L'impresario delle Smirne/Nota storica

Nota storica

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Atto V
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NOTA STORICA

L’Impresario delle Smirne inaugurò felicemente la stagione di carnovale dell’anno comico 1759-60 nel teatro di S. Luca, e fra il dicembre e il gennaio si recitò dieci sere di seguito. Altre due rappresentazioni ebbero luogo da parte della stessa compagnia nell’autunno del 1760, e altre nelle stagioni autunnali del ’62, del ’63, del ’67 e nei carnovali del ’63 e del ’67: altre ancora a Verona nell’estate del ’63 e del 66, a Torino nell’estate ’66 e nella primavera ’66, a Vicenza nella primavera 67. Devo queste notizie alla somma gentilezza del dottor Aldo Rava, che per me le trasse da un elenco di recite dal 1758 al 1770, appartenente all’archivio del teatro Goldoni di Venezia (già S. Luca). Finora gli studiosi erano costretti ad assegnare la commedia al carnovale del 1761, prestando fede all’ed. Pasquali, benchè non se ne trovasse alcun cenno nella Gazzetta Veneta del Chiari. Evidente poi appariva l’errore delle Memorie (P. 2a, cap. XXX) che la trasportavano nel carnovale del 1755.

L’Impresario fu scritto e recitato in versi martelliani, ma quando l’autore lo stampò la prima volta nel 1774, nel t. XII dell’ed. Pasquali, lo ridusse in prosa (v. pref.) sopprimendo o aggiungendo qualche scena; ma gli tolse un po’ del colorito, voltando in cattiva lingua italiana o, com’egli dice, «in buon italiano corrente» i caratteristici dialetti, veneziano, bolognese e fiorentino, delle tre cantatrici. Non si sa per qual fortunato accidente nel t. XIV dell’ ed. Savioli o Pitteri, che e tutt’uno, pubblicato quattro anni dopo, comparisse, invece del testo Pasquali, l’originale in versi, sia pure qua e là scorretto, che noi offriamo in appendice: preferito anche nell’Ottocento dagli editori Antonelli di Venezia (t. LXVIII, 1831) e Perino di Roma. Strano e che l’Antonelli in un breve avviso si vantasse di far dono agli associati di questa «ricercata rarissima Commedia.... ridotta in versi martelliani dallo stesso Goldoni; commedia non per anco stata compresa in veruna Raccolta».

In verità il Goldoni non compì per nulla il programma teatrale bandito al pubblico nel prologo Il Monte Parnaso, in principio d’ottobre: o S. E. Vendramin si spaventò di qualche rumorosa caduta, o il dottor veneziano della propria audacia. Quest’ultimo non si diede vinto del tutto, e tornò a descrivere con intento di satira il dietroscena del Teatro, a brevissima distanza dalla Scuola di ballo (v. vol. precedente), passando da Tersicore a Euterpe, dai ballerini ai cantanti, dalla terza rima al distico martelliano. Ricordiamo che fin dal 1750 il Goldoni aveva fatto rappresentare il Teatro comico (v. vol. IV); ricordiamo che anche il Chiari, tra il 1754 e il ’35 aveva pubblicato tre romanzi intitolati la Ballerina onorata, la Cantatrice per disgrazia e la Commediante in fortuna.

Io credo che lo stesso verso endecasillabo avesse irrigidito la mano e la fantasia di Goldoni nello scrivere la Scuola di ballo. Il verso martelliano, [p. 352 modifica]ormai familiare al poeta ed esercitato a far parlare le massere e le donne de casa soa, gli restituì la gaiezza e la vita. Qui non vi sono soltanto ombre o manichini: ma figure vere di donne prorompono davanti al pubblico confondendo i loro gerghi, e sul palcoscenico s’incrociano le gelosie e le invidie, le piccole ipocrisie e le grandi vanità femminili. E fate largo a un signore del Settecento, al «soprano» Carluccio, terrore degli impresari; fate largo all’ignoranza, alla villania, alla superbia. Questo è veramente il dietroscena del teatro, ai tempi, intendiamo dire, del Goldoni; e il pubblico veneziano anche questa volta diede un giudizio inappellabile presso i posteri, sbadigliando in faccia al maestro di ballo Rigadon e battendo le mani ad Alì impresario delle Smirne.

Certamente non era cosa nuova la satira delle virtuose di canto. Con una Cantatrice (o Pelarina) non aveva iniziato il Goldoni a Feltre nell’inverno 1729-30 la serie dei suoi intermezzi? non ripetè più tardi nel 1740-41 il ritratto della cantante pelarina nella Clarice della Bancarotta (vol. I della presente ed.)? e nell’autunno del 1750 non fece intervenire nel Teatro comico la «cantatrice» Eleonora? Egli poi teneva a mente, molto più dei romanzi del Chiari, il vecchio e arguto codice del Teatro alla moda ( 1720?) di Benedetto Marcello, certi passi del quale sembrano essersi trasformati in viva materia drammatica nella commedia del Goldoni. Si potrebbe anche ricordare un’opera buffa, la Cantarina, rappresentata e stampata a Napoli nel 1728 (B. Croce, I Teatri di Napoli, Napoli, 1891, p. 243 e sgg.); e meglio ancora l’Impresario delle Canarie, intermezzo attribuito, si può dire con certezza, al giovane Metastasio: recitato la prima volta a Napoli, nel 1724, fra gli atti della Didone abband. (B. Croce, I teatri di Nap, Nap. 1891, pp. 291-2), replicato nel 1725 a Bologna (C. Ricci, I teatri di Bol., Bologna 1888, p. 429) e a Venezia (T. Wiel, I teatri music. venez., Ven. 1897 e Allacci, ed. 1755), poi infinite volte in tutti i teatri. Si potrebbe anche ricordare il ritratto che delle Cantatrici offriva l’avv. Gius. Ant. Costantini in una delle sue Lettere critiche ecc., t. I, Venezia, 1743; e altri infiniti esempi.

Fermiamoci un poco a esaminare l’Impresario delle Canarie del quale ho sott’occhio la ristampa bolognese del 1744, di Lelio dalla Volpe (pp. 12), perchè ad uso del pubblico, e abbreviata qua e là (si confronti per es. coll’ed. Molini di Firenze, vol. I delle Opere di P. M., pp. 638 sgg.). Ricordate i versi citati nel Teatro comico (a III, sc. IO: v. voi. IV, p. 80 della presente edizione): «Signor mio, non v’è riparo, — Io qui spendo il mio danaro, — Voglio dir quel che mi par»? Ebbene, sono versi del libretto metastasiano. Esso è a due parti (ossia di due scene) e a due voci: Dorina e Nibbio.

               Nibbio mi chiamo:
               Canario di nazione.

Anche questo personaggio, insieme col titolo dell’intermezzo, fu trasportato dal Goldoni nella sua commedia. Dice Nibbio a Dorina:

               Dunque deve sapere.
               Che un Teatro famoso
               Nell’Isole Canarie è stato eretto,
               Io vengo a solo oggetto
               Di far la Compagnia.

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E la donna risponde:

               Ho quattro o cinque impegni:
               Ma vedrò di servirla, ove m’accordi
               Un onorario comodo, e decente.

E il dialogo continua con altri versucci bene impressi nella memoria del commediografo veneziano:

               Nibbio.In quell’Isole v’è copia.
               Di passeri canori:
               E s’ella vien colà
               Mi creda.
               Gran preda
               Ne farà.
               Dorina.Ell’ha troppa bontà.
               Nibbio.Ma vuol ch’io parta.
               Senza farmi sentire una cantata?
               Dorina.Son tanto raffreddata!
               Nibbio.Eh non importa:
               Per dir un aria sola
               Non bisogna gran fiato.
               Dorina.Il cembalo è scordato.
               Nibbio.Ella non vuol sonare
               Per non farmi goder la sua virtù.

Ma Nibbio è anche poeta, come Maccario (e come Lelio nel Teatro comico):

               Anzi questo è il mio forte.
               Ho una vena terribile
               Tanto che al mio paese
               Feci quindici Drammi in men d’un mese;

e canta certi versi così spropositati e gonfi, che Dorina finge d’esser chiamata da Lisetta per scappar via. Nella seconda parte, o intermezzo secondo, nulla più troviamo che ci richiami direttamente all’Impresario goldoniano, se non il patto imposto da Dorina di non cantare che «da prima donna»: ma conosciamo ormai donde il Goldoni ricavasse la prima idea della sua commedia.

Tuttavia il Goldoni non aveva bisogno di suggerimenti; gli bastava attingere, alla sua lunga esperienza di autore di melodrammi seri e buffi, come rammenta nella prefazione, e alla cronaca di tutti i giorni a Venezia e fuori, in cui i pettegolezzi e gli scandali dei virtuosi e delle virtuose occupavano grandissima parte. Diamo un’occhiatina alle riferte del confidente G. B. Medri (busta 616 Inquisitori di Stato, presso l’Archivio di Venezia): - 3 febbraio 1757, una maschera consegna varie satire «contro li Musici del Teatro di S. Benetto, dirette una al Guadagni, una al Giardini, una al Baratti, una alla Spagnoletta prima Donna»; 15 marzo, il conte Lorenzo Sirimani cerca gente per far bastonare il musico Gaetano Guadagni; 1 giugno, Pier Marcello ha stretto amicizia colla cantatrice Niccolini, favorita del Duca di Brunswick: «la sera per Piazza, nei Caffè, ed alli Teatri si vede in mascara vestita da uomo una tale Alberis cantatrice, venuta pochi mesi fa da Vienna». Passiamo avanti: 16 giugno 1758 «L’opera di Padova riuscirebbe buona se la prima Donna, cioè la Catterma Gabrielli detta la Coghetta cantasse le sue arie», ma essa e [p. 354 modifica]«frastornata» dal musico Gaetano Guadagni, che vuole che l’opera «vada in terra» perchè gli impresari non lo assunsero come «primo soprano»; 1 settembre, Bortolo Vitturi ha speso per la «cantatrice» milanese Chiara Marini più di cinque mila zecchini ecc. ecc. - Ma di simili storielle, e di fatti più gravi che posero i ministri nell’imbarazzo e i principi in conflitto, sono pieni i libri che narrano la storia dei teatri nel Settecento (vedasi anche P. Molmenti, La gente di teatro al tempo del G., in Fanfulla della domen., 26 maggio 1907).

Che l’autore scrivendo si ispirasse ai propri ricordi, lo sappiamo, per sua confessione, dalla prefazione alla commedia e da un cenno che leggiamo nelle memorie premesse ai vari tomi dell’edizione Pasquali, dove il Goldoni ci parla del direttore e impresario dei due teatri di Genova, Francesco Bardella (t. XV, p. I; v. vol. I, p. 121 della presente ed.): «Niuno meglio di lui conosce questo difficile impegno; tratta con politezza e generosità gli Attori dell’uno e dell’altro genere; ma sa farli star a dovere, e nella mia Commedia intitolata l’Impressario delle Smirne, è egli quel bravo Direttore, di cui si lagna a torto l’impertinente Carluccio» (v. atto I, sc. 3).

Il Goldoni non creò certo un capolavoro, bensi una commedia piacevole, dove anche qualche personaggio minore, come il poeta Maccario (v. sui poeti nel teatro goldoniano R. Schmidbauer, Das Komische bei Gold. München, 1906, p. 111), riusciva a strappare le risa. Il turco Alì che per il linguaggio, e forse per qualche linea comune nel carattere, ci richiama alla memoria il levantino Isidoro nelle Donne de casa soa, non già la mascherata turca nel Borghese gentiluomo di Molière, o altri turchi del teatro dell’arte e dell’opera buffa, è personaggio originale, se non fine, e a Venezia più che altrove doveva piacere al popolo. Oggi la sua figura ha perduto ogni valore, ma nel secolo decimottavo bastava che un po’ di Oriente venisse a contatto col nostro Occidente per provocare la satira dei nostri costumi: si ricordino le mille imitazioni e derivazioni della Spia turca di Marana e delle Lettere persiane. Più fine e più originale il conte Lasca. Ma protettori ben diversi, ora vittime dei virtuosi e specialmente delle virtuose, ora insidiatori tirannici, troveremo più tardi nei romanzi di Antonio Piazza, che anche di altri impresari ci raccontano, più audaci del turco Alì, oppure più imbecilli (v. per es. l’Impresario in rovina 1770, Giulietta 1771, il Teatro ovvero fatti di una Veneziana che lo fanno conoscere 1777-78). Né il Chiari aveva esaurito tutto il suo arsenale: si sfogò ancora contro i cantanti nelle Commedie da camera (1770) e in un poema bernesco che, a guisa di testamento, uscì dopo la sua morte, Il Teatro moderno di Calicut (1787).

Intanto la commedia del Goldoni procedeva nel suo corso fortunato. Nel n. 1O della Nuova Gazzetta Veneta, che porta la data dei 14 aprile 1762, in cui si annuncia la partenza del Goldoni da Venezia per la Francia, tra le altre sue lodi leggevasi questa notizia (in parte ripetuta nei Notatorj del Gradenigo) che non siamo in grado di poter confermare ovvero respingere. «Si recitò a Londra: L’Impresario d’Opera alle Smirne, e ne’ fogli pubblici di quella città, ne’ quali sogliono esaminare col più fino criterio e colla più grande libertà le opere dei letterati e qualunque altra cosa, fu lodata non solo, ma, con lungo articolo, difesa da que’ punti critici co’ quali potesse essere attaccata (v. V. Malamani, Nuovi appunti e curiosità goldoniane, Venezia, 1887, pp. 62-63). [p. 355 modifica]

Nei primi decenni dell’Ottocento durava tuttavia, anzi cresceva il suo favore presso il pubblico italiano. Per ben otto sere di seguito, dal 17 al 24 gennaio 1804, lo recitò nel teatro di S. Benedetto a Venezia la compagnia Venier-Modena-Asprucci e poi di nuovo al 21 novembre col titolo Un Turco Impresario d’Opera (vedasi Giornaletto teatrale di Velli e Menegatti). Il Quotidiano Veneto, diretto da Ant. Caminer, nel num. 18, del 23 gennaio, faceva tale commento: «Goldoni è sempre il solo, il caro, l’apprezzabile Maestro del Teatro italiano. La vecchia notissima Commedia l’Impresario delle Smirne si replica da sei sere, a massimo furore: natura, condotta, caratteri, semplicità ci vuole; senza sotterranei, montagne, combattimenti, e prodigi, ecco come mi piace: ma Goldoni è morto! E nessuno sa o vuol battere più quella strada. — Asprucci non ha pari, è deciso, ne caratteristi (sic), le donne tutte di quella famosa Compagnia agiscono superiormente, a gara co’ loro Compagni».

Così nel 1820 una recita troviamo a Napoli al 12 febbraio, nel teatro dei Fiorentini, da parte della Comica Compagnia Reale diretta dal Fabbrichesi (v. Giorn. delli teatri comici. In Bib.ca teatrale. Ven., Gnoato): un’altra a Bologna, al 14 giugno, nell’Arena del Sole, compagnia Bazzi (c. s.), e un’altra a Venezia al 17 dicembre, a S. Benedetto, da parte della compagnia Modena (Gazzetta privil. di Ven.). Poi altre a Venezia, 13 ott. e 13 dic. 1823, teatro Gallo a S. Benedetto, compagnia Perotti e Fini; 19 febbr. 1824 (col titolo Il Turco Alì impresario alle Smirne) teatro S. Luca, comp..Morelli; 20 sett. e 26 ott. 1827 (Il Mercante Turco di Ven. impres. d’opera alle Smirne), t. Gallo, comp. Ciarli diretta da Giac. Modena; 11 genn. 1830, S. Luca, comp. Modena e soci; 9 nov. 1832 (Il Turco impresario alle Smirne), t. Gallo, comp. Pelzet e Domeniconi (cfr. Gazzetta cit.). A proposito della compagnia Ciarli lodava T. Locatelli le sorelle Mazzeranghi, prima e seconda donna, e scriveva ai 28 sett. 1827 nella Gazzetta di Venezia: «Per esempio nell’Impresario delle Smirne quella che simulava la Fiorentina ne imitò benissimo la pronunzia e mostrò abbastanza valore ond’esser creduta la prima, e seconda non era certo l’altra che figurava il personaggio di nostra concittadina, ove si miri alla forza, all’anima, anzi alla diavoleria con che incarnò la immagine dipinta dal poeta, e che le meritarono molti applausi».

Era l’Impresario nel repertorio della compagnia Vidari e fu rappresentato alla Canobbiana di Milano nel carnovale del 1828 (I Teatri, giorn. dramm. ecc. Milano, I, p. 747); era fin dal 1821 nel repertorio della compagnia reale di Torino (G. Costetti, La Compagnia Reale Sarda ecc., Milano, 1893, p. 15) e fu rappresentato pure a Milano nel teatro Re, nel 1827 e nel 28, insieme col Cavaliere di spirito, con la Bottega del caffè e con altre «tutte del Goldoni, tutte delle più belle, tutte maestrevolmente rappresentate » (I Teatri, I, 602 e 800). Ma dopo un’altra recita della stessa compagnia sul medesimo teatro, nell’ottobre del 1830, un appunto osò fare a Carlotta Marchionni il Censore universale dei teatri (Milano, n. 83), cioè Luigi Prividali: «Agire io la vidi così alcuna volta con una indifferenza non prescritta dalla sua parte, come per esempio nell’Impresario delle Smirne, ove la signora Lucrezia vuol essere una cantante molto bizzarra e vivace, che col solo Turco mentisce un carattere docile e mansueto». Perfino alla vigilia del [p. 356 modifica]grande anno delle rivoluzioni, lo troviamo ancora a Milano, nel teatro dei Filodrammatici, ai 1O dicembre del ’47 (G. Martinazzi, Accademia de Filo-drammalici di Milano, Milano, 1879).

Nel 1793 un dramma giocoso ne traeva Giuseppe Poppa, col titolo medesimo L’Impresario delle Smirne; e fu musicato dal maestro Giuseppe Rossi (C. Musatti, Drami musicali di Gold. e d’altri tratti dalle sue commedie Venezia, 1898, p. 8). Per la somiglianza del titolo ricorderemo ancora una farsa del Cimarosa, l’Impresario in angustia, nel 1786 (musicata pure dal Gazzaniga nel 1789) e un intermezzo del maestro Gennaro Astaritta, l’Impresario in iscompiglio, o sia Non si fa ma si prova, nel 1791 (?). Il Musatti (1. c.) cita pure, di derivazione goldoniana, una commedia lirica del maestro Pedrotti (poesia di M. M. Marcello) cantata a Verona nel 1856.

Ma l’Impresario delle Smirne ebbe una maggior fortuna, d’inspirare, insieme col Teatro alla moda di Benedetto Marcello, a cui sono attinti caratteri e spunti di dialogo (v. P. Costa, pref. alle Commedie scelte di G. Giraud, Roma, 1903, p. 15), l’allegra farsa dialettale in un atto del commediografo padovano Antonio Simone Sografi, Le Convenienze teatrali, 1794 (v. Meneghezzi, Della vita e delle opere di C. Gold., Milano, 1827, p. 60; e sul Sografi, v. L. Bigoni in Nuovo Arch. Ven. VII, 1894 e Beneducci. Scampoli critici, Oneglia, 1899), a cui fece seguito qualche anno dopo una commediola in due atti dello stesso, meno svelta e vivace, Le inconvenienze teatrali, 1800. Anche I comici in sconcerto ( 1797), commedia del conte T. Tommasini Suardi richiamarono al Toldo la commedia del Goldoni (L’oeuvre de Molière, Torino, 1910, p. 509, n. 2). Basterà poi nominare l’Impresario alle Smirne del conte reggiano Carlo Ritorni (stampato anonimo nel 1827, Milano, Tip. Rivolta: v. Crocioni, in Modena a C. G., Mod. 1907, p. 354) e la Giornata del corrispondente teatrale del triestino Franc. Cameroni (Il Palvese, I, n. 8; Trieste, 24 febbr. 1907).

Invece non molta fama godette l’Impresario fuori d’Italia, benchè possa (vantare una recente versione tedesca di Corrado Telmann (in Bib.ca Univ. Reclam, n. 1497, Lipsia).

Non mancarono in Italia critici e lodatori. Carlo Gozzi ai suoi tempi lo assali acremente, accecato da concetti morali, o piuttosto dall’ira contro il Goldoni; e nel Ragionamento ingenuo preposto alle sue Opere (Ven., Colombani, I, 1777, p. 55) lo chiamò «una scuola di immodestia e di lussuria», trovandovi, in compagnia del Baretti, «immodeste espressioni» e «scandalose lussurie» (v. la famosa Lettera di risposta ecc., 1O apr. 1801, in Opere. Ven., Zanardi, XIV, 1802, pp. 85 e 121); egli parve, non meno dei Rusteghi, una farsa buffonesca (ivi, 140); e se ne ricordò nella Marfisa bizzarra (c. IV, str. 46):

          Forse la scuola lasciva t’aggrada,
          E la lussuria, i lazzi, ed il languire
          Dell’Impressario Turco delle Smirne
          E d’altri cento, che non vo’ più dirne?

Il Giornale Enciclopedico nel luglio del 1774 (t. VII) si accontentò di chieder conto al Goldoni del titolo, Impresario delle Smirne. «Questo delle [p. 357 modifica]sarà certamente un errore di stampa, poichè Smirne non è che una sola città della Natolia, e non ve n’ha che una al mondo».

Più tardi, nell’Ottocento, Ferdinando Meneghezzi (I. e.) chiamò l’Impresario bella e regolare commedia. Ferdinando Galanti la disse: «una commedia vera, spiritosa e satirica», piiù vivace della Donna di maneggio: «Il tipo del turco Alì, che vuol far l’impresario, è amenissimo; e i suoi colloqui col musico Carluccio, con Annina, con Tognina, con Lucrezia, sono vivacissimi; ogni volta che egli comparisce, la scena si ravviva» (C. G., Padova, 1882, p. 235). Per l’opposto al De Gubernatis sembrò «il soggetto più da opera buffa che da commedia» (C. G., Firenze, 191 I, p. 295); e a Vittorio Osimo parve quel Turco «una marionetta di assai grosso gusto» (C. G., discorso, Palermo, 1907, p. 15).

Certo se la commedia si può leggere ancora senza sforzo, e se conserverà sempre importanza di documento storico, non ha sufficiente vigore artistico per potersi reggere sulle scene. Nessun personaggio ha impronta di creazione duratura e la stessa satira del teatro non oltrepassa il periodo caratteristico del Settecento e dei primi decenni dell’Ottocento. Il pettegolezzo delle tre virtuose, di Lucrezia fiorentina (che interpretata da Caterina Bresciani n’era forse in parte il ritratto), di Tonina veneziana e di Annina bolognese (v. sul costume delle tre cantanti Ch. Rabany, C. G., etc, Paris. 1896, pp. 218-220 e Ch. Dejob, La comédie française et italienne au XVIII siecle, Paris, 1899, pp. 225-7) non si ode più all’avvicinarsi del 1848; e a Carluccio non mancheranno, anche dopo, gli applausi e l’oro del vecchio e del nuovo continente: ma il pubblico non ha più curiosità di spiare in quel dietroscena così gretto e monotono, attirato da più grandi spettacoli.

G. O.


L'Impresario delle Smirne fu stampato la prima volta in prosa nel 1774 a Venezia, nel t. XII dell’ed. Pasquali, e usci l’anno stesso a Torino nel t. I dell’ed. Guibert e Orgeas, e nel 1773 a Bologna (a s. Tomaso d’Aquino). Nel 1778 dall’ed. Savioli di Venezia fu pubblicato il testo originale in versi (t. XIV. che è al tempo stesso il t. XIV. 1778. dell’ed. Pitteri). Uscì ancora in prosa nelle edizioni Zatta (cl. I. VII, 1789) e Garbo (VII, 1795) di Venezia. Bonsignori (XV, 1789) di Lucca, e Masi (XXIV, 1792) di Livorno; e forse altrove nel Settecento. - La presente ristampa seguì fedelmente il testo del Pasquali approvato dall’autore, ma in Appendice fu riprodotto per intero dall’ed. Savioli l’originale in versi, sebbene qua e là sia scorretto. Valgono le solite avvertenze.