La capanna dello zio Tom/Capo XXIX

XXIX. I derelitti

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
XXIX. I derelitti
Capo XXVIII Capo XXX
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CAPO XXIX.


I derelitti.


Udimmo più volte a parlar di schiavi che si abbandonavano all’eccesso del dolore, per aver perduto un buon padrone; la cosa è ben naturale. Nessuna creatura umana sopra la terra è in tale stato d’abbandono, d’isolamento che si possa paragonare a quello d’uno schiavo in siffatte circostanze.

Il fanciullo che ha perduto il padre gode ancora la protezione degli amici e della legge; e ancor qualche cosa, e può ancor qualche cosa — ha un grado e diritti riconosciuti: lo schiavo ha nulla. La legge lo considera, in qualsiasi rapporto, spoglio d’ogni diritto, non altrimenti d’un collo di mercanzia. Questa creatura umana, immortale, non deve aver affetti e bisogni se non quelli che la volontà assoluta del padrone gli concede di avere; e quando questo padrone più non esiste, lo schiavo non ha più nulla.

Il numero di coloro i quali usano umanamente, generosamente di questa loro potestà illimitata, è ben scarso. Tutti il sanno, e lo schiavo lo sa meglio di tutti; comprende benissimo che vi son dieci probabilità contro una di cader nelle mani d’un padrone tiranno, anzichè trevarne uno che abbia senso di compassione. Quindi avviene che rimpiange a lungo e ad alte strida la perdita d’un buon padrone. [p. 317 modifica]

Appena Saint Clare mandò l’ultimo sospiro, il terrore e la costernazione si impadronirono di tutti i suoi schiavi. Egli era tolto di vita, in un momento, nel fiore, nella forza della sua giovinezza! Ogni camera, ogni galleria della casa eccheggiava di singhiozzi e di lamenti.

Maria, il cui sistema nervoso era stato debilitato dall’uso continuo di rimedi, non avea forza di sopportare quel colpo; e, mentre Saint-Clare passava di svenimento in isvenimento, non ebbe lena di volgere una parola estrema di addio all’uomo cui era stata avvinta dal legame misterioso del matrimonio.

Miss Ofelia, con quella forza, con quel dominio sopra se stessa che la distinguevano, avea assistito suo cugino sino all’estremo; piena d’accortezza, d’antiveggenza per quanto si potea fare; e si era associata con tutta cura alle ferventi, affettuose preghiere che il povero schiavo innalzava per l’anima del morente suo padrone.

Mentre lo acconciavano per l’ultimo suo riposo, gli rinvennero, sopra il petto, una medaglia chiusa con fermaglio, e dentro essa, un tratto in miniatura di bella e nobil donna; quindi sul rovescio, custodita da un vetro, una ciocca di capelli neri. Ed essi la riposero su quel petto inanimato — cenere con cenere — povere dolorose reliquie di illusioni giovanili, di speranze che avean fatto palpitar quel cuore omai freddo ed immoto!

L’anima di Tom era piena di pensieri sull’eternità; nel prestare li ultimi uffizii a quella spoglia, non gli venne nemmeno in mente che egli rimaneva in servitù disperata. Non temeva nulla pel suo padrone; dopo aver deposta la sua preghiera nella confidenza del Comun Padre, trovava dentro se stesso una risposta che il tranquillava. Nella profondezza dell’indole sua appassionata sapeva cencepir qualche cosa dell’amore divino poichè un antico oracolo avea scritto, «Chi vive nell’amore, vive in Dio e Dio in lui.» Tom sperava, confidava e quindi era tranquillo.

La cerimonia funebre ebbe luogo con tutta l’etichetta di veli neri e di faccie composte; le gelide, pantanose onde della vita giornaliera ripresero quindi il loro corso, e si venne alla solita questione: «Ora che dobbiam fare?»

Questo pensiero venne in capo a Maria, mentre, adagiata mollemente sopra il seggiolone, circondata da tremanti schiavi, stava esaminando le vesti nere, i crespi che meglio le convenissero; venne in capo a miss Ofelia, mentre ritornava colla memoria a’ suoi lidi settentrionali; venne col silenzio del terrore nell’anima degli schiavi, i quali ben conoscevano la dura, tirannica indole della padrona, nelle cui mani erano abbandonati. Sapean tutti benissimo che se avean goduto di qualche indulgenza, non ne doveano alla loro padrona, ma sì bene al padrone; e che, morto [p. 318 modifica]questi, niuno avrebbe potuto più oltre difenderli da qualsiasi crudele castigo, che un’indole, già cattiva per se stessa ed ora esacerbata dal dolore, potrebbe infligger loro.

Di lì a circa quindici giorni dal funerale, miss Ofelia, occupata nella sua stanza, sentì bussare sommessamente all’uscio. Aperse, e si vide innanzi Rosa, la bella negra, di cui già ci occorse parlare, coi capelli scompigliati e cogli occhi gonfii dal piangere.

— «O miss Ofelia — diss’ella, cadendole ginocchioni ai piedi e baciandole la fimbria della veste — pregate a favor mio la padrona! impetrate per me! vuol farmi flagellare!» — E in così dire, mostrò un foglio a miss Ofelia.

Era un viglietto scritto dalla mano delicata di Maria, in cui dava incarico ad un direttore d’uno stabilimento penitenziario d’infliggere quindici colpi di sferza al latore.

— «Che fallo avete voi commesso?» chiese miss Ofelia.

— «Lo so anch’io, miss Ofelia — disse Rosa — lo so che ho un’indole cattiva. Provava un abito a miss Maria, ed ella mi diede uno schiaffo; io risposi arrogantemente; ella mi disse che mi avrebbe insegnato, una volta per tutte, ad abbassar l’orgoglio, e che avea modo di ridurmi alla ragione. Scrisse questo viglietto, e m’impose di portarlo al suo indirizzo. Oh ne morirò certamente!»

Miss Ofelia stette sopra pensiero, tenendo il biglietto in mano.

— «Vedete, miss Ofelia — riprese Rosa — non mi curerei gran fatto di queste sferzate, se dovessi riceverle dalla mano della padrona o dalla vostra; ma essere mandata a quell’uomo — a quell’orribil uomo! — ne morirò di vergogna, miss Ofelia!»

Miss Ofelia sapea benissimo che era usanza generale mandar le donne e le zitelle a case correzionali; ove, per mano di vilissimi uomini — vili al segno da esercitare questo infame mestiere — doveano assoggettarsi a brutali, vergognosi trattamenti. Lo sapeva; ma non ne aveva mai veduto alcun esempio, finchè le venne innanzi Rosa, dalle forme avvenenti e delicate, e tutta convulsa per la paura. Il suo sangue di donna illibata, il suo libero sangue della Nuova-Inghilterra, le salì al volto come fiamma, e agitò violentemente l’indignato suo cuore; ma vincendo se medesima coll’usata moderazione, e stringendo il biglietto tra le mani, disse pacatamente a Rosa:

— «Tranquillatevi, figliuola mia; vado dalla vostra padrona.»

«Vergogna! mostruosità!» disse fra se medesima, traversando la sala.

Trovò Maria, che, adagiata mollemente su d’un seggiolone, si facea pettinare da Mammy; mentre Giovanna, ginocchioni a terra, era occupata a scaldarle i piedi.

[p. 319 modifica]— «Come state quest’oggi?» chiese miss Ofelia.

Maria non rispose, sulle prime, che gittando un profondo sospiro e chiudendo li occhi. «Nol so, cugina mia; ma temo che non potrò mai più riavermi!»

E Maria si asciugò li occhi col fazzoletto, orlato d’una larga striscia nera.

— «Vengo — riprese miss Ofelia, accompagnando le parole con quella tossetta aspra che serve d’introduzione a un argomento difficile — vengo a parlarvi della povera Rosa.»

Maria spalancò li occhi, e le sue guancie scolorate si imporporarono.

— «Che avete a dirmi?» chiese seccamente.

«È dolentissima di avervi offesa.»

— «Davvero? lo sarà più ancora tra poco. Ho tollerato anche troppo l’insolenza di quella giovane; ed ora ho risoluto di domarla, di farle baciar la polvere.»

— «Ma non potreste punirla in qualche modo, che fosse men vergognoso?»

— «Voglio svergognarla; e appunto questo che io voglio. Andò sempre orgogliosa della sua delicatezza, del suo garbo, del suo piglio signorile, fino al punto di dimenticare cosa è; voglio darle una lezione che, spero, potrà umiliarla.»

— «Ma, cugina, considerate che se distruggete il senso della delicatezza e del pudore in una giovinetta, finirete ben presto col pervertirla.»

— «Delicatezza! — esclamò Maria con un sorriso beffardo — bella parola per una sua pari! Voglio insegnarle, che ad onta del suo orgoglio, non è meglio della più vile mendicante di strada! Non avrà più quell’aria di arroganza con me.»

— «Dovrete rendere conto a Dio di una tale crudeltà!» disse miss Ofelia.

— «Crudeltà! Vorrei sapere in qual modo sono crudele! Non ho ordinato che soli quindici colpi di sferza, e che le fossero applicati leggermente. Credo che non vi sia crudeltà.»

— «Non vi è crudeltà? — riprese miss Ofelia. — Credo che qualunque zitella preferirebbe di essere uccisa.»

— «Ciò può offendere il vostro modo di sentire; ma questa razza di gente vi è abituata; e l’unico espediente di tenerla in freno. Lasciate che insuperbiscano, che si avvezzino ad usare alteramente, e non potrete farne più nulla di bene, come avvenne de’ miei schiavi. Ora ho deciso di domarli; manderò tutte le mie schiave, l’una dopo l’altra, alla casa correzionale per esservi flagellate, finchè rientrino in se stesse!» disse Maria, guardandosi intorno con piglio risoluto.

Giovanna abbassò il capo, poichè ben si avvide che quella minaccia era [p. 320 modifica]rivolta specialmente a lei. Miss Ofelia fece atto di aver inghiottito qualche mistura vulcanica, e che fosse in punto di scoppiare. Ma ben presto raccogliendosi, chiuse le labbra con forza ed uscì dalla camera.

Era ben duro tornare addietro, e dover dire alla povera Rosa che non avea nulla a sperare; ben presto comparve un servo, il quale per ordine della padrona, ingiunse alla giovane di seguirlo alla casa correzionale, ove ella, ad onta dei suoi strepiti, delle sue lacrime, fu flagellata.

Tom, di lì a pochi giorni, stava pensieroso accanto alla finestra, quando gli si fe’ presso Adolfo, il quale, dopo la morte del suo padrone, era immerso nella più cupa malinconia. Questi sapea benissimo che era sempre stato per Maria un oggetto di avversione; ma, finchè il padrone viveva, non se ne avea dato gran pensiero. Ora poi che il suo difensore era morto, tremava continuamente, ignaro quale potrebbe essere il suo destino. Maria avea avuto parecchi consulti col suo avvocato. D’intesa col fratello di Saint-Clare, venne al fermo di vendere la piantagione e tutti i servi, tranne quelli che le appartenevano personalmente, e con questi tornarsene a casa del proprio padre.

— «Sapete, o Tom, che saremo venduti tutti?» cominciò Adolfo.

— «E da chi l’avete inteso?» disse Tom.

— «L’udii colle proprie orecchie, mentre mi tenea appiattato dietro le cortine, ascoltando ciò che la padrona diceva col suo avvocato. Tra pochi giorni, saremo messi tutti all’asta pubblica, Tom.»

— «Sia fatta la volontà di Dio!» sclamò Tom, raccogliendo le braccia al petto e sospirando profondamente.

— «Non avremo mai più un padrone così buono — riprese Adolfo con aria di uomo che teme; — ma piuttosto di rimanere a discrezione della signora, amo di esser venduto.»

Tom si rivolse altrove; avea il cuore angosciato. La speranza della libertà, il pensiero della sua moglie lontana, dei suoi figliuoli, si presentarono vivamente alla sua anima appassionata, non altrimenti che al marinaio, il quale naufraga vicino al porto, si presentano il campanile della sua chiesa, i cari tetti del nativo suo villaggio, cui egli può mandare dall’alto d’un maroso, un ultimo addio. Tom si strinse fortemente le braccia al petto, si asciugò col rovescio della mano una lacrima amarissima, e si sforzò di pregare. La sua povera anima si era formata una tale idea della libertà, che gli fu questo un tremendo colpo, e più diceva «sia fatta la volontà tua,» più duramente soffriva.

Gli venne in animo di presentarsi a miss Ofelia, la quale, dopo la morte di Eva, avea preso a trattarlo con una speciale bontà rispettosa.

— «Miss Ofelia — disse egli — il padrone Saint-Clare mi avea promessa la libertà. Mi assicurò che avea cominciato a far le pratiche [p. 321 modifica]necessarie; ed ora se miss Ofelia avesse la gentilezza di parlarne alla signora, questa, probabilmente, compierebbe la bisogna, perchè tale era l’intenzione del padrone.» Ultimi momenti di Evangelina. Capo XXV.

— «Parlerò per voi, Tom, e il meglio che potrò — disse miss Ofelia — ma se ciò dipende unicamente dalla signora Saint-Clare, non oso sperare gran fatto; tuttavia, proverò.»

[p. 322 modifica]Ciò avvenne pochi giorni dopo l’incidente di Rosa, mentre miss Ofelia stava facendo i preparativi per tornarsene nel Nord.

Riflettendo posatamente sopra se stessa, si avvisò di aver usato un linguaggio un po’ troppo caldo nel parlar con Maria; quindi risolvette di moderare accortamente il suo zelo, e d’essere conciliante quanto più poteva. Si levò da sedere, e dato di piglio alla sua calza, mosse verso la camera di Maria, disposta a far l’amabile, a trattare la causa di Tom con tutta la sapienza diplomatica di cui era capace.

Trovò Maria adagiata, al solito, su d’ampio seggiolone, sostenuta da un monte di guanciali, mentre Giovanna le stava spiegando innanzi diversi campioni di stoffe nere.

— «Questo mi converrebbe — disse Maria, scegliendone uno; — ma non so precisamente che possa servire per un compiuto corrotto.»

— «La vedova del generale Derbennon — disse prontamente Giovanna — ne portava uno, l’estate scorso, in tutto eguale; vi si deve confar benissimo.»

— «Che ve ne pare?» chiese Maria a miss Ofelia.

— «È affar di moda, suppongo — rispose miss Ofelia. — Voi potrete giudicarne meglio di me.»

— «Fatto sta — riprese Maria — che io non ho un abito da poter indossare; e siccome debbo levar casa e partire nell’entrante settimana, è pur necessario che mi decida.»

— «Partite così presto?»

— «Sì; il fratello di Saint-Clare mi ha scritto; egli e il mio avvocato opinano che convenga vender li schiavi con tutta la mobilia all’incanto, e quindi, alla prima occasione, anche la casa.»

— «Avrei bisogno di parlarvi d’un affare — disse miss Ofelia. — Agostino avea promesso la libertà a Tom, e cominciate a questo uopo le pratiche volute dalla legge. Spero che userete della vostra influenza per ultimarle.»

— «Oh non farò, certo, una tal cosa! — disse Maria con mal garbo. — Tom è uno dei migliori schiavi della casa; uno di quelli che saran meglio venduti. D’altronde, che bisogno ha egli di libertà? Non starebbe meglio che al presente.»

— «Ma la desidera ardentemente, e il padrone gliel’aveva promessa» riprese miss Ofelia.

— «Credo bene che la desideri — disse Maria; — la desiderano tutti, perchè sono incontentabili e braman sempre ciò che non hanno. Io sono contraria affatto ai principii di emancipazione. Finchè un negro è soggetto alla sorveglianza del padrone, si comporta onestamente; ma provate ad emanciparlo, e subito diventerà infingardo, bevone, insolente, un [p. 323 modifica]cattivo arnese. Ho veduto le mille volte questo fatto; quindi sono avversa all’emancipazione.»

— «Ma Tom è così buono, così laborioso.....»

— «Non ho bisogno che mel diciate. Ne ho conosciuto delle centinaia come lui. Sarà buono finchè è sorvegliato, ecco il punto della questione.»

— «Ma riflettete — ricominciò a dire miss Ofelia — che, ponendolo all’asta pubblica, corre pericolo di esser venduto a un tristo padrone.»

— «Oh il grande affare! — disse Maria. — Non accade delle cento volte una che un buono schiavo trovi un cattivo padrone; i padroni, checchè si dica, son buoni generalmente. Io nacqui e crebbi nei paesi del Sud, e non conobbi mai padrone che non trattasse bene i suoi schiavi, bene quanto meritano. Non ho paura alcuna a questo riguardo.»

— «Comunque — riprese miss Ofelia con voce risoluta — io so che una delle intenzioni di vostro marito era quella di dare la libertà a Tom; che era questa una delle promesse da lui fatte alla cara Eva mentre moriva, e non avrei mai creduto che voi poteste dimenticarlo.»

Maria, a queste parole, si coprì la faccia col fazzoletto, cominciò a singhiozzare e a far uso, con molta ansietà, della sua boccetta di odore.

— «Tutti son contro me! — esclamava. — Non mi hanno alcun riguardo. Non mi sarei aspettata mai che sareste venuta a mezzo con queste reminiscenze per conturbarmi; nessuno se ne accorge; e sono cose che so ben io quanto mi straziano! Oh è pur crudele! non aveva che una figliuola e mi fu tolta — un marito che perfettamente mi conveniva, ed è tanto difficile trovar persone che mi convengano — e l’ho perduto! E avete sì poca compassione delle mie afflizioni, che venite sbadatamente a rinnovarmele? — eppure sapete voi pure quanto sono angustiata! Suppongo che lo facciate con buon intendimento; ma veramente senza riguardo!»

E Maria singhiozzava, strepitava, chiamava Mammy perchè aprisse la finestra, che le portasse la sua acqua canforata, le umettasse le tempie, le slacciasse la veste; e nello scompiglio generale che ne sopravvenne, miss Ofelia colse il destro di tornarsene nella propria camera.

Si accorse che non sarebbe venuta mai a capo di niente, perchè Maria avea convulsioni, svenimenti a sua disposizione. Dopo quella scena, ogni qualvolta si facea destramente cenno delle intenzioni di Saint-Clare e di Eva riguardo ai servi, Maria avea sempre l’espediente pronto per troncare il discorso. Quindi miss Ofelia potè convincersi che il miglior partito d’aiutare Tom era quello di scrivere, e scrisse diffatti, una lettera al signor Shelby, esponendogli lo stato delle cose, e sollecitandolo a mandar qualcuno per ricomprarlo.

Al domani, Tom e Adolfo con una mezza dozzina circa di schiavi furono condotti al mercato, per aspettare la convenienza del mercante, che povea comporne un lotto da mettersi all’asta pubblica.