La Regaldina/XII
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XII.
Pierino era venuto a casa a passare 1e feste e con lui entrò in famiglia un’aria mondana che Matilde respirava a pieni polmoni, assetata com’era di emozioni nuove.
Uno scandaluccio galante, di cui la fama era giunta in paese, lo mise subito sul piedestallo di uomo alla moda. I giovinotti lo guardavano con una certa curiosità mista ad invidia e cercavano di imitare il suo modo di portare il cappello, di annodare la cravatta; copiavano il taglio de’ suoi pantaloni e il colore del suo panciotto.
Era capitato come un raggio di sole in un giorno piovoso. Davanti al caminetto, Rodolfo, colle gambe allungate, faceva asciugare al fuoco la suola de’ suoi stivali; Daria cuciva; la Tatta e la signora Luigina discutevano sul prezzo del burro, Matilde moriva di noia, battendo i piedini impazienti sulla pelle d’agnello nero, invocando una scossa qualsiasi, che venisse a toglierla da tanta apatia.
Una meta fissa Matilde non l’aveva; desiderava vagamente i trionfi della bellezza, della vanità, i motti piccanti, le cortigianerie, le punzecchiature della tentazione; sognava un salotto tappezzato di raso, con specchi immensi e fiori a profusione e vicino a lei una voce, non importa quale — cento voci, che le ripetessero parole lusinghiere. Quel tanto che conosceva dell’amore non le bastava, la sua relazione con Rodolfo non era stata altro che l’incontro patologico di due desiderî latenti; Matilde presentiva altre gioie, scandagliava coll’immaginazione abissi di voluttà inesplorate; era agitata, fremente, e fu con un impeto sincero che esclamò all’arrivo di suo cognato:
— Finalmente si vede qualcuno!
Lo assalì subito di domande; volle sapere le novità cittadine, il successo dell’opera e del romanzo nuovo, ma più ancora quello del cappello Direttorio; e poi gli chiese se si divertiva a Milano, se andava a balli, a teatri.
Pierino era informato di tutto. Aveva preso uno spolvero di giovinotto elegante, con un pizzico di audacia naturale, che stavano insieme magnificamente. L’antico birichino, che faceva scherzi alla signora Luigina si era mutato in un birichino di miglior gusto, che sapeva all’occorrenza assumere anche un’aria grandiosa tra l’artista e il gran signore.
— Girandole! — brontolava la vecchia Tatta — Fumo negli occhi!
Il primo giorno dell’anno, verso le due pomeridiane, Matilde passeggiava nella corte, pestando i piedi per riscaldarsi; aveva un lungo soprabito di panno verde, guarnito d’astrakan, con alamari e cordoni all’ussera e in testa un tocco di velluto nero con penne di gallo.
— La mia signora cognata ha freddo, a quanto pare?
— E il signor cognato no? — fece Matilde con grazia civettuola, rispondendo a Pierino, che l’aveva apostrofata dalla finestra.
— Ho un preservativo infallibile, io.
— Davvero? Me lo insegni.
— Oh! così, dall’alto al basso....
Matilde non gli fece caso; tornò a passeggiare in su e in giù, poi vedendo Pierino immobile alla finestra:
— Non potrebbe scendere anche lei? Andiamo, venga, mi accompagni a fare quattro passi.
— Volentieri.
S’avviarono adagio adagio fuori del paese, sul viale del Santuario.
— Come deve annoiarsi in questi giorni! disse Matilde.
— Perchè? l’ho fatta per tanti anni questa vita.
— Sì, ma ora che ha provato a vivere a Milano e che — sopra tutto — vi ha lasciato care persone....
Pierino rise, crollando il capo.
— Non dica di no. È una cosa che la sanno tutti; del resto, non c’è niente di male.
Poi con un movimento di prontezza felina appoggiandogli una mano sul braccio e guardandolo in fondo alle pupille:
— È bella? — domandò.
Egli volle schermirsi; Matilde insistè.
— Peuh!... discreta. La bellezza d’altronde non è tutto nemmeno in una donna; ci vuole lo spirito, la grazia, il brio.
— Ha ragione. È come negli uomini; che valore ha un uomo grande e grosso quando non sa far altro che fumare, bere e andare a caccia?
Pierino finse di non capire l’allusione. Ella, seguendo la volubilità dei suoi pensieri, tacque un momento e poi disse:
— Oh io muoio d’inedia venti volte al giorno. Vorrei essere un uccello per scappare subito subito a Milano. Si figuri che qui non si parla altro che di cucina, di chiesa, di bucato e di peccati del prossimo. Ho pregato tante volte Rodolfo di abbonarmi almeno a un giornale di mode, di quelli che narrano un po’ di cronaca elegante... ma si!
— Se non è che questo, io posso soddisfare i suoi voti. Le manderò un periodico che la terrà al corrente di tutto.
— Ah! che piacere. Grazie, grazie.
Così dicendo gli si appendeva al braccio stringendolo.
— Ma che sciocchezza! — esclamò poi, ridendo — noi continuiamo a darci del lei come se fossimo forestieri.
— Già. A Milano non si usa tra cognati.
Provarono a darsi del tu, ma non vi riuscivano così subito; tentarono il voi, ma anche questo non andava.
— Ci faremo a poco a poco. Mi dica intanto, è vero che tutte le signore si tingono gli occhi a Parigi e molte anche a Milano? Io sarei curiosa di conoscere come; è una moda orientale dicono; il segreto della tintura perfetta, lo hanno le odalische.
— Lo potete avere anche voi, quantunque i vostri occhi non abbiano bisogno di questo. Prendete il turacciolo della prima bottiglia che vi capita, lo affumicate alla fiamma di una candela, lo fate scorrere leggermente sulle palpebre, levate quello che c’è di troppo con un fazzoletto fino ed eccovi dipinta come la sultana Validé; ma non ve lo consiglio, perchè l’occhio perde in freschezza quello che guadagna in colore.
— Oh! io non voglio farlo; è solamente per sapere.
— La smania della scienza! — esclamò Pierino ridendo.
— Voi potreste proprio insegnarmi tante cose — disse lei, pensierosa, mordendosi le labbra.
— Non è certo la buona volontà che manchi — rispose egli con prontezza.
Ma il suo sguardo fu troppo ardito. Matilde ai staccò di qualche passo mormorando: — Non facciamo ragazzate.
Erano giunti fin quasi al Santuario. Sul piazzale deserto spirava un vento freddo di tramontana.
Le solite baracche delle venditrici di corone benedette erano sparite; la casa di Dio giaceva affatto abbandonata, nella solitudine della pianura, in prospetto del borgo, che cucinava i pranzi grassi della festa, scaldandosi agli ardenti focolari.
Due preti uscirono frettolosi dalla fabbriceria stringendosi intorno al corpo le nere sottane e si cacciarono sotto il viale.
— Avete un bel tacchino, voi.
— Come lo sapete?
— L’ho visto appeso fuori della finestra.
— Sì, non c’è male; fa i sette chili. Ma una volta, quando c’era maggior fede, i tacchini regalati ai sacerdoti pesavano ancor più.
Dissero e passarono, facendo scricchiolare le scarpe fibbiate sul terreno secco.
Una folata di vento poco mancò non facesse cadere il cappellino di Matilde.
— Vuol nevicare — ella disse, ricomponendoselo sulle treccie.
— Ho paura di sì. Torniamo indietro.
E rifecero il viale, silenziosi. Quando furono in vicinanza del paese, invece di entrare per la porta grande, presero il sentiero dei campi che costeggiava la gora.
— Quest’acqua ha per me un fascino particolare — disse Matilde — quando siamo venuti a stabilirci qui colla mamma, io avevo otto o nove anni al più, ma mi ricordo ancora l’effetto che mi fece e che pregai tanto la mamma di prendere una casa sulla roggia. Si ricorda lei quando siamo venuti qui?
— Mi ricordo il giorno del suo arrivo. Sapevo che la casa bianca era stata affittata; Rodolfo ed io ci siamo arrampicati sopra un fico per ispiare; abbiamo visto una carrozza dalla quale discese prima suo fratello, poi lei con un salto com irriflessivo che a momenti si rompeva l'osso del collo...
— È vero!
— Portava un gran cappellone di paglia e aveva le gambette nude; questo particolare a Rodolfo e a me fece molta impressione, perchè non avevamo mai visto in paese delle ragazzine eleganti colle gambe nude.
Matilde rise molto.
— E mio fratello maggiore lo ha conosciuto, nevvero? Se ne ricorda?
— Oh, sì. Era amico di Ippolito.
— Come è morto presto!
— Sì. Non somigliava punto ai Regaldi.
— Per chi è il complimento? — chiese Pierino con un po’ di malizia.
— Oh! per nessuno, o per tutti, come vuole. Non avevo di mira niente dicendo così; è però un fatto che di tre fratelli non vi assomigliate nessuno.
— Bene; torniamo al voi.
— Mi sono sbagliata.
— Sei adorabile.
— Oh!
— Perdono. Mi sono sbagliato anch’io.
Entrarono in casa spigliati; Matilde aveva le guancie rosse per il freddo, però la passeggiata le aveva fatto bene; era allegra, parlò e rise tutto il tempo del desinare.
Alle frutta si fecero dei brindisi; Pierino in isbaglio rovesciò il bicchiere sul vestito verde di Matilde.
— Bisogna lavarlo subito.
— Al contrario, è meglio lasciarlo asciugare.
— Per togliere le macchie di vino ci vuole il latte.
— La benzina.
— Ma che benzina! Acqua fresca.
In mezzo al trambusto di tante opinioni discordi Pierino disse con calma:
— Ve ne manderò un altro più bello; più alla moda sopratutto. Il verde è un po’ vecchio, quest’anno la gran voga è per il color testa di negro.
— Bravissimo il signor cognato. L'idea mi piace; vedremo se saprete ricordarvene.
Pierino rispose alla raccomandazione di Matilde con un gesto convincente.
— Vorrei sapere — borbottò la vecchia Tatta guardando al disopra degli occhiali — da quanto tempo quelle due teste balzane sono entrate in tanta confidenza.
Il domani Pierino tornò in città, ma nella stessa settimana Matilde ricevette l’abito color testa di negro.
Qualche giorno dopo arrivò il giornale di mode, e poi tratto tratto, insieme al giornale, dei libri eleganti, che portavano nel silenzio dell’umile casa l’eco dei rumori del bel mondo. Matilde si faceva sempre più insofferente di quella vita; ogni giorno le crescevano i desiderî, i bisogni. Con Rodolfo si bisticciava spesso, rimproverandolo di essere grossolano; gli chiedeva denari che egli non aveva — allora si rinfacciavano a vicenda il passato, coprendosi di vituperî, arrivando quasi all’insulto.
Verso il mese di giugno ella dichiarò recisamente, che voleva andare ai bagni; disse di aver venduto alcune gioie che possedeva, e che, se non bastava la somma, trattandosi della salute, si poteva incontrare anche qualche debito. Ippolito volle farle delle osservazioni; ma lei tagliò subito la strada, dicendo che la moglie dipende dal marito e non dal fratello.
La posizione di Daria in famiglia non le lasciava autorità manifesta; solo nei casi estremi la giovanetta imponeva ai suoi cugini la via del dovere; del resto ella se ne viveva a parte, lavorando, pensando e occupandosi molto della bambina, che la madre trascurava affatto.
Chi fece un buscherio indiavolato fu la Tatta, che cogli occhi fuori dell’orbita dichiarò che Matilde era più pazza ancora della moglie di Tarantolino, la quale aveva divorato in un anno due campi e una cascina — secondo le cronache di Pomponesco.
Rodolfo, il solo che avrebbe potuto opporre una seria resistenza, preferiva sfuggire la lotta. Così Matilde partì — e la sera stessa Rodolfo si ubbriacava all’osteria dei Tre Mori, bestemmiando contro le donne, con gran divertimento della signora Ernesta e de’ suoi amici.