L'olmo e l'edera/XVII
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XVII.
Vi aspetto! Luisa aveva proprio scritto così; cionondimeno Laurenti si fermò un’ora a pensare su quella lettera dopo averla letta tre volte. Due opposti sentimenti combattevano l’anima del taumaturgo, nel considerare che egli faceva il suo miracolo; la gioia dell’artefice che vedeva per opera propria, mercè una divinazione spontanea, rinascere a vita quella povera morente, e il dolore di scorgere com’ella lo avesse inteso a puntino.
Il poter vivere senza l’amore, era la cosa che la signora Argellani avesse meglio capito tra tutte le massime del giovine; era la dottrina che ella aveva fatta sua, midollo delle sue ossa, globulo del suo sangue. Egli è infatti dimostrato da lunga esperienza che un concetto comune, facile e piano, difficilmente trionfa, come quello che non fa profonda impressione; laddove il paradosso ha maggiore efficacia, e gli è appunto per via di paradossi che il mondo cammina. Ma che cos’è alla perfine il paradosso? Un’idea contraria a quella che si ha comunemente per vera; donde non consegue che possa chiarirsi assurda. Buona nella sostanza, ella si fa stimolante per la forma; ora le ròzze che tirano il carro del progresso hanno davvero bisogno di stimolo.
Un paradosso di questa fatta era appunto la massima di Laurenti che si potesse vivere senza l’amore. Concetto giusto fino ad un certo segno, come tanti altri che si presentano sotto la forma: «si può vivere senza questo,» alla qual forma il popolo, che grossamente ma direttamente ragiona, usa sempre rispondere: «ma con questo si vive meglio.»
Intanto, con quella sua lettera, Luisa diceva chiaro a Laurenti di aver fatto pro’ delle ricette, ma di non avere inteso punto il cuore del medico. Facendolo troppo alto, non lo considerava più come un uomo. E cotesto non si poteva ascriverle a torto, imperocchè simiglianti sformazioni sono la cosa più naturale del mondo. Noi, quanti siamo, non immagineremo mai Socrate innamorato; lo vedremo sempre filosofante, perfino nella casa di Aspasia.
Guido insomma si avvedeva, leggendo la lettera della signora Argellani, di aver fatto opera sottile a suo danno, di essersi, come dice argutamente il proverbio, aguzzato il palo sulle ginocchia.
— Ma infine, pensò egli alzandosi in piedi, che importa che io abbia a patirne il danno, se ella risana? Percy è morto nel suo cuore, ed io l’ho salvata; questo è l’essenziale. Oramai la cura andrà da sè; la scienza darà i suoi medicamenti, infonderà il ferro nel sangue, discacciandone la linfa sovrabbondante; la mite stagione, l’aria, il moto delle membra e la calma dello spirito, le rifioriranno le guancie. Animo, su! Percy è morto. E poi, quando sarà risanata, morrò io. —
Questo pensiero, già parecchie volte accarezzato dal suo dolore nei profondi inesplorati recessi dell’anima, gli si affacciò al tribunale del raziocinio, armato di tutti gli arnesi della logica.
— Che cosa farei io, senza l’amore di quella donna? Si può egli vivere senza l’amore, quando non si disprezzi chi ve lo ha inspirato? Sono io tal uomo da andar co’ sotterfugi, per vie coperte, a guadagnare tratto tratto un po’ di terreno? Son io tale da accontentarmi alla sua amicizia? Son io uomo da consolarmi, da poter vivere senza di lei? È tale la mia tempra, da piegare innanzi alle difficoltà, da sviarsi tranquilla di rincontro agli ostacoli?
A tutte queste dimande, il raziocinio inflessibile rispondeva di no.
— Orbene, la risanerò affatto, e ne morrò io. Ripeterò sulla mia persona l’esperimento di prosciugar le vene ad un sano, per rinnovare il sangue e rinfrescar la vita nelle vene del moribondo.
Questa deliberazione, considerata per tutti i lati, gli parve buona, e la prese. Andò allo specchio, e gli sembrò di avere il volto sereno, quasi ilare pel fatto proposito. Sorrise alla sua immagine, si ravviò alla lesta i capegli, si vestì elegantemente come un forte che va a morire, e si recò difilato in casa Argellani.
La signora Luisa era nel suo salottino, intenta a cominciare un ricamo sul telaio. La vita si risvegliava in lei, e colla vita il desiderio di ripigliare i suoi consueti passatempi. Era ancora un po’ fiacca per la gita e per le commozioni del giorno innanzi, ma piena di volontà; e colla volontà in aiuto, si fanno miglia di molte.
Il povero Guido non l’aveva mai veduta così bella come in quel punto, e in quell’operoso atteggiamento; ma chiuse gli occhi, o, per dir meglio, comandò ai suoi occhi di non vedere. Si fece in cambio a ringraziarla della sua lettera, la quale gli dimostrava com’ella avesse cavato profitto dai consigli del suo medico, e di tal guisa non mettesse a nudo la pochezza del suo sapere.
Ad ogni costo, e in breve, ella voleva essere risanata. Il ritorno alla vita si palesava in lei con una tal potenza di desiderio, da insuperbire ogni altro discepolo di Galeno che non fosse stato Laurenti. Ma egli, poveretto, era tutto umile in tanta gloria, e rimaneva oppresso dai ringraziamenti della bellissima inferma. Le toccò il polso con molta gravità, cercando di dimenticare che le sue dita premevano le carni della donna gentile; ordinò alcune pozioni; le disse che sarebbe tornato più tardi per condurla in giardino, e partì mezz’ora dopo che era entrato da lei.
E’ fu un medico e nulla più; si ristrinse nel suo ufficio, come la chiocciola si rannicchia nel suo guscio; e di fuori appariva tutto gaiezza, tutto sorrisi, mentre sentiva lo schianto nel cuore.
Più tardi, in giardino, fu la medesima cosa. Uditrice la signora Luisa, e’ fece una lezione di botanica col Giacomo; parlò della pioggia e del sereno con una mirabile franchezza. La donna gentile si stancò della passeggiata, ed egli le offerse il braccio per ricondurla in casa. Seduto accanto a lei sul canapè, si pose a leggerle un canto dell’Ariosto, facendole assaporare le prelibate dolcezze del racconto e la scioltezza di quelle stanze divine, fino a tanto gli occhi non le diventarono piccini dal sonno, e allora egli prese commiato.
Per tre o quattro giorni durò in quel modo, salvo che, in cambio di condurla a passeggio pel giardino, l’accompagnò in carrozza a fare qualche gita verso il bel paese di Pegli. La sottile brezza marina rinvigoriva il petto all’inferma; le resinose fragranze del pino ridestavano le inerti fibre; quel muoversi, quel mutar di vedute e di pensieri, le rallegravano lo spirito. Egli spiava con sollecita cura il rinnovarsi di quella esistenza preziosa, precorreva col pensiero impaziente il tempo che dovea risanarla, ed uccidere lui. E Luisa non si addava di quelle interne battaglie; ella si lasciava ire in balìa di tutte le sue rinnovate sensazioni, curiosa, inconscia e serena come il fanciullo che per la prima volta esca dal suolo natale per correr nuovi paesi; raccontava con affettuosa dimestichezza ciò che sentiva; dimandava ingenuamente ragione d’ogni cosa al suo medico; guardava sempre dinanzi a sè, e non volgeva mai gli occhi da fianco.
Egli frattanto, nelle ore che gli restavano disutili (ed erano molte ed eternamente lunghe) si condannava allo studio, e poichè s’era accorto che a meditare sui libri presto perdeva il filo della lettura, ricadendo nei soliti molesti pensieri, correva all’impazzata su per le circostanti montagne ad erbolare, ma più ancora a farneticare da solo. Dura vita che nessun uomo di cuore vorrebbe vivere un mese!
Un mattino, tornando a casa da una di quelle corse rabbiose, fu grande la sua maraviglia al vedersi venir tra le gambe il Giovannino, vestito da festa e razzimato, lisciato, come un putto dell’Albani, il quale, dopo aver ricevute le sue carezze, lo tirò per le falde dell’abito verso il viale, in capo a cui gli fece vedere la signora Argellani, seduta sul muretto, accanto all’olmo, e la Maddalena ritta, poco lunge da lei.
La signora Luisa non aveva mai posto piede in casa sua; però argomentate come rimanesse stupefatto al vederla colà, e seduta là appunto dove egli si stava quel giorno che per la prima volta aveva veduto lei, e l’amore gli era penetrato come una freccia avvelenata nel seno.
— Oh! Era tempo! — esclamò la donna gentile, appena lo ebbe veduto.
— Signora.... — balbettò egli; — io non potevo certamente aspettarmi.....
— Zitto, per carità, coi vostri complimenti! Sapete che non mi vanno a sangue.... e se m’andassero a sangue, chi sa? a quest’ora sarei già insanguinata, o non sarei caduta inferma. Vi piace il bisticcio?
— Molto, signora; l’ammalato, che celia sulla sua infermità, è sul punto di mandarla a quel paese. Ma.....
— Ma infine vorreste sapere perchè sono venuta qua; non è egli vero? Vi contenterò subito. Maddalena è scesa la seconda volta a Genova per salutarmi, e il Giovannino, che non vi ha visto la prima, s’è richiamato per violazione di patti. Allora abbiamo pensato di venirvi a cercare, ed è un’ora che siamo quassù. Ma dove siete stato, voi?
— Ad erbolare, signora.
E qui Laurenti mostrò un fascio di pianticelle raccolte sui greppi.
— Ma sapete che voglio venire anch’io? — disse la signora Argellani. — Voi raccoglierete erbe, ed io darò la caccia alle farfalle.
— E’ sarà un grande onore per me; ma le vi faranno correre e sudare di molto, quelle che già abbiano messe le ali. Quelle altre poi che sono ancora nel primo stato di bruchi, o in quello di larve, vi faranno ribrezzo.
— Orbene, io raccoglierò le erbe che mi direte, e voi le farfalle, i bruchi, e quello che vorrete; oppure io starò seduta su di un sasso muscoso a vedervi correre. Vi torna, così?
Laurenti fece un profondo inchino, e si avvicinò a stringerle la mano. Quella donna, per fermo, anco noncurante, non si poteva che amarla, dirò meglio, adorarla.
Il Giovannino fece gran festa a Laurenti, che gli regalò un bel libro di storia naturale, pieno d’immagini dipinte d’ogni maniera d’animali, cominciando dall’uomo. Quindi, fatta vedere partitamenente la casa a’ suoi ospiti, Laurenti scese con essi alla palazzina gialla.
Lungo il tragitto, appoggiata al suo braccio, la signora Argellani diceva a Guido:
— Se sapeste come mi sento meglio! come sono contenta! Non mi ricordo più di nulla, non penso più a nulla. Oggi vivo per vivere, e più tardi vivrò per studiare, per rallegrarmi lo spirito, per fare tutto il bene che potrò.
Discorso che stringea il cuore a Laurenti! Ed io morrò per voi! pensava egli frattanto.
Poco stante, Maddalena si accomiatò, e la signora Argellani la fece ricondurre nella sua carrozza fino a Staglieno.
— Vi eravate dimenticato di quella brava gente? — chiese la donna gentile a Guido, come furono soli.
— Sì; — rispose egli asciutto.
— Cattivo dottore! E non ricordate già più che quei buoni contadini ci hanno avuto la parte loro, mercè vostra, s’intende, in quella giornata che io reputerò sempre il principio della mia seconda vita?
Un amaro sorriso sfiorò le labbra di Laurenti. — Ed ella lo crede? — pensò egli — Ed ella può giudicarmi così dimentico?
E fatte alcune altre parole, se ne andò, pensando che le donne non avevano più che tanto di cuore.
Quel giorno medesimo, andando pensieroso per via, s’avvenne in un amico.
— Ohè, Laurenti, come va?
— Bene.
— Con che abbondanza di parole lo dici! Tu m’hai l’aria d’uomo che non istà bene affatto, se non per avventura di corpo, certamente di spirito.
— Tu vuoi celiare, oggi. E quando mi hai tu veduto diverso?
— Oh, parecchie volte, ma invero nei tempi passati; chè ora, come dicono i toscani, o non ti si vede, o quando ti si vede non ti si può parlare. Laurenti, Laurenti! Tu se’ innamorato fradicio.
— Io? se’ pazzo?
— Lo so di buon luogo.
— Che sei pazzo?
— No, che tu sei innamorato. Ti dico e ti ripeto che lo so. Figurati che se n’è fatto gran chiaccherare l’altra sera in fiorita compagnia.... in casa Perrotti, insomma.
— Che? come? — proruppe sbigottito Laurenti.
— Ah, vedi? Cascano i filinguelli al paretaio....
— Casco io? T’inganni; io argomento in quella vece che nelle chiacchere alle quali tu accenni ci sia una bella e buona malignità femminile.
— In quanto è a cotesto, avrai forse ragione. La signora Aurelia è un Asmodeo diventato femmina. Ma, in fin de’ conti, non ti si faceva ingiuria a dire che sei il medico di una bellissima signora, che tu sei innamorato di lei, o ella....
— Taci; quei signori non sanno quel che si dicano. In tutto cotesto, salvo il negozio del medico, non c’è ombra di vero. E dimmi, fu pronunziato il nome?
— Mi pare di no, ma tutti capivano. I connotati c’erano tutti, e il nome lo si aggiungeva del proprio, nel fondo della coscienza.
— E tu non hai protestato?
— Io, amico carissimo? Ora sei tu il pazzo, non io. O come? Si dice innanzi a me che il mio Guido è avviluppato in una ventura amorosa con una bellissima dama (e la dicevano invero bellissima), che egli è contento, od è ad un pelo di esserlo; ed io, amico suo, dovrei saltar fuori a sacramentare che non è vero? che cotesto è impossibile, perchè Laurenti è brutto, spiacente, e non ha da trovare una donna che gli getti il tulipano dalla finestra? Di amici che possano farti simiglianti servigi vattene a cercare altrove, Laurenti mio, non nello studio del primo avvocato di Genova (primo per ingegno s’intende, e non per copia di mali negozi), dove io sto facendo conclusioni, senza conchiudere mai nulla per me.
— Hai ragione, chetati, hai ragione. Ma in quello che s’è detto dai Perrotti non c’è ombra di vero, sai? te lo giuro per la memoria di mia madre.
— Perdio, lo credo anco senza bisogno che giuri. Ma infine, perchè ti nascondi da ogni sguardo profano?
— Tu sai che è sempre stato il mio costume di vivermene soletto; ed ora sto appunto per andarmene...
— Che?
— Sì, vado a Milano.
— O quando?
— Dimani; vado a passare alcuni giorni laggiù, dove alcuni amici mi aspettano. Tu, se odi ancora a sparlare, puoi dire chiaro e tondo che io non sono neppure a Genova; poichè, alla fine, una calunnia, segnatamente quando risguardi una donna, se si può levarla di mezzo con due parole....
— Dici ottimamente, e, non dubitare, ti servirò a misura di carbone.
— Addio, dunque!
— Addio; buon viaggio, e fammi una retata di pallide lombarde. —
Verso sera Laurenti andò dalla signora Argellani, come aveva promesso. La conversazione non fu molto ordinata, nè ricca di belle novità, sebbene la donna gentile fosse d’un umor gaio oltre l’usato. Pensando alla sua partenza, che gli era nata in mente a mezza strada come una felice inspirazione, Guido non badava molto a tener vivo il dialogo con quelle immaginose parlate che egli sapea fare su d’ogni tema, solo che gli si desse appiglio con quattro parole.
Come fare a dirle che parto? pensava il giovine, mentre la donna gentile gli venia raccontando le sue pensate di quel giorno. — Il mio viaggio è nato lì per lì, senza preparazione, senza avvertimento di sorta... Ma infine, che cosa le importerà che io me ne vada? Ella oggimai non ha bisogno del medico, ed io d’altra parte non debbo a nissun costo lasciar credere alla gente che amo questa donna, cosa pur troppo verissima, e che ella ama me, il che non è punto vero. Ella amar me? Ella avvedersi solamente che io l’amo?...
Tutti quei bei pensamenti lo condussero finalmente a dire ad alta voce che la mattina seguente egli doveva partire per alla volta di Milano.
— Che? voi partite?
— Si, signora; parto.
— O come, aspettate a parlarmene adesso?
— Perchè stamane.... non ci ho pensato punto. Un amico di là mi prega di andare;... un amico d’infanzia...
La signora Argellani era rimasta attonita a quell’annunzio improvviso. Il pensiero che Laurenti, il suo medico, che ella era avvezza a vedere di continuo, se ne andasse da Genova, anco per una diecina di giorni, non le era venuto in mente giammai.
— Gli è strano! — pensò ella — gli è strano!
E fu per guardare colla coda dell’occhio la faccia di Laurenti; ma si trattenne, e si ristrinse a dirgli:
— Dunque ve ne andate domattina!
— Sì, ma vi lascio in convalescenza cosiffattamente avviata, che non può fallir più.
— Oh non dico per cotesto, signor dottore, che diffatti io mi sento rinata, e per vivere la mia seconda vita non ho d’uopo che di attenermi alle vostre ordinazioni. Mi duole in quella vece di veder partire gli amici.
— Starò pochi giorni — disse Laurenti alzandosi a mezzo dalla scranna per accompagnare quelle parole con un inchino, e voltarle ad un ringraziamento.
Pochi minuti dopo, si congedò, ed uscì dalla palazzina co’ denti chiusi e i pugni stretti, come per vincere lo sforzo che il dolore gli faceva di dentro. E intanto la signora Luisa pensava a quella improvvisa partenza, ripetendo tra sè: «gli è strano davvero! Che cos’ha il signor Laurenti, che io non lo riconosco più?»