L'impresario delle Smirne/Atto V

Atto V

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Atto IV Nota storica

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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.

Camera nell’albergo d’Alì.

Carluccio in abito di viaggio, con pelliccia, stivali,
una scuriata, berretta da viaggio; poi Servitore.

Carluccio. O di casa. O di casa, (facendo strepito, e battendo la scuriata) Dormono ancora? Che baronata è questa? Si parte o non si parte?

Servitore. Che diavolo di rumore? (a Carluccio)

Carluccio. Chiamo, chiamo, e nessun mi risponde.

Servitore. Dica piano, signore. Lasci dormire i forestieri che dormono.

Carluccio. Il Turco è risvegliato?

Servitore. È risvegliato, ed è uscito fuori di casa.

Carluccio. Portami il cioccolato con del pane arrostito. [p. 262 modifica]

Servitore. E dove vuol che lo prenda?

Carluccio. Che? non vi è cioccolato? L’impresario non ce l’ha preparato? Prendilo alla bottega.

Servitore. E chi pagherà?

Carluccio. Pagherà l’impresario.

Servitore. Scusi; non mi ha dato questi ordini.

Carluccio. Pagherò io.

Servitore. È ancor di buon’ora, la bottega non è aperta; quando si aprirà, farò venire il garzone.

Carluccio. Ma io non posso aspettare. Son di stomaco delicato, ho tralasciato di far colazione per venire di buon’ora da quest’asino d’impresario.... Guarda se c’è qualche cosa nell’osteria.

Servitore. Signore, questa non è osteria, ma è locanda.

Carluccio. Maledette siano le locande, ed i locandieri! Fanno gli osti, e non vogliono che si dica osteria. Portami da mangiare.

Servitore. Io non so cosa darle, e non le porterò niente.

Carluccio. Ti do un calcio. Ti do la scuriata a traverso la faccia.

Servitore. Mi fa ridere! Cosa vuô fare in nave della scuriata e degli stivali?

Carluccio. Animale! i pari miei non viaggiano senza stivali, e colla scuriata terrò i marinari svegliati.

Servitore. Badi bene, che se farà il pazzo in nave, la getteranno in mare.

Carluccio. Asino.

Servitore. Non istrapazzi, che cospetto della luna, a bastonar lei mi parrebbe di bastonare un sacco. (con forza)

Carluccio. Ma, caro amico, non posso più; ho bisogno di reficiarmi, portatemi qualche cosa per cortesia.

Servitore. Oh, se parlerà così, è differente. Vado subito a servirla.

Carluccio. E che cosa mi porterete?

Servitore. Un bicchier d’acqua tepida.

Carluccio. Dell’acqua ad un par mio?

Servitore. Non ho altro da darle. Se la vuole, la prenda; se non la vuole, la lasci. (parte) [p. 263 modifica]

SCENA II.

Carluccio, poi Maccario.

Carluccio. Dove si sarà cacciato quell’animale di Nibio? Scommetto che egli è a far la corte a qualche virtuosa. Invece di venire da me... Invece di portarmi il primo quartale anticipato, come mi aveva promesso. Corpo di bacco! ho dovuto sortir di casa avanti giorno, per evitare la folla de’ creditori.

Maccario. (Maccario da viaggio con un cattivo pastrano) (Che cosa vuol dire questa stravaganza? Non si vede ancora nessuno? Son suonate le quindici, e non si vede... Oh, ecco qui il soprano).

Carluccio. Schiavo, signor Maccario.

Maccario. Avete veduto l’impresario?

Carluccio. E fuor di casa quell’animale.

Maccario. E Nibio?

Carluccio. Non è ancora comparso.

Maccario. Mi pare che avrebbe dovuto trovarsi qui prima degli altri.

Carluccio. Il quartale ve l’ha dato?

Maccario. Non mi ha dato un quattrino. M’alzai di buon’ora, andai da lui, e mi hanno detto che è uscito prima del giorno, ed io prima di partire ho bisogno di qualche denaro.

Carluccio. Avete qualche debito, non è vero, pover’uomo?

Maccario. Sì, signore. Chi non ha debiti, non ha credito. I debiti non guastano il galantuomo.

Carluccio. (Così dico ancor io).

Maccario. E prima di partire ho da comprar qualche libro, di cui posso avere bisogno.

Carluccio. E di quai libri volete voi provvedervi?

Maccario. D’un Metastasio, d’un Apostolo Zeno, delle opere del Pariati, e d’una raccolta di drammi vecchi, e sopratutto d’un buon rimario. Alle Smirne voglio lavorar di buon cuore. Farò de’ libri stupendi.

Carluccio. De’ libri impasticciati. [p. 264 modifica]

Maccario. Caro signor Carluccio, voi sapete chi sono. Con i miei pasticci, voi sapete ch’io servo al vostro bisogno. Voi non avete che due arie, cantate e ricantate, e le mettete in tutte le opere nelle quali voi recitate; e sapete quante volte mi avete fatto cambiar le parole a queste due arie eterne. Mi ricordo ancora di quell’aria, che mi faceste cambiare per Genova. Non mi deste tempo a pensare, e per rimare cielo con ruscello, mi faceste lasciare un elle nella penna.

Carluccio. Oh, oh, di questi arbitrii voi altri poeti ve ne prendete quanti volete.

Maccario. È vero che le licenze poetiche sono permesse.

Carluccio. Ecco la Bolognese. Che diavolo è quella gente che viene con lei?

Maccario. La mamma, suo fratello ed il servitore con i cani.

SCENA III.

Annina da viaggio, una Vecchia, ed un Giovane mal vestito, ed un Servitore con livrea con due cani legati con un nastro; e detti. La Vecchia va a sedere in fondo della scena.

Annina. A quel ch’io vedo, io sono la prima. Se sapeva così, sarei stata in letto ancora un’oretta.

Carluccio. Quando ci sono io, che sono il primo soprano, ci potete essere anche voi.

Annina. Cosa fanno, che non vengono queste due sguaiate? Si metteranno in bellezze. Io sono una bestia. Per non fare aspettare, non ho fatto nemmeno la mia tavoletta.

Carluccio. Chi ha da venire? Chi sono quelle che si fanno aspettare?

Maccario. L’Acquacedrataia e la Zuecchina.

Carluccio. È egli vero, che voi fate l’ultima parte? (ad Annina, ridendo.)

Annina. Andiamo a sbarcare alle Smirne, e là la discorreremo. Per ora ho dovuto ingoiar questa pillola amara: ma quando saremo di là del mare, vedranno chi è l’Annina bolognese. [p. 265 modifica]

Carluccio. Avete ragione. Voi non siete per fare l’ultima parte, lo vi sosterrò contro l’impresario e contro tutto il mondo; e se vorranno opporsi a quel ch’io dico e quel ch’io voglio, giuro da quel ch’io sono, manderò l’opera a terra.

SCENA IV.

Tognina da viaggio con un cane in braccio ed uno legato con una cordicella, Pasqualino con varie scatole e fagotti; e detti.

Tognina. Eccomi. Dov’è l’illustrissima signora prima donna? Sono stata ben pazza io a venire prima di lei. Questa gran signora vuol farsi aspettare. Dov’è l’impresario? Dov’è Nibio? Dove sono i quattrini?

Maccario. L’impresario non c’è, e Nibio non si vede.

Tognina. Che impertinenza! Non mi hanno nè meno mandato la gondola. Per la gran paga che mi danno! Per venir qui ho dovuto spendere trenta soldi del mio.

Pasqualino. Via, per trenta soldi non vi fate scorgere.

Tognina. Tacete voi, e badate alle mie scatole.

Carluccio. Che cosa vuol dir questo, signora? Voi non fate da prima donna? 1(a Tognina)

Tognina. Che dite eh? Il bel conto che si fa in oggi del merito. Quest’impresario selvatico, quel caro signor conte Lasca, mi hanno fatto questo torto per causa di quella sguaiata.

Carluccio. Per la Fiorentina?

Tognina. Signor sì. Per quella gioia. Mi vien voglia di stracciar la scrittura.

Carluccio. Non temete niente. Troverò io la maniera di umiliarla e di escludeda. Dirò ch’io non voglio cantar con lei.

Tognina. Se vi è qualche duetto, sapete quel ch’io so fare. Se lo cantiamo insieme, faremo innamorar tutto il mondo. [p. 266 modifica]

Annina. Se abbisognano dei duetti, io ne ho cinque o sei di superbi.

Tognina. Scusatemi, signora, voi non c’entrate. Voi siete l’ultima parte.

Annina. O I’ultima, o la prima, ci parleremo.

Tognina. (Guardate, non ha rossore a mettersi con noi). (piano a Carluccio)

Carluccio. Io sono il primo soprano, e voglio la prima donna a modo mio.

Pasqualino. Caro amico, vi consiglio per ora non far rumori.

Carluccio. Come c’entrate voi nelle mie pretensioni? Siete forse geloso? Oh quest’è bella! Voi fate all’amore in casa, ed io lo vuò far sulla scena.

Tognina. Signor sì; vogliamo fare quel che vogliamo. (a Pasqualino)

Pasqualino. Io sono stanco di tener questi impicci alle mani. (getta in terra tutte le scatole)

Tognina. Guardate che animalaccio! Prendete su quelle scatole. (a Pasqualino)

Pasqualino. Eh, sono stanco. (con isprezzatura)

Tognina. Prendete voi, signor Maccario. (con imperiosità)

Maccario. Io? (con maraviglia)

Tognina. Guardate che maraviglie! Potreste bene incomodarvi. Siete venuto tante volte a desinare con me.

Maccario. (Andiamo alle Smirne. Voglio servirla come va. Parte, arie, tutto cattivo. Tutto farò per dispetto).

Tognina. (Povero, e superbo). Quel giovane, fatemi il piacere di raccogliere quelle scatole. (al servitore di Annina)

Annina. Si faccia servire dal suo servitore. (a Tognina, e prende per il braccio il servitore, e lo tira lontano.)

Tognina. (Indegni quanti siete! Quando saremo alle Smirne....) (ramassa ella le scatole)

Carluccio. Oh, ecco la Fiorentina.

Annina. È ora, è ora davvero! Si è ella bene stuccata? Si è ben bellettata? [p. 267 modifica]

SCENA V.

Lucrezia da viaggio con un cane, un Servitore con un pappagallo ed un gallo; e detti.

Lucrezia. Serva di lor signori. Perdonino di grazia. Mi hanno forse aspettato?

Carluccio. Niente, la mia cara gioia, la mia dea, la mia principessa. Voi siete la prima donna, e potete farvi aspettare.

Annina. (Credo ch’ei la burli).

Tognina. (Sì, sì, la prima donna! Quando saremo alle Smirne).

Annina. (Oh maladetta! Il pappagallo!)

Tognina. (La gatta!)

Lucrezia. L’impresario dov’è?

Maccario. È sortito, e non è ancora tornato.

Lucrezia. Perchè farmi venir qui ad aspettarlo? Prima d’andare in mare, voglio saper un poco quale abbia da essere nella nave il mio posto.

Tognina. Oh, prenderà per lei un bastimento apposta, una nave da guerra.

Lucrezia. Non ho parlato con voi, signora, e non vi rispondo.

Carluccio. Per me voglio la camera del capitano, e mi contento di dividerla con voi. (a Lucrezia)

Lucrezia. Sarà bene che stiamo vicini.

Carluccio. Senza dubbio. Siete la mia prima donna, siete la mia regina; noi dobbiamo stare lontani dalla turba volgare.

Tognina. (Dite davvero?) (piano a Carluccio)

Carluccio. (Non dubitate). (a Tognina)

Annina. (Parlate voi sul sodo?) (piano a Carluccio)

Carluccio. (Non temete, sono per voi). (ad Annina) (Ah, tutte queste virtuose sono incantate del mio gran merito e della mia bellezza). (da sè) [p. 268 modifica]

SCENA VI.

Nibio con una quantità di persone inservienti al teatro, e detti.

Nibio. Eccoci qui tutti uniti.

Maccario. Signor Nibio, quattrini.

Carluccio. Il mio quartale? (a Nibio)

Tognina. Danari, padron mio. (a Nibio)

Annina. I danari che mi avete promessi. (a Nibio)

Lucrezia. Vi ho aspettato invano. Dove sono i quattrini? (a Nibio)

Pasqualino. Se si ha da partire, ci vogliono de’ quattrini. (a Nibio)

Nibio. Ma via, non mi mangiate. Quattrini, se non me ne danno, non ne posso dare. Aspettate l’impresario, e darà a tutti quel che ha promesso.

Carluccio. Dov’è andato costui?

Nibio. Mi sono informato, mi hanno detto ch’è stato veduto col conte Lasca, e poco possono star a ritornare.

Lucrezia. Ma che diamine faranno? Dove diamine saranno andati?

Nibio. Io penso che siano andati dal banchiere a pigliare il danaro.

Tognina. E aspettano a quest’ora?

Carluccio. Questa è un’impertinenza.

SCENA ULTIMA.

Il Conte Lasca e detti.

Lasca. Schiavo di lor signori.

Nibio. Dov’è l’impresario?

Carluccio. Dov’è questa bestia d’Alì?

Tognina. Viene, o non viene?

Annina. Si parte, o non si parte?

Lasca. Mi rallegro di vedere questa bella compagnia pronta, unita e raccolta. Il signor impresario saluta tutti, fa il suo complimento a tutti, e mi ha dato questa borsa con duemila ducati, [p. 269 modifica] perchè io ne faccia il comparto, e a tutti ne dia a proporzione. Spero che ognuno sarà contento, (ciascheduno allunga le mani) Ma piano; prima ch’io distribuisca il danaro, deggio informarvi di un’altra cosa. Il signor impresario, stordito, affaticato dai musici, dal sensale, dal poeta e dagli operai, la notte scorsa non ha potuto dormire. Vegliando e ripensando, ha presa la risoluzione di sagrificare le spese che ha fatto fare alle Smirne; manda questi duemila ducati in regalo alla compagnia, ha profittato del vento favorevole, ed è partito per le Smirne.

Tognina. Oh maledetto impresario!

Annina. Oh cosa mi tocca a sentire!

Lucrezia. Piantare così una donna della mia sorte?

Nibio. Presto, signor Conte, principiate a dividere i duemila ducati.

Carluccio. Cinquecento per me.

Maccario. Ricordatevi che tutti ci abbiamo a bagnar la bocca. (al Conte)

Lasca. Figliuoli miei, di questo danaro, se è diviso in tanti, poco a ciascheduno può toccare. Sentite una mia idea, una mia proposizione. Lo terrò io in deposito; ci servirà di fondo; voi farete una società, si farà un’opera di quelle che diconsi a carato. Ciascheduno starà al bene e al male. Se anderà bene, dividerete il guadagno, se anderà male, spero non ci rimetterete del vostro.

Carluccio. Io ci sono, e basto io solo per la fortuna di quest’impresa.

Lucrezia. Io sono la prima donna.

Tognina. Se siamo a carato, io sono anziana, e la prima voglio esser io.

Annina. Ora non siamo alle Smirne, e la cosa non deve andare così.

Lasca. A monte tutte le gare e le differenze. Che la compagnia resti come è, e come era già stabilita. Se così non si accorda, intendo che la società sia disfatta, e come io ebbi dal Turco l’arbitrio e la facoltà di dispone a modo mio di [p. 270 modifica] questo danaro, ne farò quell’uso che mi parerà, in favore di chi sarà più docile, e punirò i prosontuosi.

Lucrezia. Per me, mi rimetto al signor Conte.

Tognina. Io non guasto; non voglio che dicano, ch’io son difficile.

Annina. Ci riportiamo alla cognizione ed alla bontà del signor Conte.

Pasqualino. Voi mi conoscete, e mi raccomando alla vostra protezione, (al Conte)

Maccario. Anch’io mi raccomando a voi, son galantuomo, e mi contento di tutto.

Nibio. Farò io da direttore, se vi contentate.

Tognina. La signora Lucrezia è mia buona amica.

Annina. Non vi sarà che dire fra noi.

Lucrezia. Sì, viveremo m pace. Ecco un bacio.

Annina. Ecco un bacio. (tutte tre si baciano)

Tognina. Un bacio.

Lasca. Così mi piace. Così va bene. Spero che starete in pace, e che tutti contribuirete per il comune interesse. Ecco la differenza che passa fra un teatro a carato, e quello d’un impresario. Sotto di un uomo che paga, tutti sono superbi, arditi, pretendenti. Quando l’impresa è dei musici, tutti sono rassegnati, e faticano volentieri. L’Impresario delle Smirne è una buona lezione per quelli che vogliono intraprendere di tali imprese, difficili, laboriose, e per lo più rovinose.

Fine della Commedia.


Note

  1. Nelle vecchie edizioni c’è il punto fermo.