Pagina:Drigo - La Fortuna, Milano, Treves, 1913.djvu/200

compagna d'un tempo aveva disimparato tutte le sue canzoni.

Ed era Battista, il grosso Battista colla sua sgraziata voce nasale, che s'incaricava di tenere alto il diapason dell' allegria: da qualche tempo una bizzarra abitudine lo aveva preso, ed egli accompagnava il suo lavoro in giardino con lunghe cantilene.

Un giorno Elena gli passò accanto finchè cantava. Ella era vestita di nero, colle trecce bionde che le fasciavano il viso tanto dolce e tanto triste: tutto in lei parlava dolore, memoria.

Gli passò accanto, e stava per dirgli:

— Come puoi tu cantare, Battista?...

Ma lo guardò, e vide che egli aveva i grossi occhi pietosi dei bimbi che fanno il chiasso per ingannare l'angoscia, per illudersi e per illudere di non aver paura. Ed allora gli posò una mano sulla spalla, e gli disse:

— Povero Battista!

Entrambi avevano gli occhi pieni di lagrime.

I mesi, gli anni passavano; ed essi non tornavano.

Si sapeva che si erano battuti a Vinzaglio, a San Martino, a Gaeta; che avevano fatto in Sicilia la campagna contro il brigantaggio. Fra una battaglia e l'altra peregrinavano di città in città col loro fardelletto: espulsi da un luogo ricomparivano in un altro, collo stesso fuoco, collo stesso ardore di fede.

Deposto il fucile, lavoravano colla penna e colla parola.