Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 76 — |
sangue, discacciandone la linfa sovrabbondante; la mite stagione, l’aria, il moto delle membra e la calma dello spirito, le rifioriranno le guancie. Animo, su! Percy è morto. E poi, quando sarà risanata, morrò io. —
Questo pensiero, già parecchie volte accarezzato dal suo dolore nei profondi inesplorati recessi dell’anima, gli si affacciò al tribunale del raziocinio, armato di tutti gli arnesi della logica.
— Che cosa farei io, senza l’amore di quella donna? Si può egli vivere senza l’amore, quando non si disprezzi chi ve lo ha inspirato? Sono io tal uomo da andar co’ sotterfugi, per vie coperte, a guadagnare tratto tratto un po’ di terreno? Son io tale da accontentarmi alla sua amicizia? Son io uomo da consolarmi, da poter vivere senza di lei? È tale la mia tempra, da piegare innanzi alle difficoltà, da sviarsi tranquilla di rincontro agli ostacoli?
A tutte queste dimande, il raziocinio inflessibile rispondeva di no.
— Orbene, la risanerò affatto, e ne morrò io. Ripeterò sulla mia persona l’esperimento di prosciugar le vene ad un sano, per rinnovare il sangue e rinfrescar la vita nelle vene del moribondo.
Questa deliberazione, considerata per tutti i lati, gli parve buona, e la prese.