuttochè si riveli a primo sguardo la sua perfetta somiglianza colla madre. È vestita con molta convenevolezza; le sue mani bianche e delicate ti annunziano che attese ben poco a lavori servili. Amendue debbono esser vendute al dimani, in un sol lotto cogli schiavi di Saint-Clare; il gentleman cui appartengono e cui debbesi inviare il denaro della vendita, è un membro della chiesa cristiana in Nuova-York, il quale riceverà il danaro, e quindi si avvicinerà all’altare del comun Padre e Signore, nè più oltre vi penserà.

Queste due infelici, che chiameremo Susanna ed Emmelina, furono addette personalmente al servizio di una gentile e pia signora di Nuova-Orieans, che le fece educare con molta attenzione e benevolenza. Impararono a scrivere, a leggere; furono ammaestrate diligentemente nelle cose di religione, e vissero felici, quanto la loro condizione potea comportare. Ma l’unico figlio della loro protettrice avea l’amministrazione dei beni materni; per incuranza, per bizzarria li oberò di debiti, e finalmente andò in rovina. Tra la lista dei creditori primeggiava la risponsabile casa di B. e Comp, di Nuova-York, il cui capo avea scritto al suo agente in Nuova-Orleans di porre il sequestro sui beni (questi due articoli e alcuni schiavi di una piantagione ne formavano, quasi soli, la miglior parte); l’agente scrisse a tal uopo ai suoi corrispondenti in Nuova— York. Il signor B., che era, come dicemmo, buon cristiano e dimorante in stato libero, ebbe qualche scrupolo a questo riguardo: non gli garbava far traffico di carne umana; ma si trattava di guadagnare trenta mila dollari; e questa era somma troppo cospicua per sacrificarla ad un principio. Quindi, dopo aver ben pensato e preso consiglio da coloro che sapeva l’avrebbero incoraggiato all’opera, il fratello B. scrisse all’agente di acconciar la cosa come egli credea meglio, e di condurla a compimento.

Al domani del giorno in cui la lettera era giunta a Nuova-Orleans, Susanna ed Emmelina furono legate e condotte insieme al deposito per aspettare un incanto generale che doveva aver luogo il dì appresso. Possiamo distinguerle al fioco lume di luna che cade sovresse dalla finestra, e ascoltare i loro discorsi a voce sommessa. Piangono amendue, ma di soppiatto, per tema che l’una oda l’altra. '

— «Madre, adagia il tuo capo sulle mie ginocchia e vedi se puoi dormire un tantino» disse la giovinetta, sforzandosi di parer tranquilla.

— «Non ho voglia di dormire, Emmelina! nol posso. E l’ultima notte che stiamo insieme.»

— «Oh madre, che dici mai? Forse saremo vendute insieme; chi sa?»

— «Se ciò talvolta avvenisse, potrei sperarlo, Emmelina; — disse la madre — ma il timore di perderti è tale, che io non veggo se non il pericolo.»

[p. 328 modifica]— «Perchè, mamma mia? l’agente disse che abbiamo amendue bel garbo e che saremo vendute insieme.»

Susanna si richiamò a memoria gli sguardi e le parole di quell’uomo; il cuore le si strinse nel ricordarsi come avesse notate le mani di Emmelina, sollevate le ciocche de’ suoi capelli e dichiarata la giovane articolo di prima qualità! Susanna era stata educata cristianamente, era avvezza a legger la Bibbia ogni giorno; e sentiva, quanto ogni altra madre cristiana avrebbe potuto sentire, tutto l’orrore di veder sua figliuola venduta ad una vita di ignominia; ma non avea più speranza — nè protezione.

— «Madre, credo che potremmo stare assai bene, se ci fosse dato di collocarci, tu come cuciniera, ed io come cameriera, o cucitrice nella famiglia stessa, lo spero bene. Facciam le allegre quanto è possibile; diciamo a tutti ciò che sappiam fare, e riusciremo» disse Emmelina.

— «Domattina — disse Susanna — sarà bene che ti sciolga le treccie dei capelli e te li annodi dietro il capo.»

— «Perchè, mamma? parmi di star bene così.»

— «Sì; ma sarai meglio venduta.»

— «Non comprendo il perchè!» riprese la figliuola.

— «Famiglie rispettabili saranno più disposte a comprarti, se ti veggono in aspetto modesto ed ingenuo, che se ti sforzassi di comparir bella. Conosco il mondo meglio di te» disse Susanna.

— «Farò come dici, mamma mia.»

— «E se domani, Emmelina, ci dovessimo separare per sempre — se io andassi venduta in una piantagione e tu in un’altra — ricordati in qual modo sei stata educata, ricordati quanto la signora ti solea dire. Prendi con te la tua Bibbia e il tuo libricciuolo d’inni; se tu sarai fedele al Signore, il Signore sarà fedele anche a te.»

Così parlava, colla morte in cuore, la povera madre; sapeva ben ella che al domani, un uomo qualunque, vile, brutale, inumano quanto vuolsi, purchè avesse danaro da pagarla, potrebbe divenir possessore di sua figliuola, di tutta la sua figliuola; ed allora come potrebbe ella mai restar fedele? Tutte queste cose rivolgea in animo nell’abbracciar sua figliuola, ed avrebbe voluto che fosse men bella, meno avvenente. Parea perfin le dolesse il ricordare come fosse stata educata castamente, religiosamente, più di quanto comportava la sua condizione. Ma non aveva altro conforto che di pregare; e quante preghiere di cotal fatta sono state innalzate a Dio da queste stesse carceri pulite, ben arredate — preghiere che Dio non ha certo dimenticate, come dimostrerà un giorno; perchè è scritto: «chi scandalizzerà uno di questi pusilli, meglio sarebbe per lui sospendersi al collo una pietra da mulino e precipitarsi in mare.»

[p. 329 modifica]I dolci, tranquilli raggi della luna delineavan l’ombra della interriata su quelle povere creature giacenti a terra. La madre e la figliuola si misero a cantare un inno selvaggio, melanconico, specie d’elegia funebre molto in uso tra i Negri.

    Dove è Maria dolente?
Tra la beata gente
Beata anch’essa andò;
    Deposto ha il fragil velo;
Nella gran patria, in cielo,
L’anima pia volò.

Queste parole, cantate da voci d’una dolcezza malinconica particolare, con tale espressione che parea il sospiro del dolore verso le speranze del cielo, risuonavano con patetica cadenza tra le oscure pareti del carcere.

Sila e Paolo or dove sono?
    Dell’Eterno innanzi al trono,
    D’ogni gioia accolti in son;
Han deposto il mortal velo,
    Son volati entrambi al cielo,
    Nella terra d’ogni ben.

Cantate, povere anime! la notte è breve, e il mattino vi dividerà per sempre.

Ed ecco aggiorna, ciascuno è desto; il degno sig. Skeggs è tutto lieto e affaccendato per preparare un bel lotto da porre all’incanto. Sorvegliava la conciatura delle schiave; ordina a tutte di mostrarsi allegre e sorridenti; le fa schierare a cerchio per meglio esaminarle, prima di condurle seco alla Borsa.

Il sig. Skeggs, col suo cappello tessuto di foglie di palma, col sigaro in bocca, bada a tutto, da sesto a tutto, con precisione ed accorgimento.

— «Che è ciò? — chiese egli, fermandosi dinanzi a Susanna ed Emmelina; — che hai fatto de’ tuoi ricci, ragazza mia?»

La fanciulla diede timidamente un’occhiata alla madre, la quale, colla accortezza che è tutta propria della sua razza, rispose:

— «Le dissi questa notte di spettinarsi; un’acconciatura libera è più conveniente.»

— «Sciocchezze! — gridò l’uomo volgendosi risoluto alla fanciulla. — Va subito là, e ricomponi i tuoi ricci — ricominciò a dire, scuotendo il frustino che tenea in mano — e torna subito. Tu va ad aiutarla — soggiunse alla madre; — que’ ricci possono fare una differenza di cento dollari nel corso dello incanto.»

[p. 330 modifica]Vedeansi passeggiare, sotto una splendida cupola e su marmoreo pavimento, uomini d’ogni nazione. A ciascun lato dell’area circolare stanno tribune, o stazioni, riservate agli estimatori e ai banditori. Due di queste, l’una a ricontro dell’altra, sono occupate da brillanti giovanotti, che, in lingua francese od inglese, gareggiano a far salire le offerte dei compratori. All’altro lato, una terza tribuna, ancora vuota, era circondata da un gruppo di individui, i quali aspettavano si aprisse l’incanto. E qui riconosciamo i servi di Saint-Clare — Tom, Adolfo e li altri; — e qui pure Susanna ed Emmelina, ansiose e con dimesso volto aspettavano che venisse il loro turno. Diversi spettatori disposti a comperare, o non comperare secondo le occasioni che si presentassero, stavano intorno a quel gruppo di infelici, palpandoli, esaminandoli, discutendo i loro pregi non meno liberamente che se si trattasse delle qualità d’un cavallo.

— «Olà, Alfredo, che fai tu qui?» disse un giovanotto non meno elegantemente vestito, il quale, coll’occhialetto alla mano, stava esaminando Adolfo.

— «Ho bisogno d’un domestico, e mi fu detto che si stava vendendo il lotto di Saint-Clare. Venni appunto per osservarlo.»

— «Il diavolo mi porti, se compro gente di Saint-Clare! pessimi negri tutti! impudenti come il demonio!» disse l’altro.

— «Non temere — soggiunse il primo — se cadono nelle mie mani, saprò acconciarli. S’accorgeranno ben presto di aver trovato un padrone che è alquanto diverso di Saint-Clare. Parola d’onore, voglio far acquisto di quel giovanotto; ha una fisonomia che mi garba.»

— «Ti manderà alla malora. È un pazzo, stravagante!»

— «Sì, ma il mio galantuomo potrà accorgersi ben presto che non vi è modo di fare lo stravagante con me. Lo manderò qualche volta alla Calaboose, e smetterà l’alterigia! Saprò ispirargli il sentimento del dovere — oh vedrete! Lo compro decisamente.»

Tom stava intanto esaminando ansiosamente tra la moltitudine di volti che gli si agglomeravano tutt’all’intorno quale di tanta gente avrebbe voluto chiamar padrone; e se voi foste nella necesità stessa, o signore, di scegliere tra due cento circa persone quell’uno che dovesse diventare vostro padrone assoluto, forse, come Tom, pensereste che ben pochi son tali da ispirarvi fiducia. Egli vedeva passarsi innanzi gran numero di individui, li uni alti della persona, altri sottili; li uni tozzi, li altri mingherlini; una varietà infinita di tipi, ma quasi tutti grossolani e volgari; gente usa a comperar neri, come si comperano scheggie per gettarle indistintamente sul fuoco, secondo la convenienza; ma non vide un Saint-Clare.

Poco prima che cominciasse la vendita, un uomo piccolo, ma tarchiato e muscoloso, con una camicia di colore aperta sul petto, pantaloni logori e [p. 331 modifica]insudiciati, si fe’ largo tra la folla, come persona che vuole sbrigar presto la bisogna; e avvicinandosi al gruppo degli schiavi, cominciò a esaminarli sistematicamente. Tom, appena lo vide, ne sentì subito un ribrezzo indefinibile; ribrezzo che in lui cresceva quanto più quegli gli si appressava. Quest’uomo, tuttochè piccolo, dimostrava una forza colossale. Il suo capo grosso, il collo toroso, gli occhi grigi, penetranti, sormontati da folte sopraciglia rossiccie, i capelli ispidi come fili di ottone, il colore abbronzato delle guancie, eran segni, a dir vero, tutt’altro che accaparranti; la sua bocca larga, malfatta, era piena di tabacco, di cui egli, tratto tratto, sputava il sugo con molta forza d’impulsione; le mani avea grossissime, pelose, annerite, chiazzate, fornite d’unghie lunghissime, veramente sozze a vedersi. Quest’uomo procedette, senza riguardo, a un esame personale del lotto; afferrò Tom per una mascella, e gli fece aprir la bocca a fine di esplorargli i denti; gli fece snudare il braccio per meglio esaminarne i muscoli; lo volse, lo rivolse da tutte le parti, lo fece saltare e correre per conoscerne la sveltezza, l’agilità.

— «Dove sei stato allevato?» gli chiese bruscamente.

— «Nel Kentucky, padrone» rispose Tom. guardandosi intorno quasi cercasse un liberatore.

— «Cosa facevi?»

— «Dirigeva la fattoria del padrone» disse Tom.

— «Probabile» disse l’altro, e, passò oltre rapidamente. Soffermossi un momento dinanzi ad Adolfo; ma dopo avergli lasciata sui stivali ben puliti una grossa scarica di sugo di tabacco, e brontolato un umh con aria di disprezzo, proseguì la sua ispezione, e venne a Susanna ed Emmelina. Qui stese la sua manaccia e trasse a sè la donzella; le palpò il collo, il petto, le braccia, le osservò i denti, e quindi la respinse verso la madre, la cui fisonomia contristata ben rivelava quanto essa soffrisse internamente ad ogni movimento di quell’esoso straniero.

La giovinetta, spaventata, cominciava a piangere.

— «Taci, non far moine — le disse ruvidamente il venditore — non è tempo di piagnistei; si apre adesso l’incanto.» E diffatti cominciò subito la vendita.

Adolfo fu aggiudicato, per buona somma, a quel giovane signorotto che avea già dimostrata intenzione di comperarlo; e li altri servi di Saint-Clare vennero venduti a diversi offerenti.

— «Ora a te, galantuomo» disse il banditore a Tom.

Tom salì sopra il palco, gettò ansiosamente lo sguardo intorno; non gli giungea all’orecchio che un mormorio confuso, indistinto — la voce del banditore che ne faceva notare ogni qualità in francese ed in inglese, e le offerte, parimente in francese ed in inglese, con che gli astanti [p. 332 modifica]gareggiavano a elevarne il prezzo; si udì poco dopo il colpo finale del martello e lo squillo di tromba sull’ultima sillaba della parola dollari. Tutto è deciso, Tom ha un padrone.

Fu spinto giù dal palco; l’uomo tozzo, toroso, afferratolo ruvidamente per una spalla, lo cacciò da una parte, dicendogli con voce barbara: «aspetta qui.»

Tom durava fatica a comprendere ciò che accadeva; l’incanto procede alacremente, le offerte si succedono in francese ed in inglese. Il martello cade nuovamente; Susanna è venduta; scende dal palco, si sofferma un momento e guarda addietro; la figliuola stende le braccia verso di lei. Susanna leva li occhi, col dolore dell’agonia, in volto all’uomo che l’ha comperata — uomo di mezza età, dalla fisonomia composta e benevola.

— «O padrone, comperate, per pietà, la mia figliuola!»

— «Mi ci provo, ma temo di non riuscirvi!» disse il gentleman, osservando con doloroso interessamento la giovinetta mentre ascendeva sul palco, e timida, impaurita, volgea li occhi all’intorno.

Le guancie pallide della fanciulla si tinsero in fiamma viva; i suoi occhi brillarono di una luce febbrile; e la madre ruppe in lacrime vedendo che non era mai comparsa così bella. Il banditore colse il destro, e si fece ad esaltar per modo, in francese ed in inglese, l’avvenenza della giovane, che le offerte succedeansi rapidamente più che mai.

— «Farò quanto le mie forze il consentono» disse il gentleman dalla benevola fisonomia, opponendo offerte ad offerte; ma queste, in pochi momenti, lo soverchiarono. Egli tace; il banditore incalza; le offerte diminuiscono; la gara non ha più luogo che tra un vecchio cittadino aristocratico e l’uomo dal collo toroso che già abbiamo conosciuto; ma quest’ultimo ha tal vantaggio sull’altro, sia per ostinatezza, sia per somma di danaro disponibile, che il contrasto non dura più d’un momento; il martello cade, ed egli ottiene la giovine, corpo ed anima, se Dio non la aiuta!

Il suo padrone è il sig. Legrée, il quale tiene una piantagione di cotone sul fiume Rosso. La è spinta nel lotto stesso insieme a Tom e ad altri due uomini, e piangendo, si allontana.

Il benevolo gentleman ne rimane contristato; ma è cosa che tuttodì accade! a questi mercati si veggon sempre figliuole e madri ridotte a disperazione! Non vi è rimedio; ed egli prende altra strada insieme al suo acquisto.

Di lì a due giorni, l’agente della casa cristiana di B. Comp., della Nuova-York, le mandava il danaro della vendita. Sul rovescio della tratta, ottenuta per tal modo, si sarebbero potute scrivere quelle parole del gran salmista:

«Quando verrà a chieder conto del sangue, non dimenticherà le grida del povero!»