L'ospite (Deledda)/II
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II.
— Margherita, Margheritina mia, che cosa ti stai facendo! — le diceva quasi ogni giorno zia Baingia, ch’era la sua balia, scuotendo la testa con grande compianto.
Zia Baingia aveva allevato Margherita e, siccome stava vicina di casa, andava spesso a trovarla. Le voleva molto bene e avrebbe voluto vederla accasata con un re. Ora, quando le dicevano che Margherita faceva l’amore con l’avvocatino Boly, zia Baingia ne provava moltissimo dispiacere e quasi mettevasi a piangere. E sempre le ripeteva:
— Margheritina mia, che cosa ti stai facendo? Non stai forse bene in casa tua, non sei ragazzina ancora, non puoi sposare un uomo ricco e conforme al tuo grado?
Margherita diceva sempre di no, negava e pregava la balia di non credere alle lingue cattive.
— Io non conosco quasi neppure questo Boly — diceva — sono sciocchezze che dice la gente, perchè ho ballato con lui al monte.
Diceva così, sorridendo a fior di labbra, ma in fondo al cuore sentiva un’angoscia infinita e le sembrava di odiare zia Baingia perché parlava male di Silio Boly, di cui in realtà era perdutamente innamorata, e col quale si scrivevano, in attesa di giorni migliori.
Si capisce facilmente: per Margherita non c’era un altro cristiano più bello, più buono e più nobile di Silio Boly. Quando gliene parlavano male, perchè era povero e non aveva ancora una posizione, ella odiava la bocca che pronunziava le male parole, e sentiva di disprezzare tutta l’umanità, che pretende la grandezza e la nobiltà non nel cuore e nella mente, ma nelle tasche delle persone. Margherita ne piangeva come una bambina, ma sperava nell’avvenire.
In casa sua sapevano tutta la storia, e le parlarono chiaramente:
— Non vogliamo che tu ami costui!
Ma come era possibile non amarlo? C’era una volontà superiore che l’imponeva, che vinceva ogni altra volontà. Non era forse la volontà di Dio? Margherita soffriva e dimagrava, e desiderava morire, ma ogni lettera di Boly le ridonava ogni forza ed ogni speranza.
— Voi lo vedete, Dio mio — diceva, pregando, coi gomiti sul davanzale e gli occhi vaganti sulla verde linea delle montagne — io non posso vincere perchè voi lo volete. Come posso io vincere? Egli è buono, è nobile, è grande ed io l’amo per ciò. Non potrò mai amare nessun altro, o Dio mio, o Dio mio, o Dio mio!
E scendevano le lacrime, con quell’angoscia acuta che pare voluttà, e giorno e notte, ovunque fosse, con chiunque fosse, ella pensava e sognava di lui, desiderandosi vicina a lui, stretta a lui per tutta l’eternità. Perchè, infine, che cosa è l’amore, che cosa è la passione se non il desiderio vivo, invincibile, continuo, di trovarsi vicino a una data persona? Salvo poi a non provarci più alcun gusto quando ci si è vicini.
Ora avvenne un caso straordinario. Si era agli ultimi di ottobre, dopo una pioggia dirotta che aveva lavato i tetti e le montagne, dando ad ogni cosa la dolce tinta umida e decisa delle belle giornate d’inverno. Anche il cielo era diventato più azzurro e limpido, e gli elci dell’orto avevano ora il colore fosco e lucente delle foreste nordiche. Di notte, la luminosissima luna d’ottobre, su quel cielo limpido che pareva d’acqua, smaltava il paese, allagandolo dell’argento liquido più puro, ed in una di queste notti meravigliose arrivò in casa di Margherita un ospite. Si chiamava Antonio Arau, ed aveva trentasei anni. Era di buona statura, d’un’eleganza piuttosto pesante e poco ricercata. Era bruno, bronzino di volto, con la bontà e la semplicità scolpita sulla fronte, sugli occhi tranquilli e sulla bocca sorridente. Aveva poco spirito, una coltura molto mediocre e moltissimi denari.
Cavalcava stupendamente, cacciava cinghiali e caprioli come altri può cacciar passerotti, ed aveva anche viaggiato molto. Ma, dopo tutto, era un signore da villaggio, cioè una cosa volgare e poco interessante. Veniva per giurato alla Corte d’Assise, ed essendo molto amico della famiglia di Margherita, andava ad ospitare in quella casa, come il padre di Margherita ospitava in casa degli Arau, allorchè si recava nel loro villaggio. Da quasi cinque anni però Antonio non era più tornato nella città; si stupì quindi grandemente quando vide che il suo amico aveva una figlia grande e vezzosa come Margherita.
Al suo arrivo tutti erano usciti nella corte per dargli il benvenuto, mentre smontava da cavallo.
Era notte, e alla luce della luna sotto i pergolati spogli Margherita sembrò ad Antonio più bella ed elegante di quel che realmente era. Le sembrò una signorina di venticinque anni, e provò una specie di soggezione facendo la sua conoscenza.
— Io l’ho lasciata quasi bambina — disse, e non seppe farle alcun complimento, per cui ella lo giudicò male e sorrise di lui.
Antonio Arau fu ricevuto con gran festa; portava dei regali magnifici, e gli fu assegnata una camera fra le migliori della casa.
Il padre di Margherita era tutto felice di aver l’amico in casa sua, e voleva lo trattassero con infinita gentilezza, perchè anch’egli veniva ricevuto così dagli Arau.
Di notte, dopo cena, si trattenevano assieme fino a mezzanotte, e dopo tre giorni Antonio diventò anche l’amico intimo dei bambini. Con Margherita, invece, restava un po’ troppo timido e rispettoso, benchè si fosse accorto ch’ella era ancora tanto bambina e semplice. Margherita lo riguardava con cortesia, ma alle spalle gli faceva uno strano sorriso. Gli sembrava vecchio e goffo, ignorante e volgare.
Antonio non poteva pensare a questo; la fanciulla era tanto gentile e vezzosa con lui ch’egli ne restava incantato. A tavola, a conversazione, in ogni luogo, non poteva staccarle gli occhi di dosso. Doveva essere una ragazzina semplice e buona e prudente se parlava così, con tanta educazione, se era così obbediente e rispettosa, se amava e sopportava con tanta grazia i fratellini, monellucci irrequieti, se vestiva con tanta semplicità. Indossava sempre lo stesso vestitino d’indiana azzurra, col colletto bianco rivoltato, adorno di una sottile gala che le rendeva il collo più bianco e delicato. E la blusa raccolta alla vita, e le maniche larghe sino al gomito, le davano un’aria di spigliatezza e d’eleganza ch’era tutto un poema affascinante. E per affascinare Antonio Arau, ci voleva molto, molto meno di ciò. Vedeva il vestitino di Margherita anche quando dormiva, e lo rivedeva nelle vie, alle assise, sul banco dei giurati, e infine, per vederlo ancora di più, fece di tutto per restare un’altra quindicina, al contrario degli altri giurati che lavoravano di mani e di piedi per esimersi sin dal primo giorno.
Cosa c’era infine? Una cosa molto impreveduta da tutti, fuorchè da Margherita, che se ne accorse subito, e che quindi cominciò a provare per l’ospite quel sentimento o sensazione apportata dal fumo agli occhi.
Antonio si accorse del suo amore un giorno che gli dissero al passeggio come Margherita facesse l’amore con Silio Boly. Si sentì venir meno, e i suoi occhi buoni guardarono quasi ferocemente il giovine ed elegante avvocato. Eppure, per una strana legge d’attrazione, fu costretto ad avvicinarsi a Boly, che sapendolo ospite in casa di lei, gli fece mille feste.
Diventarono quasi amici.
Così, trovandosi qualche volta solo con Margherita, le parlava sempre di Boly, chiedendole s’era vero che facevano l’amore. Essa arrossiva, ma negava sempre. Antonio le credeva, perchè aveva assoluto bisogno di crederle, ma non poteva mai dirle come avrebbe desiderato star lui, e non Boly, dentro il suo giovine cuore.
Avrebbe voluto dirle:
— Margheritina mia, io non pensavo punto di prender moglie prima di venir qui, ed ora tu m’hai fatto cambiar di parere. Perchè lo sai, Margherita, se realmente non provi nulla per me? Lo so bene, non sono elegante come Boly, ma se tu sapessi come è gaia e piena di grazia di Dio la nuova casa che mi son edificato ora, sul confine del villaggio! Dirai che ho tanti anni più di te, ma sai... sai.. io mi sento tanto giovane davanti a te... sai... alla mia età si ama in un modo straordinario, con tutte le forze possibili ed immaginabili... come non si ama altra volta... e l’amore rende giovani, e non lascia più invecchiare, Margherita... Margherita...
E tante altre cose avrebbe voluto dirle, ma non ci riusciva mai. Così i giorni passavano. Antonio ad ore credeva d’essere in casa di Margherita da un secolo, ad ore di esserci da un minuto, il tempo di un sogno solo solo...
E veniva il novembre, con una precoce estate di San Martino, che rendeva le sere tiepide e colorate. Antonio era da ventitrè giorni in casa di Margherita, e gli restavano ancora sette giorni per decidersi.
Aveva preso una relativa famigliarità con la casa e con le persone; e voleva bene ad ogni angolo, ad ogni oggettino che vedeva là dentro. Il viale specialmente egli amava, il viale in fondo agli orti, su cui gli elci gettavano sempre l’illusione di un bosco, ove Margherita passeggiava ogni sera. Di là si vedevano le montagne, e si sentivano le capre a pascolare, e gli uccelli cantare in lontananza le melodie della solitudine e dell’amore.
Una notte Antonio si trovò come per caso sotto gli elci, ma Margherita non c’era. Pensò che avrebbe volentieri ceduto tutti i boschi cedui e non cedui ch’egli possedeva nel suo paese, pur di aver quegli elci e i pensieri che Margherita formulava, passeggiandovi sotto. E andava su e giù, vedendo sempre nell’ombra la veste azzurra, che non poteva toccare: perchè non poteva raggiungerla, perchè non sentire la testina graziosa che sognava sotto quegli elci, sul suo petto di forte gentiluomo? e dire solo così:
— Margheritina mia!
Ora avvenne che Antonio Arau, coi suoi trentasei anni, fece una pazzia quella sera; baciò il tronco di un elce; ma il tronco era così freddo e inanimato che un brivido gli fece tremare tutte le larghe spalle, e le mani bronzine. Poi raccolse una foglia, dura e grigia, e la raccolse bene. L’indomani doveva partire.
Sarebbe partito senza dir nulla, se quel giorno Margherita non fosse uscita di casa. Invece, verso le due, ella si vestì, e, prima di mettersi il cappello, scese per dare il buon viaggio all’ospite.
— Dunque, — disse entrando, — lei parte stasera?
Non ne dimostrava alcun dispiacere; Antonio la guardò e non poté dir nulla, ma sorrise, con un vago incantamento entro gli occhi.
Margherita vestiva quasi sfarzosamente, un abito di lana bianca pesante a fiori di seta; due larghi nastri verdi le partivano dal fondo della sottana, dopo aver formato un fiocco, e si fermavano sui fianchi sottili, poi ripartivano fino alle spalle, come bretelle, formando altri due fiocchi al di sopra delle maniche larghe.
Antonio la guardò lungamente. Poi prese avidamente la sua manina e disse:
— Sì, parto... ma ritornerò!
— Allora, arrivederci! — ella esclamò, e disse qualche altra parola graziosa che Antonio non capì.
Pensava che non poteva più partire così, senza tentar la fortuna. L’abito bianco con le bretelle verdi trasformava Margherita, e questa trasformazione dava un coraggio immenso ad Antonio.
Pensò: ella non vorrà seppellirsi nel mio villaggio, per quanto bella ed elegante sia la casa mia, ma io verrò qui... andrò ov’ella vorrà, anche a Cagliari... anche a Roma. E, appena uscita la fanciulla, l’ospite parlò col padre suo e gli chiese la manina della piccola, irresistibile incantatrice.
Il padre, che aspettava questa domanda, abbracciò e baciò l’amico.
— Parti tranquillo, — gli disse teneramente, — io farò di tutto per renderti felice, e assicurare, nello stesso tempo, la felicità di mia figlia.
Antonio partì, e gli sembrava sempre un sogno. Il sole tramontò mentre egli viaggiava ancora, e tutto l’orizzonte si tinse di violetto, dolcemente, melanconicamente. E anche la nebbia, che usciva dalle terre arate, era leggermente violetta, e nello stradale i mucchi di ghiaia color sapone sparivano ad uno ad uno in quella nebbia, mentre il cavallo di Antonio Arau faceva un bel sogno come il suo padrone.