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II

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I.

Suonò l’Ave.

Margherita si fece rapidamente il segno della croce e mosse le labbra.

Angelus.... Angelus....

Non ricordava altro quella sera, perchè ella ripetè la dolce parola almeno dieci volte. Poi le sue labbra pallide si fermarono del tutto, semiaperte, quasi ad aspirare il vento che recava, vibrando, i rintocchi dell’Ave. Ma, quando l’ultimo tocco morì tremando in lontananza, e tutto ritornò nel gran silenzio di prima, Margherita riprese la sua preghiera, gemendo, tanto che s’udiva il suo bizzarro latino:

Angelus Domini nunziavit Maria e concepivit Spiritui Santo.... Ave Maria, grazia piena... che freddo che ho, Dio mio... abbiate pietà di me. Dio ti salvi, Maria, piena di grazia, il Signore è teco.... Oh, [p. 8 modifica] Dio, Dio mio, come soffro, come son triste.... Ecce ancilla Domini....

Di questo passo lamentandosi, gemendo, con la testina appoggiata al tronco di un elce, ella disse la sua preghiera.

Veniva dalla montagna un vento freddo, e la luna, color paglia, cominciava a risplendere traverso gli elci, nel cielo ancor vivo. Gli elci erano solo dieci o dodici, in fila, lungo il muro degli orti, ma bastavano, con la luna, con la tristezza del crepuscolo invernale, a dar l’illusione di un bosco. E Margherita ci credeva, ci credeva tanto che le sembrava proprio di esser sulla montagna, quattro mesi prima. Cioè, le sembrava e non le sembrava. La luna, gli elci, la sera, la sua stessa angoscia le ridonavano — come del resto gliela ridonavano ogni sera — l’illusione di trovarsi nuovamente lassù, nel suo sogno e nella sua felicità; ma ora il freddo ed il vento le facevano nello stesso tempo sentire come lontano era il sogno, come perduta era per sempre la sua felicità.

E il vento ed il freddo della triste sera accrescevano la sua angoscia.

Nel cielo limpido, che la luna, a misura che riluceva di più, rendeva diafano come il cristallo, si sperdevano certe [p. 9 modifica] nuvole color rame e fumo, allungandosi, sfilandosi, che sembravano pensieri di tristezza indicibile e d’angoscia sovrumana.

E Margherita, col viso in su, la testa sempre appoggiata all’elce, gli occhi smarriti in quel mare di tristezza infinita ch’era il cielo con quelle certe nuvole, gemeva sommessamente, sommessamente, invocando la morte.

Certo, grande sventura doveva esser la sua se si sentiva tanto infelice, con un profondo dolore scolpito sul viso delicato e bianco.

Eppure era una storia così semplice e facile a indovinare!

Ella aveva diciannove anni, ed era innamorata. Una cosa semplicissima, ma c’era un po’ di complicazione nei particolari. Ora sentite come stavan le cose.

Quattro mesi prima un gruppo di persone gaie e distinte, signori, studenti, ufficiali, bambini e qualche vecchio, fecero una scampagnata ed una escursione sulle montagne. Margherita, i fratellini e la mamma, erano tra le persone più distinte, giacchè erano persone ricche, non per altro. Non avevano alcun titolo, alcuna nobiltà, nessun’altra distinzione. Margherita poi non possedeva neppure quella bellezza [p. 10 modifica] che attira e fa dimenticare ogni altra cosa, anche se è una bellezza fredda o sciocca o stupida.

Del resto, è sempre meglio ammirare una ragazza bruttina, intelligente, graziosa e.... ricca, che una fanciulla bellissima, senz’anima e senza dote, non è vero? Margherita non era bella, ma molto intelligente, e suo padre s’intendeva di rendita, di cartelle e di chequès, come se non s’intendesse di null’altro. E graziosa poi, assai, assai. Era bianca, delicata; ma le mancava molto per esser bella: le mancava la perfezione del profilo, del contorno, della bocca, di tutto.

Però, ridendo, faceva le fossette, e gli occhi pensierosi le sfavillavano. Poi sapeva quanto valeva e possedeva un modo tutto suo per trattar la gente, tra l’affabile e l’altero, tra il serio e il sarcastico. Con gli uomini però restava un po’ timida, sulle prime, e non pareva dessa. Non aveva esperienza della vita, non aveva mai fatto l’amore, forse mai amato, e sognava ed aveva paura del gran mistero. Perciò s’intimidiva davanti ai giovanotti — spiritosa con i vecchi, con gli ammogliati e con le donne — e sotto il loro sguardo l’anima sua si sentiva smarrita, il suo sguardo [p. 11 modifica] diventava incerto, arrossiva, e qualche volta aveva voglia di piangere, sembrandole che i complimenti fossero caricature.

Fu così che, durante la salita alla montagna, Silio Boly, dopo averla accompagnata per un pezzetto, restò indietro ad attendere un ufficialetto, suo amico. L’ufficialetto spacconava con una borsetta ad armacollo e canticchiava un’arietta tragica. Pareva un conquistatore, o per lo meno non dimostrava di accorgersi della consunzione molto avanzata della sua divisa.

Silio gli disse dunque, canzonando, ma in modo di non essere inteso da altri:

— Signorina Margherita, di qua, signorina Margherita, di là.... corpo di bacco, sai tu quanto può possedere, Leandri?

— Cosa ne so io? — rispose l’altro meravigliato. — Se non lo sai tu che sei del paese! Se vuoi, non la conoscevo ancora.

— Dicono che è spiritosa. È una sciocca, io non so dove la trovino spiritosa.

— Cosa le stavi dicendo?

— Questo e quest’altro.

Per cinque minuti, Silio continuò a dir corna della povera Margherita; ciò non ostante, poco dopo la raggiunse di nuovo e riattaccò discorso. Forse voleva divertirsi [p. 12 modifica] semplicemente, far dello spirito, ma, ad ogni modo, Leandro Leandri, l’ufficialetto, pensò che con le ragazze ricche non bisogna scherzare, specialmente quando si è spiantati, come Silio; un avvocatino praticante, gran ballerino, gran suonatore di chitarra, gran ciarlatano, e con le tasche vuote. Anche Boly non era bello, ma s’imponeva con la sua persona alta ed elegante e con le sue ciarle.

Salivano sempre, ed era di sera.

Dovevano passare una notte ed il giorno dopo sulla montagna, nelle stanze e nelle capanne addossate al santuario, fra i boschi.

Per le signore e per i bimbi s’eran già mandati dei materassi e delle coperte, e gli uomini dovevano accomodarsi come potevano, ma del resto tutti prevedevano di passar la notte divertendosi.

E salivano sempre. Il sentiero era aspro, fra grandi graniti spaccati, ma a momenti apparivano delle piccole pianure, donde si godevano vasti panorami, e il timo olezzava, e poi cominciavano i boschi e venivano le felci, e il sentiero rasentava dei ruscelletti pieni di giunco e di frescura.

Nessuno si accorgeva del lungo [p. 13 modifica] cammino faticoso, tra le ciarle e le risate. I bambini erano i più coraggiosi e infaticabili.

E Silio Boly accompagnava sempre Margherita. L’ufficialetto dalla borsetta ora guardava sempre in alto, verso quei due, deciso di tenerli d’occhio. Peggio per Boly, che aveva destato la sua curiosità.

Margherita vestiva semplicemente di grigio biancastro e teneva una sciarpa rossa intorno al collo e la mantellina sul braccio.

Leandri seguiva la figurina elegante con ostinazione, e la vedeva sempre più in alto, andare svelta e diritta, senza stancarsi mai. Nei luoghi stretti Silio la lasciava passar davanti, e una volta quello della borsetta vide l’amico porger la sua mano alla fanciulla per aiutarla a varcare una piccola rupe. L’ufficiale se ne stizzì, avrebbe voluto raggiungerli e mettersi a corteggiar Margherita, per far dispetto a Boly, ma non poteva arrivarci. Li guardava sempre come un incantato; un signore lo sopraggiunse e gli diede uno spintone dicendo:

— A che pensate?

Poi passò oltre, lasciandolo offeso e [p. 14 modifica] mortificato. Dopo tutto, cosa gli doveva importare se quei due camminavano insieme?

Sotto i boschi alti la sera avanzava e il silenzio era dolcissimo, solenne. I pigolii degli uccelli sembravano preghiere, e c’era tanta poesia nei piccoli sentieri tracciati tra le felci e vicino alle fontane, da non potersi ridire.

Dietro alle spalle dei viaggiatori, nello sfondo degli alti elci, l’occidente rosso gettava il suo riflesso sino ai boschi, sino al cielo leggermente cinereo.

Prima di arrivare alla chiesa, i ragazzi e le persone che precedevano si fermarono su un ciglione, su un muricciuolo che dominava una verde radura, aspettando che tutti arrivassero. E le ragazzine, cinque o sei belle bambine, intonarono la Marcia Reale, con certe vocine alte, di uno strano effetto su quell’altura, in quel gran silenzio maestoso. Leandri si sentì venir le lagrime agli occhi, benchè Ninnìa Farina cantasse precisamente l’inno, storpiato in questo modo:

Viva il Re! Le armi imparate,
Le bandiere al vento sciolte,
Siam di fronte alle rivolte.
Viva in lui la libertà.... la libertà;....

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Fu così che finalmente raggiunse Boly e Margherita, e non li lasciò per tutto il resto della strada.

Le ragazzine precedevano cantando sempre la Marcia Reale, e tutti gli altri, in gruppo, seguivano, quasi al passo di marcia.

— È un luogo incantevole — diceva Leandri con aria stanca. — Hai tu dei boschi quassù, Boly?

Il giovine si morsicò la punta della lingua, perchè non aveva nè boschi nè terre, nè quassù nè laggiù, ma fu pronto a rispondere:

— Io no, ma la signorina sì!

— Sì, molti — affermò semplicemente Margherita, che si metteva la mantellina, dietro ordine della madre.

L’ufficiale credè capire qualche cosa nella vivace risposta di Boly, e se ne ingelosì. Fu in quel momento che cominciò a far complimenti con la ragazza, ma venivano accolti così freddamente che pensò:

— O è davvero sciocca, o son giunto tardi.

Tuttavia continuò a perseguitare la graziosa coppia con la sua presenza, anche quando arrivarono e quando si riposarono. [p. 16 modifica]

Boly lo mandava al diavolo ogni minuto, e più d’una volta fu per dirgli:

— Fammi un po’ il piacere, levamiti dai piedi, mio caro, tanto la dote di Margherita non fa per te!

Nella chiesa, ove giunsero ch’era quasi notte, c’era altra gente; gente che abitava lassù da qualche giorno per far la novena alla Madonna, protettrice delle montagne.

I nuovi arrivati furono accolti festevolmente e vennero messe a loro disposizione due o tre delle vecchie stanze incomode addossate alla chiesa.

Si cenò naturalmente male, ma subito dopo tutti uscirono sulla spianata e cominciarono i balli, i suoni e le avventure.

La luna spuntò, rossa ed immensa, dal lontanissimo mare, e tutti restarono estatici davanti all’improvviso spettacolo. Una grande, sublime gioia era lassù, in quel luogo strano, lontano dal mondo. Pareva un sogno, con la chiesa screpolata, i boschi immobili nella calda notte, i grandi fuochi accesi sulla spianata, ove i bimbi ballavano e le chitarre trillavano ridendo e singhiozzando. A poco, a poco la luna fu dimenticata, ed essa, per vendicarsi, fece impallidire la luce dei fuochi e illuminò tutti i volti. [p. 17 modifica]

E Leandri continuava a spiare Boly e Margherita. Siccome Margherita era sempre festeggiata, nessuno trovava che ridire se Silio l’avvicinava troppo; ma l’ufficiale sorrideva malignamente.

Boly suonò la chitarra e cantò appassionatamente un’aria del David Rizio, del maestro Canepa, poi volle ballare anch’esso e ballò sempre con Margherita.

Ora, siccome molti signori e signore, che non avevano voglia di ballare, erano andati a far delle escursioni poetiche, Leandri vide ad un tratto che anche Boly e Margherita mancavano dalla spianata! Non c’era alcun male e nessuno ci badò.

Ma l’ufficialetto restò male, e, per levarsi certe idee di testa, si mise a ballare come un disperato, senza levarsi la borsetta, che dava gran fastidio alla sua dama, una ragazzina di quindici anni, molto sventata.

— Cosa ci ha lì dentro? — gli chiese con curiosità. — Perché non se la leva?

— Eh, diavolo! — diss’egli impacciato — cose necessarie.

— Uno specchio? il pettine? — fece l’ altra, ridendo. — Il binoccolo?

— Oh, no, no, niente affatto!.... — [p. 18 modifica] rispose egli, mordendosi un baffettino, cioè la punta di un baffettino. Avrebbe voluto dire d’averci il binoccolo, ma temè che la ragazza glielo chiedesse. In realtà, non ci aveva nulla.

E così passò l’ora. Boly tornò solo, inosservatamente, e Margherita riapparve con altre signorine. Leandri, còlto da un eccesso di vera gelosia, le andò vicino e la guardò sfacciatamente.

Ma essa non gli badò; aveva il viso bianchissimo, più del solito, e su quel pallore alabastrino spiccavano le labbra, rossissime, quasi sanguigne. I suoi occhi poi erano pieni di sogno e di sgomento. Rideva, ma con gaiezza febbrile: s’era levata la mantellina e la sciarpa, e pareva avesse tutti gli ardori della febbre.