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L'IMPRESARIO DELLE SMIRNE | 269 |
perchè io ne faccia il comparto, e a tutti ne dia a proporzione. Spero che ognuno sarà contento, (ciascheduno allunga le mani) Ma piano; prima ch’io distribuisca il danaro, deggio informarvi di un’altra cosa. Il signor impresario, stordito, affaticato dai musici, dal sensale, dal poeta e dagli operai, la notte scorsa non ha potuto dormire. Vegliando e ripensando, ha presa la risoluzione di sagrificare le spese che ha fatto fare alle Smirne; manda questi duemila ducati in regalo alla compagnia, ha profittato del vento favorevole, ed è partito per le Smirne.
Tognina. Oh maledetto impresario!
Annina. Oh cosa mi tocca a sentire!
Lucrezia. Piantare così una donna della mia sorte?
Nibio. Presto, signor Conte, principiate a dividere i duemila ducati.
Carluccio. Cinquecento per me.
Maccario. Ricordatevi che tutti ci abbiamo a bagnar la bocca. (al Conte)
Lasca. Figliuoli miei, di questo danaro, se è diviso in tanti, poco a ciascheduno può toccare. Sentite una mia idea, una mia proposizione. Lo terrò io in deposito; ci servirà di fondo; voi farete una società, si farà un’opera di quelle che diconsi a carato. Ciascheduno starà al bene e al male. Se anderà bene, dividerete il guadagno, se anderà male, spero non ci rimetterete del vostro.
Carluccio. Io ci sono, e basto io solo per la fortuna di quest’impresa.
Lucrezia. Io sono la prima donna.
Tognina. Se siamo a carato, io sono anziana, e la prima voglio esser io.
Annina. Ora non siamo alle Smirne, e la cosa non deve andare così.
Lasca. A monte tutte le gare e le differenze. Che la compagnia resti come è, e come era già stabilita. Se così non si accorda, intendo che la società sia disfatta, e come io ebbi dal Turco l’arbitrio e la facoltà di dispone a modo mio di